Title: La Repubblica di Venezia e la Persia
Author: Guglielmo Berchet
Release date: November 17, 2010 [eBook #34352]
Most recently updated: January 7, 2021
Language: Italian
Credits: Produced by Carla, Carlo Traverso, Barbara Magni and the
Online Distributed Proofreading Team at https://www.pgdp.net
(This file was produced from images generously made
available by The Internet Archive)
PER
GUGLIELMO BERCHET
TORINO
TIPOGRAFIA G. B. PARAVIA E COMP.
1865
Nell'anno 1861 il Governo di S. M. il Re d'Italia deliberò d'inviare una missione diplomatica a S. M. il Re di Persia, e scelse per essa il commendatore Marcello Cerruti, in allora Ministro Residente, ora Inviato Straordinario e Ministro Plenipotenziario. Volendosi dal viaggio in paese, sul quale in diversi rami di scienza tuttora si desiderano notizie meglio esatte e complete, ottenere altresì vantaggio di studi ad incremento delle cognizioni universali, il Governo del Re destinò pure alcuni distinti naturalisti, matematici ed ufficiali di armi diverse ad accompagnare il commendatore Cerruti. La spedizione italiana partì nell'aprile dell'anno 1862 per la via di Costantinopoli, e fu di ritorno nel dicembre successivo per quella di Pietroburgo.
Durante i preparativi della spedizione, e nel corso della medesima, il Governo del Re più volte mi aveva fatto l'onore di chiedere il mio avviso sulle istruzioni ad impartirsi per le utilità del commercio, e sugli studi a preferirsi. Sottoponendo in tali argomenti le mie opinioni, mi si presentò altresì il pensiero, che sarebbe stato utile di cogliere questa circostanza anche per attivare ricerche negli archivi italiani, onde illustrare la storia nazionale, mediante la pubblicazione delle antiche relazioni diplomatiche delle repubbliche italiane colla Persia, circa le quali non erano state finora date alle stampe se non incomplete notizie. A questo effetto si ordinarono a diversi archivi del regno indagini, le cui risultanze, almeno finora, non hanno ben corrisposto alle brame. Ma era specialmente negli archivi di Venezia che doveva ritrovarsi la massa dei documenti di maggiore importanza, perchè già era noto che nessuno degli Stati italiani aveva avuto così antichi e frequenti rapporti colla Persia, quanto la repubblica di Venezia; stante l'interesse massimo della stessa repubblica di coltivare l'amicizia di Stato potente, situato alle spalle di Turchia, ad entrambi nemica, e per l'eccellente ordinamento di Venezia nelle diplomatiche cose, delle quali essa fu a tutti gli Stati maestra. E poichè vincoli d'amicizia e di stima mi [v]legavano al cav. dott. Guglielmo Berchet, che già aveva avuto a studente di legge in Padova, quand'io era colà, ed egli aveva dato prove ripetute di somma diligenza ed abilità nel raccogliere e pubblicare documenti diplomatici esistenti nell'archivio dei Frari, così mi rivolsi privatamente a lui, e lo pregai di voler sospendere per qualche tempo gli altri lavori suoi sulle Relazioni degli Ambasciatori veneziani, il Commercio della repubblica, e le Leggi venete monetarie, e di favorirmi d'indagini su tale argomento pur esso di molto interesse italiano e di onore alla sapienza della sua nobile città. Il cav. Berchet aderì volentieri all'invito dell'amicizia, ed al proprio desiderio di contribuire ad illustrare la storia veneta, che è tanta parte dell'italiana, ed a nessuna delle europee è seconda nella gloria dei fatti; ed abile ed indefesso si pose alle ricerche, che riescirono sommamente felici. Mi ha quindi trasmesso con lettera espressiva della sua benevolenza per me le risultanze delle solerti sue indagini, accompagnando le copie degli originali documenti con una elaborata memoria, la quale è molto opportuna a seguirne la serie, ed a comprenderne la colleganza ed il valore.
Venuto così, per merito altrui di esperienza e sapere, al possesso di scritti, che sono fondamento e luce di una parte di storia italiana rimasta fino al presente alquanto vaga ed oscura, parmi[vi] conveniente di consegnare al pubblico il frutto non mio. E siccome conosco che i lavori del Berchet sono sempre commendevoli per diligenza e perizia, così mi astengo da qualsivoglia inserzione di frase non sua, od esclusione di alcuna scritta da lui. Di me in questo caso veramente può dirsi ciò che leggiamo nel sacro codice: — Quid habes quod non accepisti?
Spero poi che il cav. Guglielmo Berchet mi vorrà essere cortese d'indulgenza quanto mi fu d'amicizia, se io non volli che l'utile suo lavoro avesse ad essere fecondo solamente di privata istruzione per me, ma col darlo alle stampe accrebbi con esso il patrimonio delle cognizioni comuni.
Torino, 20 novembre 1864.
Comm. Negri Cristoforo.
Illustre Professore ed Amico Carissimo,
Poichè ella, ottimo amico, rammentando i nostri antichi colloquii sull'attuale ufficio della storia, i quali assai mi giovarono d'istruzione e d'incoraggiamento, ed usando cortese benevolenza ai miei studi, volle chiedermi se ne' miei lavori sulle relazioni diplomatiche della Repubblica di Venezia, avessi raccolte alcune memorie intorno alle cose veneto-persiane, e mi espresse il desiderio di averne notizia; mi adoperai con ogni cura possibile per ordinare alcuni appunti che tenevo, e per completarli con una serie di ricerche, negli archivi di questa città, le quali riuscirono fortunate così, che io oso sperare sia il presente lavoro degno di esserle presentato, con animo grato alla di lei gentile fiducia.
Io mi lusingo, che mentre gli sguardi di tutta l'Europa sono rivolti all'Oriente, per escogitare o la sorte riservata all'impero ottomano, dalle combinazioni della diplomazia e dal progresso della civiltà, o la importanza vera che acquisteranno[viii] i porti del Mediterraneo, per le nuove vie che si aprono alla navigazione e si tentano nel continente dell'Asia; giovare potranno, come giustamente Ella, egregio Commendatore, mi avvertiva, questi studi documentati intorno alle relazioni diplomatiche di Venezia colla Persia, i quali gettano nuova luce sugli intendimenti politici e sugli interessi commerciali di quella Repubblica, che fu scudo alla civiltà contro le invasioni turchesche, ed ebbe per gran tempo il primato nel commercio dell'Asia.
Fin da quando la Persia cominciò a risorgere nel secolo XV, la Repubblica di Venezia, che dopo la conquista di Costantinopoli intraprendeva per istituto e per necessità le lotte secolari contro la Turchia, mirò costantemente a quella regione, e sopra di essa posò le proprie speranze per la divisione dell'impero ottomano, che i suoi uomini di Stato ripetevano in Senato: non potersi ottenere, se non mediante l'accordo dei principi cristiani colla Persia, situata alle spalle di Turchia, e ad essa nemica per sentimento religioso e per gelosia di dominio nell'Asia.
I Veneziani in fatti, prestarono aiuto ai Persiani nella guerra del 1470-74 fra Mohammed e Uzunhasan, e stabilirono con quest'ultimo le basi di una divisione dei possessi turchi; spinsero gli shàh della Persia a conquistare il Laristan, che diede loro la chiave del golfo Persico; li animarono ad impossessarsi dell'Asia turca, durante le guerre di Cipro, di Candia e della Morea.
E non soltanto a questo intendimento precipuo della politica tradizionale della Repubblica mirò l'accordo continuamente da essa mantenuto colla Persia, mediante una serie di missioni diplomatiche pubbliche e secrete; ma eziandio per la tutela[ix] e svolgimento del reciproco commercio, e per conservare o ristorare verso il Mediterraneo il ricchissimo traffico dell'Asia interiore, che dopo la scoperta del capo di Buona Speranza rivolgevasi a mezzogiorno.
La preziosa raccolta dei documenti relativi alle guerre dei Veneti nell'Asia del 1470-74, pubblicata dal chiarissimo mio amico Enrico Cornet in Vienna nel 1856, e la celebre collezione di viaggi fatta dal Ramusio in Venezia nel 1559, mi offerirono le prime basi di questo studio, che ho procurato di rendere possibilmente compiuto, attingendo a fonti inedite accreditate ed a documenti ufficiali.
E poichè ebbi la ventura di raccogliere un copioso numero di questi documenti, per la maggior parte tuttora ignoti, ho potuto dare al lavoro che Le presento quell'ampiezza, che senza sorpassare i limiti imposti dall'argomento è dovuta alla sua importante specialità; e con quel rigore che ora chiedesi alla storia, chiamata si può dire a rendere ragione, con prove irrefragabili di ogni singolo fatto od asserzione, giovare alla precisa intelligenza di quei gelosi negoziati di Persia, che il Foscarini lamentava non essere ben conosciuti; nonchè della condizione del traffico veneto-persiano, e della origine e sviluppo del sistema consolare della Repubblica che fu maestra, a chi venne di poi, nei metodi di protezione dei propri nazionali e dei propri interessi nell'estero, e segnatamente nell'Asia.
Ho diviso pertanto la Memoria in due parti, cioè:
Parte prima: Delle Relazioni diplomatiche tra la Repubblica di Venezia e la Persia.[x]
Parte seconda: Delle Relazioni commerciali: e questa in due sezioni:
I. Del commercio dei Veneziani colla Persia.
II. Dei consolati veneti, negli scali del commercio persiano.
Appendice: Dei viaggiatori veneziani nella Persia, e delle venete descrizioni edite ed inedite di quella regione.
Questa Memoria precede la bella serie di 85 fra i più importanti documenti veneto-persiani, ai quali essa si richiama; ed alcuni disegni che eziandio valeranno ad illustrarla.
Eccole, pregiatissimo amico, quello che ho potuto fare per corrispondere al di lei desiderio. Questi materiali, ho la persuasione che potranno nelle di lei abili mani, riescire di qualche importanza agli studi storici; io quindi la prego di accoglierli coll'antica benevolenza, e di tenerli siccome cosa sua e qual pegno del mio affetto e della mia devozione.
Venezia, il 30 febbraio 1864.
Di Lei Egregio Professore
Obblig.mo Amico
GUGLIELMO BERCHET.
INDICE
PARTE PRIMA | |
Delle relazioni diplomatiche tra la Repubblica di Venezia e la Persia. | |
I. | |
Risorgimento della Persia pel valore di Hasanbei, detto poi Uzunhasan 1460 | Pag. 1 |
Rapporti di famiglia tra quel re e la repubblica di Venezia | ivi |
Relazioni politiche-internazionali dei due Stati | 2 |
Missione di Lazaro Quirini nella Persia | 3 |
Arrivo a Venezia di Mamenatazab oratore persiano | ivi |
Alleanza Veneto-Persiana contro la Turchia | ivi |
Trattative dei Veneziani col messo persiano Kasam Hasan | 4 |
Pratiche di pace colla Turchia 1470 | 5 |
Ritorno a Venezia di Lazaro Quirini, insieme all'oratore persiano Mirath, 1471 | ivi |
Esposizione fatta dal Quirini e dal Persiano nel veneto senato, risposte e deliberazioni | 6 |
Arrivo di un messo persiano diretto a Roma | ivi |
Nomina di Caterino Zeno ambasciatore veneto al re di Persia | ivi |
Commissioni date dal senato allo Zeno | ivi |
Suo arrivo in Persia ed accoglienze ivi ricevute | 7 |
Legazione persiana a Venezia. Agì Mohammed reca un prezioso dono alla signorìa | 8 |
Arrivo a Venezia del medico Isaach, altro messo persiano, e deliberazioni del senato | ivi |
Nomina di Giosafat Barbaro ambasciatore in Persia | 9 |
Commissioni palesi e segrete, date al Barbaro | ivi |
Suo viaggio per la Persia | 11 |
Soccorsi ed aiuti dati al principe di Caramania | ivi |
Uffici dello Zeno per spingere Uzunhasan alla guerra | 12 |
Nunzio persiano a Costantinopoli per intimare la guerra | ivi |
Prime mosse dei Persiani | 13 |
Esposizione al veneto senato di un nuovo messo persiano | ivi |
Battaglia sull'Eufrate vinta dai Persiani | 14 |
Deliberazione del veneto senato di far assalire Costantinopoli | ivi |
Vano ricorso all'imperatore ed al re d'Ungheria | ivi |
Sconfitta dell'esercito persiano a Terdshan 1473 | 14 |
Commissione data da Uzunhasan a Caterino Zeno | 15 |
Viaggio di ritorno dello Zeno | ivi |
Elezione di due oratori in Persia: Paolo Ognibene e Ambrogio Contarini | 16 |
Commissioni palesi e secrete date ai medesimi | 17 |
Esito della missione dello Zeno presso varii sovrani d'Europa | 18 |
Relazione dell'ambasciata del Barbaro | ivi |
Relazione dell'Ognibene | 20 |
Relazione del Contarini | ivi |
Morte di Uzunhasan e pace tra Venezia e la Turchia 1479 | ivi |
II. | |
Spedizione nella Persia, di Giovanni Dario segretario della repubblica nel 1485 | 22 |
Pratiche di alleanza introdotte tra la repubblica ed Ismail sufì | 23 |
Relazioni al senato dei successi di Ismail sufì | 23 |
Lettera del sufì al doge e monete persiane a Venezia | 24 |
Arrivo in Venezia di oratori persiani, 1508 | 25 |
Scopo ed esito della loro missione | ivi |
Spedizione al Cairo di Domenico Trevisan | 27 |
Interesse della Repubblica nelle guerre turco-persiane | ivi |
Guerra di Cipro, 1571 | 29 |
Missione in Persia di chogia Alì con lettere a quel re | ivi |
Commissione a Vincenzo Alessandri veneto legato allo shàh Thamasp | ivi |
Suo viaggio in Persia, accoglienze ivi ricevute ed esito della sua legazione | 30 |
Relazione della ambasciata in Persia di Vincenzo Alessandri | 37 |
Pace della repubblica colla Turchia, 1572 | 38 |
Arrivo in Venezia di chogia Mohammed inviato persiano, 1580 | ivi |
Scopo ed esito della segreta missione di lui | 39 |
Nuove lotte fra Turchi e Persiani e relazioni presentate al veneto senato | 40 |
III. | |
Abbas il Grande re della Persia rinnova l'antica amicizia colla repubblica di Venezia | 41 |
Ritratto di lui, letto in senato dal console Malipiero, 1596 | ivi |
Egli è spinto dai Veneziani a conquistare il Laristan | 42 |
Arrivo in Venezia di Efet beg oratore persiano 1600 | 43 |
Esposizione in senato di Efet beg e risposta avuta | ivi |
Solenne ambasciata persiana di Fethy bei, 1603 | 44 |
Esposizione in senato, doni recati, e accoglienza ricevuta | ivi |
Doni fatti dalla repubblica al re persiano | 46 |
Quadro commesso a Gabriele Caliari per memoria dell'ambasciata di Fethy bei | 47 |
Arrivo in Venezia del messo persiano Chieos, 1608 | ivi |
Simile del chogia Seffer, 1610 | ivi |
Nuova ambasciata persiana a Venezia, 1621, come accolta e licenziata | 49 |
Guerra di Candia 1645. La repubblica ricorre alla Persia | 50 |
Invio di due oratori veneti nella Persia per diverse vie | ivi |
Il re di Polonia unisce un proprio legato al veneto | 51 |
Viaggio ed esito della missione veneto-polacca | ivi |
Relazione presentata al senato dai due oratori veneti al re della Persia | 52 |
Pace colla Turchia | 53 |
Nuovi messi persiani a Venezia, 1673 | ivi |
Franchigie accordate ai cristiani nella Persia per intercessione della veneta signoria | 54 |
Guerra della Morea — La Repubblica tenta associarsi la Persia | 55 |
Carattere dei rapporti internazionali veneto-persiani nel secolo decimo-ottavo | ivi |
PARTE SECONDA | |
Delle relazioni commerciali tra la Repubblica di Venezia e la Persia. | |
I. | |
Del commercio dei Veneziani colla Persia. | |
Commercio delle spezie delle Indie e dei prodotti dell'Asia | 59 |
Via che tenevano le merci dell'Asia, verso quali porti del Mediterraneo | ivi |
Importanza del mercato di Tauris | 60 |
Trattati dei Veneziani per facilitare il commercio con quella piazza | 61 |
Come sia stato favorito il commercio della Persia; e come i mercanti armeni e persiani. Leggi relative | 62 |
Mercanzie che da Venezia si importavano nella Persia | 64 |
Mercanzie che dalla Persia si esportavano per Venezia | 66 |
Leggi intorno al commercio delle sete persiane | 67 |
Decadimento del commercio dei Veneziani colla Persia | 68 |
Carovane e scali del commercio persiano | 70 |
Relazioni ufficiali della condizione del commercio colla Persia | 71 |
Provvedimenti pubblici veneti e persiani per sostenerlo | 73 |
II. | |
Dei consolati veneti negli scali del commercio colla Persia. | |
Antica istituzione dei Consolati | 76 |
Baili e Consoli. — Loro diritti e giurisdizioni | ivi |
Magistratura dei Consoli dei mercanti | 77 |
Magistratura dei Cinque Savi alla mercanzia | ivi |
Luoghi di residenza dei consoli veneti negli scali del commercio persiano | ivi |
Memorie di quei consoli | 78 |
Magistrato del Cottimo di Damasco | ivi |
Relazioni consolari presentate al senato | 79 |
Leggi relative ai consolati della Sorìa | 81 |
Diritto consolare dei Veneziani | 84 |
Vicende del consolato di Aleppo | 85 |
APPENDICE | |
Notizia intorno ai viaggiatori veneziani nella Persia, ed alle descrizioni edite ed inedite di quella regione | 89 |
DOCUMENTI | |
PARTE PRIMA | |
I. | |
I. Dell'origine di Assanbei sive Ussun Cassan, breve notatione | 97 |
II. Deliberazione del veneto senato, 2 dicembre 1463 | 102 |
III. Deliberazione del senato, 15 febbraio 1464 | 104 |
IV. Deliberazione del senato, 26 settembre 1464, e lettera ducale ad Uzunhasan di Persia | 105 |
V. Lettera ducale ad Uzunhasan, 27 febbraio 1466 | 106 |
VI. Commissione data a Caterino Zeno ambasciatore veneto in Persia, 1471 18 maggio | 108 |
VII. Altra commissione allo stesso, 1471 10 settembre | 111 |
VIII. Credenziale del medico Isaach messo persiano a Venezia, 1472 | 114 |
IX. Commissione data a Giosafat Barbaro ambasciatore veneto in Persia, 28 gennaio 1473 | 116 |
X. Commissione segreta allo stesso, 11 febbraio 1473 | 125 |
XI. Relazione al veneto senato di Caterino Zeno ambasciatore in Persia, 27 luglio 1473 | 130 |
XII. Relazione della battaglia di Terdshan, 18 agosto, 1473 | 135 |
XIII. Lettera d'Uzunhasan alla veneta signorìa, 16 ottobre 1473 | 137 |
XIV. Commissione data ad Ambrogio Contarini ambasciatore veneto in Persia, 11 febbraio 1474 | 139 |
XV. Commissione secreta allo stesso, 11 febbraio 1474 | 145 |
XVI. Altri punti secreti allo stesso, 11 febbraio 1474 | 148 |
II. | |
XVII. Dispaccio 10 luglio 1485 di Giovanni Dario spedito in Persia dal bailo veneto a Costantinopoli | 150 |
XVIII. Altro dispaccio dello stesso, 11 luglio 1485 | 152 |
XIX. Relazione al senato fatta da Costantino Lascari spedito in Caramania ed in Persia, 14 ottobre 1502 | 153 |
XX. Altra deposizione dello stesso, 16 ottobre 1502 | 156 |
XXI. Lettera del sufì Ismail al doge Leonardo Loredano, gennaio 1505 | 158 |
XXII. Lettera ducale al re di Persia, 27 ottobre 1570 | ivi |
XXIII. Commissione data a Vincenzo di Alessandri veneto oratore in Persia, 30 ottobre 1570 | 160 |
XXIV. Lettera ducale al re di Persia, 30 ottobre, 1570 | 162 |
XXV. Dispaccio 25 luglio 1572 del segretario Alessandri | 163 |
XXVI. Relazione letta in senato da Vincenzo Alessandri nel 1574 | 167 |
XXVII. Lettera dello shàh di Persia Mohammed Kodabend alla repubblica di Venezia, 1º maggio 1580 | 182 |
XXVIII. Relazione segreta fatta dal chogia Mohammed oratore persiano a Venezia, 1º maggio 1580 | 183 |
III. | |
XXIX. Atto verbale della presentazione nell'Ecc. Collegio dell'oratore persiano Efet beg, 8 giugno 1600 | 192 |
XXX. Lettera dello shàh Abbas il Grande al doge di Venezia, ricevuta 18 giugno 1600 | 193 |
XXXI. Lettera ducale al re della Persia, giugno 1600 | 195 |
XXXII. Lettera di Abbas il Grande alla repubblica, 5 marzo 1603 | 196 |
XXXIII. Nota dei doni recati a Venezia dall'oratore persiano Fethy bei, marzo 1603 | 197 |
XXXIV. Deliberazione del senato, 6 marzo 1603 | 198 |
XXXV. Lettera ducale al re di Persia, 2 settembre 1603 | 199 |
XXXVI. Lettera dello shàh, recata al doge dall'armeno Chiéos, 1607 | 200 |
XXXVII. Dispaccio 2 settembre 1609 del console veneto nella Soria, F. Sagredo | 201 |
XXXVIII. Atto verbale della presentazione in collegio del messo persiano Seffer, 30 gennaio 1610 | 203 |
XXXIX. Lettera alla veneta signorìa dello shàh Abbas il Grande ricevuta nel gennaio 1610 | 207 |
XL. Ricevuta delle robe di Fethy bei fatta dal chogia Seffer | 208 |
XLI. Lettera ducale al re di Persia, 30 gennaio 1610 | 209 |
XLII. Lettera del re di Persia, recata al doge dagli oratori Alredin e Sassuar, 1 marzo 1613 | 210 |
XLIII. Atto verbale della presentazione in collegio del messo persiano Sassuar, 1º febbraio 1621 | 212 |
XLIV. Lettera del re di Persia alla signorìa, 1º febbraio 1621 | 214 |
XLV. Deliberazione del senato, 4 febbraio 1621 | 215 |
XLVI. Rapporto di Domenico Santi, inviato dai Principi cristiani nella Persia, 26 giugno 1645 | ivi |
XLVII. Lettera ducale al re della Persia, 2 decembre 1645 | 216 |
XLVIII. Simile, 17 luglio 1646 | 217 |
XLIX. Lettera del re di Persia, ricevuta il 28 marzo 1649 | 218 |
L. Relazione della Persia presentata nell'Ecc. Collegio dal padre Antonio di Fiandra, veneto legato, allo shàh Abbas II, 28 marzo 1649 | ivi |
LI. Relazione spedita al senato da Domenico Santi messo in Persia, 29 marzo 1649 | 225 |
LII. Lettera ducale al re di Persia, 22 gennaio 1661 | 229 |
LIII. Offerta dell'arcivescovo armeno Aranchies di trattare la lega fra la repubblica e la Persia, 10 giugno 1662 | 230 |
LIV. Lettera ducale al re di Persia, 10 giugno 1662 | 231 |
LV. Rapporto al senato, intorno alcuni padri domenicani venuti a Venezia con incarichi dello shàh di Persia, 19 luglio 1673 | ivi |
LVI. Lettera dell'Arcivescovo di Nashirvan alla signoria, 19 luglio 1673 | 232 |
LVII. Lettera del re di Persia alla repubblica, 19 luglio 1673 | 234 |
LVIII. Relazione al senato intorno ad un colloquio secreto, tenuto coi messi persiani 19 luglio 1673 | 236 |
LIX. Ducale al re della Persia, 22 luglio 1673 | 239 |
LX. Idem, 4 giugno 1695 | 241 |
LXI. Lettera dello shàh Abbas al doge di Venezia, ricevuta il 5 settembre 1669 | 242 |
LXII. Ducale al re di Persia, 29 dicembre 1663 | 243 |
LXIII. Istanza dell'arcivescovo Aranchieli, 18 luglio 1669 | 244 |
LXIV. Litera ducalis ad Persarum regem, 20 julii 1669 | 245 |
LXV. Lettera dello shàh Husein al doge Silvestro Valier, 1696 | 246 |
LXVI. Lettera ducale al re di Persia, 15 marzo 1697 | 247 |
LXVII. Simile, 23 dicembre 1718 | ivi |
PARTE SECONDA | |
I. | |
LXVIII. Relazione ai Savj alla Mercanzia, intorno le spese che occorrono sopra le merci, che si distaccano da Venetia, per giungere in Astrakan, attraversando la Persia | 248 |
LXIX. Lettera del re di Persia al nobiluomo G. F. Sagredo, 1609 | 252 |
LXX. Simile, 1610 | 253 |
LXXI. Simile, 1611 | 254 |
LXXII. Manifesto del re di Persia alla onorata turba dei mercanti venetiani, 1611 | 255 |
LXXIII. Lettera del re di Persia alla repubblica di Venezia, 1611 | 256 |
LXXIV. Lettera dello shàh al nobiluomo Alvise Sagredo, 1627 settembre | 257 |
LXXV. Ducale al re della Persia, 13 marzo 1629 | 259 |
II. | |
LXXVI. Deliberazione del senato, 7 dicembre 1548 | 260 |
LXXVII. Istanza di Andrea Benedetti ai Cinque Savi alla mercanzia | 261 |
LXXVIII. Scrittura dei Cinque Savi al senato, 23 dicembre 1762 | 264 |
LXXIX. Decreto del senato, 29 dicembre 1762 | 268 |
APPENDICE | |
LXXX. Lettera di ser Donato da Leze a Zuan Caroldo, con una descrizione della Persia, 14 settembre 1514 | 269 |
LXXXI. Simile, 7 ottobre 1514 | 273 |
LXXXII. Simile, 2 novembre 1514 | 275 |
LXXXIII. Relazione della Persia, di Teodoro Balbi, 1570 | 276 |
LXXXIV. Relazione della Persia, 1586 | 290 |
LXXXV. Relazione per li viaggi di Persia, 1673 | 293 |
TAVOLE | |
Sigillo reale (homajon) dello shàh Husein, 1694 | 1 |
Coppa donata da Uzunhasan alla veneta signorìa, 1470 | 8 |
Quadro dipinto da Gabriele Caliari, per ricordare l'ambasciata persiana a Venezia del 1603 | 47 |
Lettera dello shàh Abbas il Grande, 22 gennaio 1610 | 48 |
Lettera dello shàh Husein al doge Silvestro Valier, 1696 | 55 |
LA
REPUBBLICA DI VENEZIA
E LA
PERSIA
Delle relazioni diplomatiche
tra
la Repubblica di Venezia e la Persia.
Scomparso quasi il nome della Persia, durante il periodo dei califfati (anno 652-1258), soggiogata e divisa quella regione dagli Arabi, dai Mongoli, dai Tartari e dai Turcomanni, cominciò soltanto nel secolo XV a risorgere pel valore di Uzunhasan, il quale potè far rivivere col nome persiano le gloriose tradizioni degli Acmenidi e dei Sassanidi.
Nelle lotte delle due fazioni turcomanne, dell'ariete nero (Karakojunlu) e dell'ariete bianco (Akkojunlu), Hasanbei, detto poi Uzunhasan (il lungo), capo di quest'ultima, rimanendo vincitore, occupò gli stati e le castella di alcuni potenti signori suoi vicini. E mossosi, di poco varcata la metà del secolo XV, contro Gihan shàh, sovrano dell'ariete nero, lo vinse nelle campagne di Erzengian; quindi, sconfitto Ebusaid signore dell'Azerbeigian, si impadronì di tutta la Persia, fra questi confini: a levante l'Indo e la Tartaria, a ponente la Georgia, Trebisonda, la Caramania, la Siria e l'Armenia minore, a mezzogiorno l'Arabia ed il mare dell'India, a tramontana il monte di Bakù[1].
Uzunhasan sposò la despina Teodora, figlia di Giovanni imperatore di Trebisonda, il quale gliela accordò per consorte[2] colla condizione che ella continuasse a vivere nella religione greca [Documento I].
Quest'imperatore, seguendo l'esempio di altri deboli sovrani trapezuntini, che, disposando le proprie figlie a principi barbari, si assicuravano la loro protezione, credette con tale unione, e coll'alleanza conchiusa col nuovo signore della Persia, di difendere il proprio trono dalla potenza minacciosa di Mohammed, il quale, dopo la conquista di Costantinopoli, voleva impadronirsi di quegli ibridi imperi greci, che erano sorti dalle rovine di Bisanzio.
L'imperatore Giovanni diede in isposa l'altra sua figlia, sorella della despina di Persia, al duca dell'Arcipelago Nicolò Crespo, da cui nacquero quattro figliuole maritate con altrettanti gentiluomini veneziani, cioè:
Fiorenza con Marco Cornaro[2].
Lucrezia con un Priuli.
Valenza con Giovanni Loredano, e
Violante con Caterino Zeno[3].
Ecco relazioni di famiglia, che, oltre agli interessi politici internazionali, avvicinarono la signorìa di Venezia alla Persia. E questi ultimi erano della massima importanza.
Il grande signore di due mari e di due parti di mondo, titolo che Mohammed si diede dopo la presa di Costantinopoli, non sazio di nuove conquiste, mirava ad estendere i confini del suo impero a danno dei principi suoi vicini. Tra questi, i più potenti erano dalla parte dell'Europa: Venezia, che offeriva alla civiltà l'antemurale dei suoi possedimenti in levante; dalla parte dell'Asia, il nuovo monarca persiano. Venezia quindi e la Persia dovevano porsi d'accordo contro il comune naturale nemico, dacchè la Provvidenza destinava principalmente questi due stati a frenare l'ambizione di lui in occidente ed in oriente.
La conquista dell'impero di Trebisonda, fatta da Mohammed nell'anno 1461; la guerra mossa ai Veneziani nella primavera del 1463, che cominciò coll'improvviso assalto di[3] Argo; e le spedizioni contro i principi di Caramania, protetti da Uzunhasan, porsero occasione al sire persiano ed alla repubblica di Venezia di apprestare d'accordo le armi contro il comune nemico.
A' 2 di dicembre 1463 il veneto senato ordinava ad Andrea Cornaro di offerire al principe di Caramania Pir Ahmed, e ad Uzunhasan proposta di lega, commettendogli di spedire a questo fine Lazaro Quirini nella Persia, qualora egli in persona non avesse potuto recarsi colà[4].
Contemporaneamente vincevasi in senato la parte di mandare ambasciatori, Nicolò Canal in Francia, Marco Donà al duca di Borgogna, altri ai re di Sicilia e di Portogallo; e di scrivere ai re d'Ungheria e di Boemia, per invitarli a concorrere nella lega contro il Turco[5], della quale il pontefice erasi dichiarato capo e banditore.
Andrea Cornaro conchiuse l'alleanza col principe Caramano [Documento III]; e mentre Lazaro Quirini s'incamminava per la Persia, arrivò in Venezia a' 13 di marzo 1464, per la via di Aleppo e di Rodi, Mamenatazab ambasciatore di Uzunhasan[6].
Espose quegli in senato: « che era spedito dal suo signore per bene intendersi contro i Turchi; che egli prometteva di mettere in campo nella prossima primavera un esercito di 60,000 cavalli; che l'albero grosso sta pur forte contro i venti, tamen se un piccolo verme entra a rodere il tronco da basso, lo riduce così, che il vento facilmente lo atterra; e Uzunhasan sarà quel verme che roderà questo grand'albero, e mai conchiuderà pace colla Turchia senza partecipazione della veneta repubblica, purchè anch'essa dal proprio canto ciò prometta; avendo essa intenzione di muovere sulle rive dello stretto verso Gallipoli, affinchè la veneta armata potesse inoltrarsi fino a Costantinopoli ».
Questo oratore persiano fu assai bene accolto dal senato,[4] che ordinava, ai 26 di settembre 1464, gli fosse data pel suo re una lettera ducale, colla quale accettando la proposta lega, lo si rendesse avvertito della cooperazione certa del pontefice, del duca di Borgogna e del re di Sicilia, e della guerra sussistente fra i Turchi ed il re d'Ungheria; e animandolo a muovere gagliardamente contro l'Ottomano lo si assicurasse che ogni acquisto nella terra ferma la repubblica lo riterrebbe interamente di lui [Documento IV].
Convenivasi poi a voce con Mamenatazab, che ove col concorso della veneta armata si acquistassero coste o porti di mare, questi resterebbero della repubblica[7]: la quale più che lontani possessi mirava ad ottenere punti strategici od interessanti al commercio; e secondo la frase del Dandolo volle i popoli piuttosto amici che sudditi, e scali al suo traffico, anzichè ampii dominii, ma sempre libero il mare.
L'oratore persiano partì da Venezia colle galere di Beiruth, assai soddisfatto e regalato, portando seco oltre alla predetta lettera ducale, braccia venti di panno d'oro da offerirsi in nome della veneta signorìa a Uzunhasan. Ed arrivato a Rodi, il capitano generale da mar, Mocenigo, gli fece vedere in ordinanza la veneta armata, assicurandolo che l'avrebbe impiegata in servizio, e per secondare i disegni e le imprese magnanime del suo re[8].
Nell'anno seguente arrivò a Venezia un altro messo persiano chiamato Kasam-Hasan, con lettere di Uzunhasan, le quali attestavano la sua pronta disposizione a far la guerra ed eccitavano la repubblica, e per di lei mezzo i principi cristiani, a muovere di comune accordo le armi.
Il senato rispose ai 27 febbraio 1466 [Documento V] confermando la deliberata volontà sua di continuare gagliardamente la lotta, e partecipando le conchiuse leghe e le speranze che tenevansi: quantunque per la morte di Pio II, e per le gelosie dei principi cristiani verso la repubblica veneta, che trovavasi all'apogèo della sua potenza pei nuovi acquisti,[5] fosse di assai minorata la energìa colla quale davasi dapprima opera a tal lega contro la prepotenza ottomana.
Scriveva in fatti il senato ai proprii oratori a Roma....... « Et propterea omni studio et efficatia querite, ut ad conclusionem deveniatur, et Sanctitas Sua si quid in effectum collatura est, non amplius promittat sed conferat, hoc idem faciant caeteri et omnes recidite conventus, omnes collationes non solum dedecorosas, sed etiam detrimentosas, quum dum hujusmodi collationibus et consultationibus, tempus territur, Hannibal Saguntum oppugnat[9] ».
Dopo la presa di Negroponte[10], dubitando Mohammed, che per questa nuova ed importante sua conquista, i principi europei si decidessero, nel pericolo comune, ad accorrere efficacemente in soccorso della repubblica, mandò a Venezia proposizioni di pace, per mezzo della propria matrigna sorella del despota Zorzi di Servia; laonde il senato, che da qualche tempo mancava di ogni notizia delle mosse e dei progressi di Uzunhasan, commise a Nicolò Cocco ed a Francesco Cappello di proporre destramente all'imperatore la restituzione di Negroponte, verso il pagamento di una somma che avevano facoltà di portare fino a ducati d'oro 250,000 da soddisfarsi per rate in 5 anni, rimanendo però alla repubblica tutte le isole che allora teneva[11]; ma tali furono le pretensioni di Mohammed, che ogni trattativa fu dai Veneziani disdegnosamente respinta.
Mentre duravano queste pratiche di accomodamento, arrivò dalla Persia in Venezia nel febbraio 1471 Lazaro Quirini, insieme ad un oratore persiano chiamato Mirath[12], il quale era latore di una lettera del suo re[13], che annunciava le vittorie da esso riportate sopra varii principi suoi[6] confinanti, e la sua intenzione di muovere contro la Turchia col concorso della veneta armata.
Il serenissimo principe rispose nel giorno 7 di marzo all'oratore persiano: che si sentivano con gioia le notizie del suo re, e si teneva assai cara la sua amicizia dalla repubblica, sempre disposta ad assisterlo. E « per confermare in perpetuo quell'amicizia e stringerla maggiormente » il senato deliberava nello stesso giorno: di mandare un solenne ambasciatore in Persia, eletto fra i nobili, con stipendio di ducati mille, incaricandolo di portarsi colà, insieme all'oratore persiano Mirath, un notaio ducale e cinque famigliari. La parte fu presa in Pregadi con 148 voti affermativi contro 2 negativi; e furono eletti dapprima ser Francesco Michele, poi ser Giacomo Medin che rifiutarono, finalmente Caterino Zeno il quale accettò[14].
Frattanto arrivava pure in Venezia un altro legato di Uzunhasan, il quale, passato il mar Nero da Trebisonda a Moncastro[15] e venuto per la via di Polonia insieme ad un ambasciatore di quel re, dirigevasi al sommo pontefice per sollecitare col suo mezzo il concorso dei principi cristiani. Il senato gli rispose opportunamente « conforti per conforti et offerte per offerte » e lo accompagnò con lettera di raccomandazione all'oratore veneto in Roma, dove fu vestito ed accarezzato dal pontefice, e rimandato in Persia con un legato papale, frate di S. Francesco[16].
Caterino, figliuolo di Dracone Zeno[17], essendo stato molti anni col padre in Damasco, e qual nipote della despina moglie di Uzunhasan, si giudicò potesse servir bene e con profitto la patria in questa ambasceria al sovrano della Persia.
Ai 18 di maggio 1471 fu allo Zeno rilasciata dal senato la commissione [Documento VI]; ma dietro proposta del savio agli ordini[7] Pietro Donato, fu differita la di lui spedizione, fino all'arrivo da Costantinopoli di precise notizie sulle incamminate trattative di pace.
Le quali, poichè furono di manifesta e decisa rottura, il senato dava allo Zeno una seconda commissione a' 10 settembre 1471 [Documento VII].
Con queste due commissioni veniva incaricato lo Zeno di andare in Persia, per la via di Cipro e di Caramania, insieme al legato Mirath, e di mostrare a quel re il contento della repubblica per la sua potenza, e la perfetta sua disposizione di concorrere coll'armata navale in pieno accordo e lega con lui. Doveva pure lo Zeno giustificare le incamminate trattative di pace, accolte dietro domanda del Turco e in mancanza di ogni notizia dalla Persia, ma con lieto animo opportunamente a tempo reiette. Gli fu ordinato di portar seco un dono di panni d'oro da presentarsi ad Uzunhasan, e di visitare la regina, nonchè il signore di Caramania ed il re di Georgia. Finalmente egli ebbe incarico di rilevare e descrivere tutte quelle minute informazioni che potesse avere: della potenza del re di Persia, della sua età, valore, stato, confini, vicinanze, redditi, esercito; nonchè della sua disposizione e volontà nella guerra contro la Porta, e di tutte le altre cose che egli riputasse degne di essere conosciute.
Con questi ordini pertanto Caterino Zeno partitosi da Venezia, passò a Rodi pochi mesi, e di là, entrato nel paese del Caramano, pervenne dopo molto travaglio in Persia. Ed annunciato il suo arrivo, fu egli da quel re ricevuto con grandi dimostrazioni di onore, quale ambasciatore di una repubblica potente e confederata; e avendo poi chiesto di presentarsi alla regina, ne ebbe per grazia speciale il permesso, cosa insolita a concedersi a qualsiasi persona, dacchè non era costume in Persia che le donne, e particolarmente le regine, si lasciassero vedere.
Laonde condotto lo Zeno innanzi alla despina Teodora, e datale notizia di sè, fu accolto e ricevuto come caro nipote, fu alloggiato nel reale palazzo, e presentato ogni giorno (cosa riputata di molto onore) delle stesse vivande della real mensa.[8] Ed udita più particolarmente la cagione della sua venuta, la regina gli promise ogni aiuto e favore, riputandosi parente della signorìa di Venezia; e di fatto ella contribuì efficacemente ad indurre Uzunhasan a muovere le armi contro Mohammed[18].
Scriveva quindi lo Zeno il 30 di maggio 1472[19] al capitano generale Pietro Mocenigo, essere egli arrivato in Tauris al 30 aprile, aver trovata la più liberale accoglienza dal re e dalla regina, e la migliore disposizione di muovere nella Caramania e verso le coste contro gli Ottomani. E pregava il capitano generale di accordare passaggio ad un nuovo legato persiano, che Uzunhasan spediva a Venezia.
Giunse in fatti, alla fine di agosto, in Venezia l'oratore agì Mohammed, per chiedere alla repubblica soccorso di artiglierie, delle quali mancava il campo persiano.
Questo oratore recava alla signorìa un preziosissimo dono, che tuttora si conserva fra gli stupendi cimeli del tesoro di S. Marco. Esso consiste in un catino ricavato in una sola turchese di smisurata grandezza, avente il diametro delle celebri colonnette della cattedrale di Siviglia (m. 0,228). Sulla superficie esteriore stanno intagliate cinque lepri, e nel fondo le parole bar allah, interpretate dal Montfaucon opifex Deus, avvegnachè opera sì straordinaria e preziosa debba riputarsi divina. Il catino è contornato da una doppia legatura, entro e fuori, d'oro finamente cesellato e guernito di cinquanta gemme. Il Montfaucon dichiara che nessun altro cimelio gli ha destato maggior meraviglia, così pure il Cicognara; ma lo Zanotto ed il Durand dubitano, e forse a ragione, che il catino sia invece di pasta vitrea, la cui arte era perfettissima in Persia, d'onde si diffuse per la civile Europa[20].
Pochi giorni prima di agì Mohammed arrivava per la via di Caffa un altro messo persiano [Documento VIII], « spagnuolo di nascita e di fede ebreo » il quale confermava che il suo signore era in viaggio con un potentissimo esercito, e risoluto di non ritirarsi dall'Asia minore senza aver prima debellato il Turco.[9] Questo messo fu consigliato di presentarsi al re Ferdinando di Napoli ed al pontefice. Dai quali ottenne buone parole e scarse promesse. A Roma fu con due famigliari battezzato da papa Sisto, che gli pose il suo nome, e lo regalò di molti doni.
In seguito alla domanda di agì Mohammed, deliberavasi in senato la lettera ducale 25 settembre 1472 al re della Persia[21] per assicurarlo, che gli sarebbero spedite le chieste artiglierie, e che ordinavasi al capitano generale da mar di porsi intieramente colla veneta armata a di lui disposizione.
In questo senso scriveasi pure il 27 settembre allo Zeno, che ai 5 del successivo gennaio 1473[22] si rendeva avvertito del licenziamento di un nuovo oratore turco, venuto per ricercare la pace, mentre il senato non voleva conchiuderla se non d'accordo col re persiano, incaricandolo di annunziare ad Uzunhasan il prossimo arrivo delle chieste artiglierie, condotte da uno speciale ambasciatore.
Nel medesimo giorno in fatti il senato eleggeva oratore in Persia, collo stipendio di 1800 ducati all'anno, e coll'accompagnamento di dieci persone, Giosafat Barbaro, il quale per essere stato console veneto alla Tana e governatore in Scutari, conosceva perfettamente le lingue orientali[23].
E deliberava nella successiva tornata delli 11 gennaio[24] che si mandassero al re di Persia sei bombarde grosse, dieci di mezza grandezza e trentasei minori. Erano le bombarde una specie di mortaio in forma di tromba, nella cui bocca poneasi in luogo di palla una gran pietra. Inoltre 500 spingarde, specie di grande balestre, schioppetti e polveri quanti più se ne potessero raccogliere, pali di ferro 300, zappe 3000, badili 4000, e finalmente un regalo di panni pel valore di diecimila ducati.
Nella relazione del suo viaggio in Persia, pubblicata dal Ramusio, il Barbaro narra che partì da Venezia insieme ad agì Mohammed con due galere sottili, seguite da due grosse, cariche di bombarde, spingarde, schioppetti, polveri, carri[10] e ferramenta pel valore di 4000 ducati, e con 200 schioppettieri e balestieri, comandati da quattro contestabili e da un governatore che era Tommaso da Imola; e che li doni per Uzunhasan consistettero in lavori e vasi d'argento del valore di ducati 3000, in panni d'oro e di seta del valore di ducali 2500, e in panni di lana di color scarlatto ed altri fini del valore di ducati 3000.
E successivamente colle parti 5 novembre, 21 dicembre 1473 e 22 gennaio 1474, il senato ordinava di assoldare Antonio di Brabante bombardiere, e di mandarlo ad Uzunhasan insieme ad altri 500 schioppetti e 100 spingarde. Marino Contarini fu incaricato di fare questi nuovi acquisti; ed il capitano generale da mar, di farli giungere nella Persia[25].
Le commissioni a Giosafat Barbaro furono due: una palese, data il 28 gennaio 1473 [Documento IX], l'altra segreta l'11 febbraio seguente [Documento X].
Colla prima ordinavasi al Barbaro di andare oratore solenne per la repubblica in Persia, insieme al legato persiano agì Mohammed ed agli ambasciatori del sommo pontefice e del re di Sicilia, allo scopo di confermare ed animare vieppiù Uzunhasan nell'impresa contro i Turchi, e di recargli le chieste armi e le genti.
Cammin facendo egli doveva eccitare il capitano generale Mocenigo a fatti importanti nella nuova stagione, visitare il re e la regina di Cipro, procurando di indurli ad unire la loro flotta, e finalmente maneggiarsi per lo stesso fine coi cavalieri di Rodi.
Il veneto oratore dovea presentarsi al re di Persia insieme a Caterino Zeno, « per rendere più cospicua e solenne la ambasceria; ed esporgli, che la repubblica da dieci anni era in guerra col Turco deliberata di sostenerla e proseguirla d'accordo colla Persia sino all'ultimo eccidio del comune nemico; che aveva rifiutata ogni proposizione di pace; che l'armata veneta e la collegata aveano già infestate le marine dell'Anatolia, ed erano pronte a nuove[11] e più importanti imprese nella prossima primavera; e finalmente che egli portava seco le chieste artiglierie e gli uomini capaci d'instruire in quell'arma il suo esercito ».
Le cose espresse nella detta commissione, ebbe il Barbaro autorizzazione di comunicare agli ambasciatori del papa e del re Ferdinando che lo accompagnavano, ma non quelle contenute nella commissione segreta che gli fu data l'11 febbraio 1473.
Questa portava le istruzioni particolari, nel caso che ad onta degli sforzi del veneto oratore, per animarlo alla guerra, il re persiano inclinato avesse alla pace:
« Essere intenzione della repubblica di non venire mai a pace col Turco, se non qualora quegli acconsenta di rinunciare in favore della Persia tutta l'Anatolia che è viscere della sua potenza, e le terre al di là dello stretto, con tutta la ripa opposta alla Grecia, ed il castello dei Dardanelli, ed inoltre si obblighi a mai più fabbricare alcun altro castello lungo quella spiaggia, onde possano i Veneziani aver libero il mar Nero e ristorarvi gli antichi traffici e commerci ».
Se poi la conclusione della pace avvenisse da parte di Uzunhasan, doveva il Barbaro impegnarlo ad includervi la repubblica, procurando di farle restituire la Morea, Metelino, Negroponte, od almeno Negroponte ed Argo.
Con queste commissioni pertanto Giosafat Barbaro partì da Venezia a' 18 di febbraio 1473, e per Zara, Lesina, Corfù, Modone e Rodi giunse a Famagosta il 29 di marzo[26]. Ma quantunque alla repubblica assai importasse il sollecito suo viaggio in Persia, egli dovette fermarsi circa un anno nell'isola di Cipro, essendo tutte le coste occupate dagli Ottomani.
Quivi egli diede prove di carattere saldo e di valentìa negli affari di stato, mantenendo in fede il Lusignano, che per ambizione di regno era più tenero degli infedeli che dei cristiani, e provvedendo col generale Mocenigo in aiuto del principe di Caramania.
Il quale, alleatosi alla repubblica fin dal 1464, avendo chiesto a Giosafat Barbaro, che trovavasi in Cipro, soccorso per[12] ricuperare i castelli di Sighin, Kurku e Selefke, intorno ai quali stava il suo campo, ebbe dal Barbaro e dal Mocenigo la chiesta assistenza; perocchè, portatisi colla veneta armata alle marine, essi presero a viva forza Sighin ed ottennero a patti gli altri due castelli, che il Mocenigo[27] consegnò a Kasim beg fratello del Caramano, il quale ringraziatolo del possente aiuto, lo regalò di un leopardo e di un superbo destriero tutto addobbato con fornimenti d'argento[28].
Intanto Caterino Zeno non si stancava di eccitare la regina di Persia perchè persuadesse il marito a muovere la guerra a Mohammed, acerrimo nemico in particolare di lei, a cui avea fatta perire tutta la famiglia; per le quali persuasioni Uzunhasan, che era di già infiammato ad abbassare la potenza ottomana e ad innalzare la propria, scrisse al signore dei Georgiani che rompesse da quel lato la guerra[29], e mandò un oratore a Costantinopoli per chiedere Trebisonda ed i luoghi usurpati.
Questo oratore presentò al sultano, secondo il costume orientale, una mazza ed un sacco di miglio, per dimostrargli che il re della Persia avrebbe armato esercito potente e numerosissimo; ma il padishàh lo licenziava facendogli vedere a mangiare da poche galline quel miglio, e dicendogli: « Così i miei giannizzeri faranno cogli uomini del tuo signore, che sono soliti a guardar capre e non a guerreggiare[30] ».
Allora Uzunhasan rivolse ogni sua cura a raccogliere genti ed armi, e mandò notizia a Venezia della sua mossa, animando la repubblica a fare altrettanto dalla sua parte; con lettera recata da Sebastiano dei Crosecchieri cappellano di Caterino Zeno, nell'ottobre 1472[31].
Ai 15 di dicembre[32] lo Zeno partecipava le prime vittorie di Uzunhasan, che uditi i fatti della veneta armata sulle coste della Caramania, ancorchè non gli fossero ancora pervenuti i domandati sussidii, avea dato ordine di guerra, per nulla temendo i rigori della stagione e la mancanza di artiglierie.
Il veneto oratore seguì l'esercito persiano, e lo passò in rassegna prima che entrasse in campagna. Narra lo Zeno nella sua lettera del 9 ottobre 1472[33] che quello era composto di 100 mila cavalli, armati in parte alla maniera che usavasi in Italia, e in parte coperti da fortissimi cuoi atti a resistere ai grandi colpi. Gli uomini erano vestiti parte con corazzine dorate e maglie, e parte in seta. Aveano rotelle in luogo di scudi, e scimitarre.
Mentre l'esercito persiano dopo le prime vittorie attese nel verno a ristorarsi, Uzunhasan spedì un nuovo oratore a Venezia, il quale vi giunse per la via di Cipro nel mese di febbraio 1473, e recò la notizia della presa di Malatiah all'ovest dell'Eufrate, e dell'assedio di Bir[34].
Il serenissimo principe accolse il legato persiano con amorevolezza; si congratulò seco delle vittorie ottenute, esprimendo fiducia che il Barbaro si sarebbe recato quanto prima nella Persia colle bombarde, le spingarde, e coi maestri di artiglieria, spediti da quasi un anno. Ed egualmente scriveva ad Uzunhasan il 15 di febbraio[35], annunziandogli la venuta del Barbaro con efficaci sussidii, e l'ordine dato alla veneta armata di attaccare le coste, tostochè il di lui esercito si fosse a quelle avvicinato. Il Barbaro poi lo avvertiva da Colchos l'8 di giugno[36] di essere con potentissima armata e cogli ambasciatori del papa e del re Ferdinando ed agì Mohammed a di lui disposizione, e pronto ad attaccare la stessa Costantinopoli.
Queste lettere empierono di allegrezza e di speranze Uzunhasan, il quale ne fece bandire la nuova per tutto l'esercito,[14] e salutare a suon di trombette e zambalare il nome veneziano [Documento XI].
I Turchi, fatto anch'essi il maggior sforzo, si avvicinarono all'Eufrate poco lungi da Malatiah, dove sull'altra riva erano schierati i Persiani in ordinanza. Quivi si incontrarono i due eserciti, ed azzuffatisi vigorosamente, prevalse il persiano. Il sopraggiungere della notte però impedì, che la vittoria di Uzunhasan riescisse decisiva e finale.
Rotti pertanto gli Ottomani, scriveva a Venezia Luca da Molino, sopracomito del porto di S. Teodoro[37]: che era vicino il re di Persia, che il Mocenigo aveva incominciate le operazioni marittime, e che già tutta la costa erasi assoggettata e restituita al Caramano.
Laonde, elevati gli animi alle più belle speranze, si vinceva in senato, dietro proposizione di Girolamo da Mula, il partito, di scrivere al Mocenigo che penetrasse con tutta l'armata nello stretto, e si portasse a battere immediatamente la stessa Costantinopoli, qualora però fossero stati di tale avviso il legato papale e il capitano di Napoli[38].
Ma poco stettero le cose a cangiare d'aspetto. Battuti i Turchi, fu Uzunhasan spinto dai suoi ad inseguirli al di là dell'Eufrate, e potè raggiungerli presso Terdshan nelle vicinanze di Erzengian, alla fine di luglio del 1473. Mentre il suo esercito era in marcia, mandò l'11 di luglio a chiamare lo Zeno e gli comandò di scrivere all'imperatore ed al re d'Ungheria di « metter a foco et fiamma il paese de l'Othoman in Europa, perchè essendo esso, con l'aiuto di Dio, per aver certissima vittoria contro l'Othoman, el vol ch'el sia sfrachassado da ogni parte, che più nol se possa refar, et che totalmente sia estinto el nome suo[39] ».
Confidando pertanto nella favorevole sua fortuna, e credendo per la recente vittoria di poter ancora facilmente superare l'esercito ottomano, Uzunhasan apprestò a battaglia le sue truppe, appena che lo ebbe raggiunto[40].
Ma, attaccato invece vigorosamente e disperatamente dai Turchi, egli rimase sconfitto per modo che dovette fuggire nelle montagne dell'Armenia, abbandonando il campo e le salmerìe, mentre invano suo figlio Seinel perdeva la vita, cercando di tener testa coi pochi rimasti [Documento XII].
Per quella stessa opinione che Uzunhasan teneva di essere invincibile, si avvilì maggiormente di questa sconfitta; laonde non vedendo altra speranza che nel soccorso dei principi cristiani, ai quali le sue disgrazie non toccavano meno che a lui, spedì Caterino Zeno come proprio ambasciatore presso ai principi d'Europa: con incarico di domandar loro quell'aiuto che richiedeva il pericolo comune, e particolarmente dacchè, in contemplazione della repubblica di Venezia e degli interessi della cristianità, avea preso le armi. Prometteva poi di mettere in campo per la ventura stagione un formidabile esercito, onde continuare nella impresa.
Partitosi lo Zeno dalla corte persiana, si diresse alle rive del mar Nero, dove, noleggiata una nave genovese di Luigi Dal Pozzo, corse pericolo di essere tradito e consegnato agli Ottomani, se Andrea Scaramelli di notte tempo accostandosi secretamente con una barca alla nave, da quella non lo avesse levato, e condotto incognito a Caffa, insieme ad un di lui servo chiamato Martino.
Quivi trovandosi lo Zeno spoglio di denari e di ogni cosa, e non potendo essere assistito dal povero suo liberatore, potè una seconda volta salvarsi da mal partito e così porsi in grado di adempire ai suoi incarichi, per la fedeltà del suo servo Martino, che tanto lo pregò fino a che egli accondiscese di venderlo siccome schiavo per provvedersi di denari pel viaggio. La generosità del Martino fu poi riconosciuta[16] dal veneto senato, che lo riscattò e lo provvide di buona pensione[41].
Da Caffa lo Zeno scriveva alla signorìa, narrando il successo della guerra passata, le nuove speranze che ancora si avevano, e lo incarico a lui affidato da Uzunhasan, del quale spediva una lettera al doge Nicolò Tron relucentissimo sultan de la fede cristiana, cui prometteva di esser pronto a tentare di nuovo con tutte le forze della Persia la fortuna delle armi [Documento XIII].
Queste lettere furono assai gradite dal senato, che intendendo non essere ancora Giosafat Barbaro passato nella Persia, non gli parve convenisse alla dignità sua di lasciare un re affezionato e fedele senza un ambasciatore, dacchè lo Zeno erasi da lui dipartito.
Laonde il consiglio dei Dieci deliberava di spedirvi Paolo Ognibene[42] albanese, con commissione di confermare ad Uzunhasan che la repubblica intendeva di persistere nella lega, la quale non avrebbe mancato di fruttargli il possesso di tutta l'Asia turca; e di ponderare allo stesso quanto importava all'impresa che egli coll'esercito passasse l'Eufrate.
All'Ognibene non venne fissato alcun stipendio; ma gli fu promesso che la repubblica non mancherebbe d'usare verso la sua persona e famiglia la magnificenza solita verso chi ben la serviva.
Oltre a questa spedizione dell'Ognibene, il senato deliberava nel giorno 30 di ottobre dello stesso anno 1473[43] di eleggere un altro oratore solenne ad Uzunhasan; ma nominato Francesco Michele, egli rifiutò, e quanti altri venivano eletti declinavano tale onore per cagione del viaggio pericolosissimo; laonde furono prese le parti 22 e 30 novembre che stabilirono pene a chi si rifiutasse, e che autorizzarono il Consiglio a scegliere l'ambasciatore da qualunque luogo od ufficio.
Il 10 di dicembre 1473 fu eletto Ambrogio Contarini, quondam Bernardo, che accettò, ed il 20 scrivevasi al Barbaro,[17] che sollecitasse intanto la sua partenza da Cipro e per qualunque via procurasse giungere al più presto possibile nella Persia.
Le commissioni date dal senato ad Ambrogio Contarini furono due, una palese, e l'altra segreta.
La prima [Documento XIV] ordinava al veneto legato di abboccarsi coll'ambasciatore di Napoli, di cercar notizie di Caterino Zeno che credevasi a Caffa, e di Giosafat Barbaro, e con questi e col segretario Paolo Ognibene concertarsi per la miglior riuscita della sua missione.
La commissione segreta [Documenti XV e XVI] ricordava, come l'anno precedente, ritenendosi che il re persiano penetrasse nell'Anatolia, la repubblica avea ordinato al capitano generale Mocenigo di spingersi vigorosamente coll'armata nello stretto fino a Costantinopoli, mettendo a ferro e fuoco tutta la ripa, onde il nemico vedendo in pericolo la propria capitale fosse costretto a ritirare gran parte delle sue genti, così agevolando la vittoria al re di Persia; che inoltre la repubblica aveva mandate le chieste artiglierie e gli uomini esperti a maneggiarle; per le quali cose doveva Uzunhasan convincersi della buona volontà dei Veneziani, e degli sforzi che sarebbero sempre pronti a fare in suo favore: sia ch'egli, seguendo il parere del senato, spingesse la guerra per terra, mentre la veneta armata penetrerebbe nello stretto; sia ch'egli preferisse la campagna della Sorìa: purchè per l'una o per l'altra di queste imprese egli muovesse sollecitamente, il tutto consistendo nella celerità delle operazioni.
Se poi il veneto oratore avesse trovato il re disposto a tregua o pace, gli si ingiungeva di far di tutto per istornarvelo; e, non riuscendo, di ottenere che alla repubblica fossero restituiti Negroponte ed Argo, od almeno ch'ella fosse inclusa nella pace.
Questa commissione segreta ebbe ordine il Contarini di imparare a memoria prima di partire d'Italia, e di ritenerla col mezzo di contrassegni e cifre a lui solo note, con obbligo assoluto di abbruciare il foglio in modo che non potesse mai essere letto da alcuno.[18]
Intanto che l'Ognibene[44] ed il Contarini si dirigevano verso la Persia, e che il Barbaro altresì trovava mezzo d'incamminarvisi, Caterino Zeno proseguiva il suo viaggio di ritorno a Venezia, eseguendo le commissioni avute, quale ambasciatore del re persiano.
Trovò egli in Polonia il re Casimiro in guerra cogli Ungheri, ed esponendogli lo incarico avuto da Uzunhasan, lo esortò ed indusse a conchiudere la pace, per lasciare almeno agli Ungheri agio di unirsi nella lega contro i Turchi.
Dalla Polonia lo Zeno passò in Ungheria, dove ebbe grandi promesse, e l'onore del cavalierato il 20 aprile 1474. Finalmente egli arrivò in Venezia, e riferita in senato la commissione avuta dal re di Persia, fu per ciò inviato con altri quattro ambasciatori al papa ed al re di Napoli[45].
Queste legazioni non produssero il desiderato effetto e tornarono vane. I principi della cristianità si erano, secondo la robusta espressione di Giovanni Sagredo[46], raffreddati, anzi intirizziti. Ritornato in patria lo Zeno, fu egli nominato del Consiglio dei Dieci, a grande maggioranza di voti.
Frattanto il Barbaro col solo agì Mohammed ed il cancelliere, travestiti da pellegrini, senza roba e senz'altra famiglia, abbandonati anche dal legato papale e da quello di Napoli, poterono incamminarsi per la Persia l'11 febbraio 1474[47].
La relazione del viaggio di Giosafat Barbaro fu pure pubblicata dal Ramusio, e, tradotta in latino dal Geudero, fu inserita nell'Historia rerum persicarum del Bizarro.
Narra il Barbaro che partitosi finalmente da Cipro sbarcò al Kurku, e per Selefke, Tarsus, Merdin, Assankief e Sairt arrivò al monte Tauro, dove nel giorno 4 di aprile, assalito dai Kurdi e spogliato di ogni cosa, egli potè a stento salvarsi fuggendo, per aver sotto un buon cavallo. Ma egual sorte non toccava ad agì Mohammed ed al cancelliere, che rimasero da quegli assassini trucidati. Le disgraziate vicende del viaggio del Barbaro non si limitarono a questa, che, giunto a Vastan[19] presso Tauris, e richiesto del suo nome e della sua missione da quei Turcomanni che si trovavano alla porta della città, avendo egli detto di tener lettere per il loro re, ma che non credeva cosa onesta il mostrarle, fu assai maltrattato, e colpito dal loro capo con un pugno così vigoroso nella mascella, che per quattro mesi gliene durò il dolore.
Arrivato finalmente il veneto legato in Tauris ed acconciatosi in un caravanserai, fece sapere ad Uzunhasan che desiderava di presentarglisi. Il re mandò per lui immediatamente la mattina appresso; laonde fu condotto alla sua presenza così male in arnese, che « quanto avea in dosso non potea valere due ducati ». Fu accolto assai cortesemente dal persiano, che gli promise soddisfazione, e compenso del danno patito[48].
Il luogo del ricevimento fu un padiglione del magnifico palazzo detto Aptisti, che tenevasi per una delle meraviglie della Persia. Il padiglione giaceva nel mezzo di un giardino a trifoglio, con una rigogliosa fontana d'innanzi[49]. La loggia era decorata a grossi mosaici di varii colori; a mano sinistra sedeva il signore della Persia sopra un cuscino di broccato d'oro, con un altro simile dietro alle spalle, ed al suo lato stava un brocchiero alla moresca colla sua scimitarra. Uzunhasan ricevette il veneto ambasciatore, circondato dai grandi del suo regno, e mentre varii cantori facevano sentire dolci concenti, al suono di arpe, liuti, cembali e pive. Il giorno dopo mandò al Barbaro due vesti, uno sciallo di seta, una pezza di bambagio da mettere in capo, e ducati 20.
La relazione del viaggio di Giosafat Barbaro continua narrando i costumi, le ricchezze, il commercio, i prodotti della Persia confrontati con quelli d'Italia, e descrive l'esercito e la potenza di quel re. Dati questi importantissimi, ma che è inutile di ripetere, dacchè stanno pubblicati nelle sopracitate collezioni, insieme ad un'altra non meno interessante descrizione della Persia fatta da un mercante veneziano, che ivi dimorò intorno a quel tempo.
Circa l'esito della sua missione, il Barbaro dice: che quando[20] arrivò in Tauris, correva voce che Uzunhasan fosse deciso a continuare nella lotta contro i Turchi, ma che le conseguenze della infelice giornata di Terdshan, la ribellione di Oghurlu Mohammed, e la tiepidezza delle corti cristiane resero impossibile la riscossa. Egli portò invece le armi contro il re di Gorgora, e fatta con esso la pace, si ritirò nei propri stati, ove morì il giorno dell'Epifanìa dell'anno 1478.
Dopo la morte di Uzunhasan avvennero nella Persia i più gravi sconvolgimenti, che portarono finalmente la esclusione dal trono della sua dinastìa.
Laonde il Barbaro, presa licenza, si unì ad un armeno che recavasi in Erzengian, ove giunse ai 29 di aprile 1478. Quindi con una carovana andò in Aleppo ed in Beiruth, e con una nave di Candia si portò in Venezia, per recare al senato le notizie della sfortunata sua legazione.
Ed esito simile ebbero pur quelle di Paolo Ognibene e di Ambrogio Contarini.
Paolo Ognibene arrivava dalla Persia il 17 di febbraio 1475 e riferiva nel Consiglio dei Dieci: che entrato nel paese del Caramano si era unito con alcuni Turchi che andavano alla Mecca, dai quali poche miglia fuori di Aleppo si dipartì fingendo di avere perduta la borsa, e così avendo potuto ritornare in quella città, prese il cammino della Persia. Passato l'Eufrate, egli entrò nel paese di Uzunhasan, e presentatosi a quel re, fu accolto amorevolmente ed udito con attenzione.
Pochi giorni dopo l'arrivo in Persia dell'Ognibene vi giungeva Giosafat Barbaro, laonde Uzunhasan incaricava l'Ognibene di ritornare tosto a Venezia, e di esporre alla signorìa, ch'egli era re della propria parola, e che nella prossima primavera avrebbe allestito un poderoso esercito.
La relazione dell'Ognibene fu assai grata al Consiglio dei Dieci, che lo premiava colla nomina di massaro all'ufficio delle Rason vecchie, collo stipendio annuo di ducati 400[50].
Anche la relazione del viaggio e dell'ambasciata in Persia di Ambrogio Contarini fu pubblicata nelle citate collezioni. Partitosi quell'oratore da Venezia a' 23 di febbraio 1473, andò per la via di terra a Caffa, ove giunse ai 26 di aprile, passando per Norimberg, Potsdam e la Russia bassa. Imbarcatosi[21] sul mar Nero, si recò alle foci del Fasi al 1º di luglio, e per la Mingrelia, la Georgia e parte dell'Armenia, giunse al 4 di agosto nella città di Tauris.
Ma siccome il re di Persia trovavasi in Ispahan, il Contarini si diresse a quella volta, ove incontrò Giosafat Barbaro che lo seguiva in qualità di legato della repubblica.
Nel giorno 4 di novembre 1474 il veneto oratore si presentò ad Uzunhasan ed offerì le sue credenziali. Esposta la commissione avuta dal senato, ebbe affettuosissima accoglienza, ma assai breve ed ambigua risposta. E ritornato poi colla corte in Tauris, gli fu commesso da quel re di partire per Venezia, e di recare la notizia che egli era pronto a far la guerra. Fu il Contarini regalato di due vesti, di un cavallo e di poche altre cose, e fu incaricato di portare alla signoria alcune spade e turbanti.
Nel 28 di giugno 1475, quantunque convinto che le promesse di Uzunhasan difficilmente sarebbero state mantenute, il Contarini si licenziò da quel re, e per la via del Caspio e della Tartaria si diresse a Venezia.
Il viaggio di ritorno riescì al veneto legato oltremodo faticoso, avendo dovuto per terre barbare ed infestate, viaggiare senza o con pochi danari. Egli portava indosso una casacca tutta squarciata, foderata di pelli d'agnello, una triste pelliccia, e un berretto pure di agnello. Passato il gran deserto dell'asiatica Sarmazia, arrivò in Moscovia, e presentatosi a quel duca, fu assai bene accolto e regalato; quindi per la Lituania, la Polonia e l'Allemagna giunse a Venezia il 9 di aprile 1477, e riferito in senato l'esito della sua missione, corse a ringraziare Iddio di averlo preservato da tanti pericoli e di avergli conceduta la grazia di rivedere la patria.
Colla morte di Uzunhasan terminava per Venezia l'ultima speranza di appoggio; laonde nel 1478 la repubblica fermò pace colla Turchia, e pose fine ad una lotta che durò sedici anni, e che avrebbe potuto vendicare il 1453, in cui compievasi la gran vergogna della cristianità, e liberare l'Europa da una causa incessante di perturbazioni e di guerre.
La repubblica di Venezia però non cessava di considerare con grande interesse le cose persiane, dacchè a quella parte stavano ancora rivolte le sue speranze, nel quasi totale abbandono dei principi cristiani.
Sembra che il segretario veneto Giovanni Dario, spedito nell'anno 1478 alla Porta per negoziare la pace, avesse poi incarico nel 1485 dal bailo Pietro Bembo, di recarsi nella Persia, per attingere notizie sulla condizione di quel regno sconvolto dopo la morte di Uzunhasan, e sulla possibilità di una comune riscossa. Due lettere in fatti si conservano del Dario [Documenti XVII e XVIII], le quali però narrano solamente l'accoglienza ch'egli ebbe nel campo persiano, e quella fatta agli ambasciatori dell'Ungheria e dell'India, che eransi pure in quel tempo recati colà.
Allorquando poi il valoroso Ismaìl, capo della setta credente in Alì, detta dei Ssufì [51], approfittando dell'entusiasmo religioso s'insignorì della Persia, il veneto senato non solo cercò, col mezzo dei suoi rappresentanti in levante, ogni particolare notizia sull'origine, le forze ed i progressi di lui, ma rottasi la pace colla Turchia nel 1494, introdusse pratiche di alleanza con esso e col principe di Caramania.
Un gentiluomo di Costantinopoli, abitante in Cipro e suddito veneto, Costantino Lascari, spedito a questo fine nella Persia, lesse in senato al suo ritorno in Venezia nel 1502, una preziosa relazione del sufì [Documenti XIX e XX], dalla quale la repubblica, se ricavò importanti notizie delle vittorie e progressi persiani, dovette però convincersi non essere possibile di ristorare allora l'antica lega con Ismaìl, laonde mancandole eziandio i soccorsi chiesti alla Francia ed al Portogallo, conchiuse la pace colla Turchia, che fu giurata il 14 dicembre 1502 dal sultano, e il 20 maggio 1503 dal doge.[23]
Non ismettevasi tuttavolta in senato il pensiero, che fu poi la costante politica tradizionale della repubblica, di studiare le occasioni opportune, per frenare la prepotenza ottomana, e per rilevare in levante la supremazìa politica e commerciale dei Veneziani.
I dispacci dei baili a Costantinopoli riportati dal Sanudo, e quattro relazioni che in quei preziosi diarii sono pure conservate inedite, fanno di ciò piena testimonianza. La prima è una deposizione del nunzio Dell'Asta fatta alla signoria nel dicembre 1501, intorno al nuovo profeta Ismaìl[52]; la seconda una relazione 7 settembre 1502 del luogotenente di Cipro Nicolò Priuli, sui progressi del sufì e della sua setta[53]; la terza una deposizione fatta nell'ottobre 1503 intorno ai successi persiani, da un Moriati di Erzerum spedito appositivamente in Tauris dai rettori di Cipro[54]; la quarta finalmente è una lettera di Giovanni Morosini da Damasco del 5 marzo 1507[55], la quale narrando con ogni possibile esattezza le lotte del sufì contro Alidul e la Turchia, rappresentava al senato « quello essere il momento opportuno di cospirare d'accordo fra i principi cristiani e la Persia, nella santissima impresa di scacciare il Turco d'Europa ». La lettera del Morosini termina col seguente ritratto dello shàh Ismaìl.
« Il sophi è adorato et è nominato non re nè principe, ma sancto et propheta: è bellissimo giovane senza barba, studiosissimo et doctissimo in lettere, dicono aver con sè tre preti armeni, i quali per otto anni continui sien stati suoi precettori, et non lascivo al solito dei Persi, homo de grande justitia et senza alcuna avidità, et molto più liberal de Alexandro, anzi prodigo di tutto, perchè come gli vien el danaro subito lo distribuisce in modo che el par un Dio in terra; et come ai templi se fanno offerte si offeriscono a lui le facultà, et hanno de gratia che tanto si degni de acceptarle. La fede veramente che el tien no se intende; ma se pol conjetturare che el sia più presto cristiano che altro,[24] persuadendo li popoli che Dio vivo che è in cielo li governa. Vive con amor religioso et si contenta di quanto ha minimo et privato homo. L'ha tamen qualche schiava et anchor non legittima mogliera; nol beve vino palese nè occulto, ma qualche volta el mangia certa herba che alquanto aliena, et allora commette qualche severità; et tamquam sanctus par de divination, perchè mai si consiglia con alcun; et per questo tutti crede che el sia ad ogni sua operation divinitas in ispirito. El tien una gatta sempre con lui, et guai a chi fasse alcuna offension a quella.... ».
Questo valoroso principe fondatore della dinastìa dei Sufiani, non mostrava minore desiderio del veneto senato, a stringere l'alleanza, e ad unire le proprie armi a quelle della repubblica.
Scriveva in fatti il console a Damasco Bartolomeo Contarini nel novembre dell'anno 1505[56]: essere a lui venuto un chasandar del Caramano con una lettera del sufì di Persia, scritta in lingua agemina[57], al soldan dei Veneziani, colla quale narrando le conseguite vittorie gli partecipava il suo grande amore e la sua speranza di presto incontrarsi con lui.
Questa lettera fu ricevuta a Venezia nel gennaio 1605 [Documento XXI] insieme ad alcune monete d'oro e d'argento del nuovo signore della Persia, le quali portavano le seguenti iscrizioni così ricordate dal Sanudo nei suoi diarii[58].
Da una parte:
« Soldam, Ladel, Elchemel, Elhadi, Sainsa, Elmoda, Ismail Sain, Chaledule Melche (El Signor giusto, compido, corredor, re dei re, el victorioso Ismail mundo et puro, Iddio fazi el so regno eterno) ».
E dall'altra parte la formula religiosa dei Persiani:
« Lailla, Lhalla, Mahumet Resulhalla, Uhalì, Ulihalla (Un solo Dio, un solo messo Maometto, un sanctissimo Ali) ».[25]
E due anni appresso Ismaìl reso ancor più potente per felici imprese, e nemico a Bajezid per la diversità della religione e la gelosia del dominio nell'Asia, mandò formalmente oratori a Venezia per chiedere alleanza, conforme a quella che Caterino Zeno aveva conchiusa con Uzunhasan[59].
Ma per quella fatalità, che ha poi sempre impedito la effettuazione del grande concetto politico dei Veneziani, in quel tempo medesimo i principi cristiani congiurando a Cambray contro Venezia, la posero nella necessità di lasciarsi sfuggire la vagheggiata occasione.
Il senato ricevette il primo annunzio di questa intenzione del sufì dal console a Damasco Contarini, con dispaccio 4 marzo 1508[60]; quindi nel settembre dello stesso anno il provveditore di Napoli di Romania scrisse ai capi del Consiglio dei Dieci, che di notte secretamente erasi a lui presentato un messo del sufì della Persia « per pregarlo di informare il veneto senato che il suo re era amico dei cristiani, veniva a rovina del Turco, voleva bene a san Marco et alla signorìa, ed aveva fatto penetrare il suo esercito nell'Anatolia[61] ». Finalmente colla nave di ser Francesco Malipiero arrivarono a Venezia due oratori, uno persiano ed uno caramano, con lettera di Ismaìl tradotta dal console Pietro Zeno, la quale, accreditando i suoi ambasciatori, esprimeva la buona amicizia che il re persiano portava alla repubblica, ed il suo desiderio di stringerla maggiormente e più efficacemente[62]. Accolti essi cortesemente dal senato, furono a spese pubbliche alloggiati nel palazzo Barbaro a s. Stefano dove abitava l'oratore di Francia.
Pochi giorni dopo si presentava in collegio il solo ambasciatore persiano, colla formale domanda d'Ismaìl: che gli fossero mandati dall'Italia per la via di Sorìa maestri che gettassero artiglierie; e che la veneta armata tenesse occupato Baiezid nella guerra di mare presso alle coste della Grecia, mentre egli lo avrebbe chiamato a battaglia nell'Asia minore.[26]
Il collegio ricevette onorevolmente l'ambasciatore persiano; ma gli fece rispondere dai savi « che i Veneziani si ricordavano molto bene la buona amicizia e la lega che avevano stretta col re di Persia, che essi erano molto contenti che il sufì fosse nemico dei Turchi, avesse pensato di comunicare alla repubblica l'interesse della guerra, e promettesse quelle cose, le quali se Uzunhasan avesse mantenute non vi sarebbe forse più stata occasione di muover guerra agli Ottomani; ma che tali erano i cambiamenti delle cose del mondo, che siccome in quel tempo il persiano non pensò o non potè ritentare la sorte delle armi, così ora la repubblica trovandosi in gravissima condizione, non poteva far ciò che pure ardentemente desiderava, avvegnachè era occupata in una importantissima guerra, mossale dai più potenti sovrani d'Europa che avevano congiurato a Cambray, non provocati da ingiuria alcuna, ma solo eccitati da invidia della felicità dei Veneziani ».
E però si commetteva al persiano di riferire al suo re: che la repubblica avrebbe all'occasione e potendo fatta ogni opera affinchè il sufì conoscesse ch'ella non aveva cosa alcuna più cara dell'amicizia dei Persiani, nè maggior desiderio di quello, di unire alle loro le proprie armi, per frenare od abbattere la prepotenza ottomana[63].
L'ambasciatore persiano, così licenziato, partì colle galere di Cipro, arrivato in Candia ammalò[64]; quindi passato nella Siria, tenne ragionamento segreto con Pietro Zeno console veneto in Damasco sulla probabilità di un prossimo concorso della veneta armata colle forze persiane.
La qual cosa essendo venuta a cognizione del sultano del Cairo, egli altamente se ne adirò, rispetto particolarmente alle minaccie fattegli da Bajezid, per aver tollerato che nei suoi stati, ministri persiani congiurassero contro di lui; laonde ordinava la immediata carcerazione dello Zeno, e del console veneto in Alessandria, Contarini.
Scriveva allora il senato al sultano[65]: non aver avuto la veneta signorìa alcuna ingerenza in quei discorsi, che se[27] pur fossero stati fatti erano di carattere meramente privato, nè alcuna notizia di que' nunzi... « Se questa po' è causa de romper una tanto longa amicizia lo lassemmo al savio parer del sultan. No giustifichemo cosa alcuna, solo dicemo la verità[66] ».
Lo Zeno ed il Contarini tosto furono posti in libertà; ma non essendo cessato del tutto il mal animo del sultano per la venuta in Venezia degli oratori persiani, il senato commetteva a Domenico Trevisan, eletto nel 22 dicembre 1511 ambasciatore straordinario al Cairo per affari di commercio, di cercare ogni mezzo e via di calmarlo « rappresentandogli che la loro venuta non fu ad alcuno male efecto, ma solum per comunicare le occorrenze et li successi del loro signor, el qual mostrava di esser affetionato alla signorìa nostra, et ai quali fu in corrispondenza con parole generali risposto, com'è costume della signorìa nostra de fare con tutti[67] ».
Di questa ambasciata Domenico Trevisan lesse in Pregadi a' 24 di ottobre 1512, la stupenda relazione riportata dal Sanudo[68], e Pietro Zeno narrò pure lungamente i suoi casi nel gennaio dell'anno seguente[69].
E quella non fu la sola volta che i Veneziani nella Siria mostrassero troppo chiaramente lo interesse della repubblica per la Persia, mentre si ha notizia di un Andrea Morosini, rinomatissimo pel vasto negozio di mercatura in Aleppo, che fu fatto morire per avere nell'anno 1526 sovvenuto di danari e di cavalli Roberto ambasciatore di Carlo V, che passava in Persia[70].
Posto fine colla pace di Bologna, 1529, alla guerra che slealmente aveano mossa i principi cristiani alla repubblica, essa ricominciò a guardare all'oriente verso il naturale suo nemico, e a seguire colla più viva attenzione le vicende delle guerre che ferveano nell'Asia fra i Turchi ed i Persiani.[28]
Riferiva in senato a' 3 di giugno Daniello Ludovisi segretario, ritornato da Costantinopoli[71], che quantunque le forze del re di Persia, limitate a cento e ventimila cavalli, non si potevano ritenere in caso di contrastare felicemente col Turco, la gran difesa di quel regno consisteva nel ritirarsi, spogliando il paese di ogni sorta di vettovaglie; ed il bailo Bernardo Navagero nel 1553[72] assicurava che il sufì era poco meno che adorato dai suoi sudditi e temuto assai dal Turco, il quale non potrà avere mai nemico maggiore del re di Persia, per la differenza della religione e per la condizione rispettiva dei loro Stati.
Daniele Barbaro presentava nello stesso anno 1553, una relazione della guerra di Persia mossa da Suleiman per vendicare la infelice spedizione del 1548; la quale relazione, pubblicata siccome anonima dall'Albèri[73], è ricca di curiose ed importanti notizie; bella soprattutto per tre minute descrizioni: della fine miserabile di Mustafà figliuolo di Suleiman fatto strangolare per ordine del padre; della città di Aleppo; e della pomposa entrata che vi fece il padishàh.
Ricordava il bailo Domenico Trevisan sul finire dell'anno 1554[74] essere il sufì l'unico impedimento al gran signore di impadronirsi di tutta l'Asia.
Ed Antonio Erizzo ritornato da Costantinopoli nel 1557, narrando i particolari della guerra turco-persiana finita colla pace di Amasia nel 1555, considerava[75] il manifesto pericolo che dalla parte della Persia sovrastava alla Turchia, ed il mal animo del gransignore contro quel re, del quale avrebbe voluto più presto la rovina che di qualsivoglia altro, ancorchè cristiano.
Marino Cavalli nel 1560 riferiva in senato[76] che il gransignore assai temeva il re della Persia per la possibilità sua di sollevargli alle spalle tutto il paese, quando egli fosse in guerra coi cristiani; e faceva constare che soltanto tre cose potevano condurre a rovina l'impero ottomano, cioè: I. Le divisioni ed i dissidii interni. II. La corruzione del governo e la vita licenziosa, avara e sensuale di quei popoli. III. Un re di Persia valoroso che, fatta la pace coi Tartari suoi confinanti, volesse ricuperare il suo, coll'aiuto dei principi cristiani: aiuto che, secondo il Cavalli, avrebbe dovuto prestarsi per almeno cinque o sei anni, dacchè « non bisogna pensar di soggiogar mai i Turchi, nè vincerli, se non ammazzandoli, come essi fecero dei Mamelucchi, e questo non si potrà fare in poco tempo, nè con due o tre battaglie ».
Finalmente il bailo Marcantonio Barbaro sosteneva in senato: che freno alcuno non potea maggiormente domare ogni insolente pensiero dei Turchi, quanto il conoscere essi la buona intelligenza fra i principi cristiani ed il re della Persia[77].
Per queste considerazioni e rispetti, allorquando Selino mosse la guerra ai Veneziani, per la conquista del regno di Cipro, la repubblica deliberava di rivolgersi a Thamasp re di Persia, eccitandolo ad unirsi seco nella lega per vendicare le antiche e le recenti ingiurie.
Il Consiglio dei Dieci consegnava a tal fine, nel 27 di ottobre 1570 a chogia Ali negoziante di Tauris, che trattenutosi a Venezia per affari di traffico, desiderava di ritornare nella Persia, una lettera ducale a quel re [Documento XXII], colla quale annunciandogli la ingiusta guerra intrapresa contro la repubblica da Selino, lo eccitavasi a fare un'importante diversione nell'Asia, che avrebbe paralizzate le forze turchesche, accresciuta gloria al suo nome, potenza e sicurezza all'impero persiano. E tre giorni appresso il medesimo Consiglio dei Dieci commetteva al segretario del senato Vincenzo degli Alessandri [Documento XXIII], uomo peritissimo nel viaggiare e conoscitore delle lingue orientali per la lunga dimora fatta a Costantinopoli,[30] di recarsi secretamente nella Persia con altra lettera ducale a quel re [Documento XXIV], per informarlo a viva voce dei grandi apparecchi che si facevano da tutti i principi cristiani onde assalire con eserciti e flotte l'impero turchesco, e per esortarlo a cogliere la favorevole occasione di rompere dalla sua parte la guerra, mentre gli Stati ottomani nell'Asia erano spogli delle truppe mandate all'impresa di Cipro.
Il viaggio del veneto oratore nella Persia e l'esito della sua missione, furono dallo stesso Alessandri narrati col dispaccio ufficiale 24 luglio 1572, che qui si riporta nella sua integrità[78].
Serenissimo Principe, Illustrissimi Signori.
« Essendo in questo ritorno di Persia cascato in pericolosa disposizione di febbre e petecchie in Leopoli, e parendomi essere alquanto risanato, mi posi in cammino per presentarmi a' piedi di Vostra Serenità, nè avendo ancora avuto le forze per poter continuare, essendo molto battuto sì dal lungo viaggio che dalla presa malattia, mi sono fermato per qualche giorno in questa città, e comprendendo quanto può esser caro alla Serenità Vostra saper el successo del negozio commessomi, ancorchè da Tauris due volte abbia inviato per l'Armenia lettere a Costantinopoli all'illustrissimo Bailo, le dico: che dappoi che fui spedito da questo medesimo Consiglio a Tamasp re di Persia con lettere e con commissione che io gli dessi conto della guerra ingiustamente mossale da sultan Selin, delle gran preparazioni di armada che per difesa de' suoi stati ed offesa di sì gran inimigo la Serenità Vostra aveva fatto, e dell'unione dei principi cristiani mossi per questa causa, che dovessi etiam invitare desso re a prender l'armi in sì venturata occasion contro detto Selin, mi partii con quella maggior diligenza che fu possibile tenendo la via di Germania, Polonia e Bogdania, discendendo nel paese del Turco a Moncastro, città sopra le rive del mar maggiore, dal qual luogo scrissi alla Serenità Vostra ai 19 di marzo del 1571 e le diedi avviso del cammin che avevo a tenere, ed essendomi alquanti giorni fermato per aspettar[31] passaggio che mi conducesse in Asia; venuta occasion di nave, mi partii, nè potendo per venti contrarii arrivare a Trebisonda, com'era intenzione mia, smontai a Sinope, sebben per quella via il cammin fu lungo e di molto pericolo, avendo dovuto passare per la città di Samsum, Tokat, Erzengian, Derbent ed Erzerum e de lì entrar nella Persia.
« Giunsi nella città di Tauris, metropoli di quel regno, a' 17 di luglio, mi fermai alquanti giorni per prendere informazione del modo del negozio di là, per non andar del tutto nuovo ed inesperto a Casbin, città dove il re già da molti anni fa la sua residenza. Ed essendomi imbattuto in un gentiluomo inglese, el qual per via di Moscovia con molta facultà di carisce ed altri panni era venuto per il fiume Volga in Persia, con nome di ambasciatore della regina e con lettere di credenza, e si aveva trovato col re e fatti gran presenti ed ottenuti comandamenti di poter liberamente contrattare, condur mercanzie e dal paese trarne quella quantità e sorte che le pareria sì per conto suo, come di altri mercanti inglesi; avendo con detto gentiluomo contratto alquanto di amicizia, intesi il modo del governo e come sultan Caidar Mirza, terzo figliuolo del re e luogotenente del padre, indirizzava tutti li negozi; con queste ed altre istruzioni della natura del re mi partii, ed ai 14 d'agosto giunsi a Casbin, essendo venuti a trovarmi alcuni mercanti armeni i quali avevano mandati li loro fattori in cotesta inclita città desiderando sapere alcuna nuova, li dissi che la Serenità Vostra li aveva licenziati già molto tempo insieme colle loro robe e che erano partiti prima di me, alli quali domandai l'ora che il figliuolo del re ammette all'udienza; mi dissero per ordinario di notte, dicendomi etiam esser signori della loro terra chiamata Diulfa e che uno risiedeva lì per agente. Mostrando essi di aver facile introduzione li dissi che io aveva lettere di Vostra Serenità alla maestà del re, e che mi sarebbe stato caro per mezzo loro che alla corte di Mirza si fosse saputa la mia venuta. Questi si partirono ed aspettato che detto signor uscisse dal padre, il quale secondo il costume di quella corte non uscì dal consiglio prima che a tre ore di notte, e subito giunto al suo palazzo li diedero avviso; nè mettendo tempo di mezzo comandò ad alcuni dei suoi gentiluomini che venissero per me.[32]
« Giunto io a lui, si partì da uno delli fratelli ed altri signori con li quali guardavano alcuni giochi di fuoco e solo con un suo gentiluomo si ritirò sotto una loggetta. Introdotto che fui alla sua presenza dissi: che se la Serenità Vostra avesse saputo che S. A. tiene sì degnamente il grado di Luogotenente del re, con ispeciali lettere là lo avrìa honorato, siccome colle presenti lo fa alla maestà di suo padre. Mirza con grata ciera rispose che io fossi il benvenuto, e che li pareva strano il mio lungo cammino in questi tempi per paese degli Ottomani. Mi domandò se aveva presso di me la lettera: io gli mostrai il vasetto di stagno, e dissi che la era là dentro, per il che restò pieno di meraviglia, la prese e volse in un fazzoletto dicendo di presentarla così al re; mi domandò se v'era altro al presente, risposi che con gran fatica mi avevo potuto solo presentare a S. A. rispetto l'esser venuto per mezzo il paese de nemici, ma che con occasione la Serenità Vostra non avrìa mancato di onorare la maestà del re e sua signorìa con quei degni presenti che se le conveniva. Ringraziò e mi dimandò del contenuto della lettera. Io gli dissi che credevo che la Serenità Vostra desse avviso a S. M. della poca fede osservatale da sultan Selin, il quale con solenne giuramento aveva promesso e giurato in nome di Dio, delli profeti, e per le anime dei suoi passati di osservar buona e sincera pace colla Serenità Vostra, ora mosso da avido desiderio, sprezzando ogni onor, nè curandosi di esser tenuto presso i principi del mondo mancator di parola, con tutte le forze sue da mare e da terra aveva fatto sbarcare eserciti a Cipro per impadronirsi di quell'isola; però che la S. V. colla sua potentissima armata di molte galere, galeazze, navi ed altri vascelli di battaglia si era preparata all'offesa di sì crudel tiranno, e che desiderava che la maestà del re sapesse che siccome poco innanzi il Turco non osservò il giuramento fatto all'ambasciatore di V. S., così non osserverebbe le promesse fatte all'ambasciatore di S. M., ed avrebbe cercato quanto prima pace colla S. V. per cominciare guerra con lui, come per molti esempi delli passati imperatori ottomani, S. A. poteva di ciò esser certa; e che ora in sì grande e quasi certa occasione di vittoria, la S. V. mi avea mandato per invitar il re suo padre a prender l'armi, essendosi mossi già li[33] maggiori principi cristiani; e che solamente bastava che S. M. col potentissimo suo esercito si muovesse sia per riavere le città e castelli ingiustamente toltigli dalli passati signori ottomani, sì per la molta inclinazione che tutto il popolo dal fiume Eufrate fino alli suoi confini gli portava, come a re giusto et loro antico naturale signore. Il che non gli saria stato difficile, rispetto che molti bascià, baglierbei di Natolia, di Caramania e sangiacchi, erano andati all'impresa di Cipro, avendo lasciato il paese privo d'ogni presidio di gente; oltrecchè la S. V. insieme colli principi averia in modo tenuto oppresse in quelle parti le forze di esso Selino, che non saria mai stato ardito di abbandonar Costantinopoli per passare in Asia.
« Mirza, dopo di avermi con attenzione ascoltato, disse che era proprio dei signori ottomani il primo e secondo anno del loro imperio romper ogni promessa, dicendo esser benissimo istrutto della loro poca fede, e che avria data la lettera al re e fattogli sapere le cose da me intese, procurando di farmi avere udienza quanto prima, e più segretamente; perchè in tal negozio conosceva esser così l'intenzione sua, rispetto che l'ambasciatore d'Inghilterra già poco tempo avendole baciato pubblicamente la mano, avea messo in gran sospetto li bascià delli confini, li quali fin allora dissero che S. M. era per unirsi colli Franchi; il che se lo farà, non vorrà che di ciò abbiano avviso alcuno, nemmeno occasione di sospettare sicchè coglierlo potrà alla sprovvista; dimandandomi se di certo la lega era conclusa e quali principi erano più potenti in mare. Gli dissi, la Serenità Vostra, la maestà del re di Spagna ed il sommo pontefice; mi domandò se il re di Portogallo era compreso in detta lega, gli dissi che ancor lui era per entrare, perchè oltre l'essere congiunto di stato e di volontà col re di Spagna, era figliuolo di una sua sorella; mi dimandò etiam del re di Francia: risposi che al presente non aveva galere; e qui si pose fine, partendomi accompagnato dal suo maggiordomo, il quale mi disse che Mirza di queste nuove sentiva grandissimo piacere, e che ogni particolare avria riferito al padre.
« Stando io in aspettazione di essere chiamato al re, et passati alcuni giorni dissi alli Armeni, i quali del continuo erano alla porta di Mirza, che mi pareva strano non aver[34] avviso alcuno di essere introdotto, e mi sarebbe stato caro che dal maggiordomo avessero inteso se a S. M. era stata presentata la lettera e quello che l'aveva comandato: i quali intesero che la mattina seguente Mirza gliela avea presentata in quel vasetto, che era stato in lungo ragionamento col padre, ma non sapevasi quello avesse ordinato. Il secondo giorno andai dal detto maggiordomo, il quale disse aver inteso da Mirza che il re aveva comandato che mi fermassi, e fatta tradurre la lettera dal dragomanno che fu dell'ambasciatore d'Inghilterra, il quale si era fatto turco, e visto che per quella accusava una antecedente mandata da V. S. per un chogia Alì mercante di Tauris, però voleva vedere anche quella, poi mi avria spedito. Gli dissi che detto mercante non poteva molto tardare, essendosi partito da Venezia due mesi prima di me, e che sebbene la S. V. mi aveva imposto diligenza, mi acquetava col volere di S. M.
« In questo intervallo di tempo cercai di istruirmi di ogni particolare, sì della persona ed animo di questo re e figliuolo, come dei signori da loro chiamati sultani, del modo di governo di quella corte e regno, delle loro entrate e spese et etiam della qualità e numero di milizie che possono fare, come dalla S. V. nell'ultimo del mio partir mi fu comandato che io avessi ad osservare, le quali cose non scriverò al presente, sì per non attediar colla lunghezza loro la S. V., come per non essere in atto di poterlo fare.
« Giunse a' 3 di novembre chogia Alì accompagnato da un gentiluomo del sultano di Tauris parente del gran cancelliere al quale fu indiricciato, e subito condotto al re prima ch'io sapessi la sua venuta, il quale aspettai che uscisse dal palazzo, e mi riferì che S. M. gli aveva dimandato dove si aveva trattenuto tanto tempo e che era molti giorni che lo aspettava e avvicinandosegli disse: questo è di quel bel panno di Venezia, avendo chogia Alì fatto presente di tre veste. Gli diede il libro dicendo che la lettera della S. V. era là nella coperta, il re ordinò al nipote figliuolo di Codabem Mirza, primo figliuolo di S. M. che dovesse portarle dentro alle donne; gli domandò se era vero della lega, e se a Venezia era carestia di grano, rispose esser la lega conclusa al fermo, e che al presente vi era abundanzia non avendo durato la carestìa se non che 4 mesi, domandò se in detto tempo si trovava[35] pane, disse che ve ne era quantità grande e che per tutte le piazze si vendeva ma era caro; rispose il re di ciò poco importava dicendo questo esser contrario agli avvisi che da un ciaus di Erzerum li furono dati, il quale disse che non si trovava pane per danari e che perciò moriva molta gente; domandò se il signor di Transilvania era sollevato contro il Turco, disse di sì, e che essendo in Andrianopoli passò Acmat bascià, il quale con esercito andava contro detto signore. Il re si lontanò alquanto da chogia Alì, e disse ai sultani signori, la lega di certo è conclusa, ed il Transilvano che era l'ala destra dell'esercito degli Ottomani si è levato contro loro. Di nuovo S. M. domandò se aveva vedute le preparazioni dell'armata e se era in gran numero; disse che aveva contato 300 galere, 20 galere grosse e molte navi dicendogli ogni particolare, come erano armate e quanta artiglieria che v'era sopra, e che aveva inteso esser quelle di Spagna 100 e 50 quelle del Papa; e volendo incominciare a parlare del negozio della lettera, il re disse che ei sapeva ogni cosa; così restò, e rivolto al cancelliere, replicando disse: bene bene, fermandosi per un poco; poi ordinò ad un Turco che con diligenza dovesse andare a Shirvan a far levare 28 pezzi d'artiglieria che si trovava a Sanbiachi città vicina al gran Caspio e condurli nel castello di Derbent alli confini del Turco, e che etiam fosse condotto dal detto luoco 600 somme di camelli di armadura vicino a Tauris.
« Dato che ebbe S. M. questi ordini, presente chogia Alì, li dimandò se era vero che il bascià fosse andato all'impresa di Candia, il quale rispose non saper di certo, ma aver inteso che l'armata di V. S. dovrà invernar in quelle parti, e che se fosse andato il bascià sopra quell'isola, al fermo si avria incontrato e saria seguita battaglia, domandò che forma aveva il galione e se era vero che sopra vi fosse 300 bocche da fuoco. Chogia Alì disse che tra grandi e piccole passavano questo numero, il capitano della guardia, che da loro è chiamato Cursi bassi, disse che li pareva impossibile, il re rispose che in materia di legni armati e di artiglieria tutto quello che intendeva dei Veneziani dovesse crederlo, perchè per via di Aleppo, di Costantinopoli ed altri luochi aveva avvisi conformi, dicendo che chogia Alì dovesse parlare e dire tutto quello sapeva. Il qual rispose aver veduto tante[36] cose che in un subito non le poteva dir così presto; disse il re che non partisse, ed ordinò che si fermasse, ma avendo aspettato fin ora tarda entro alle donne, fu licenziato. Io, desiderando espedizione, andai da sultan Caidar Mirza e dissi a sua signorìa che chogia Alì era giunto, e che io desiderava qualche risposta essendo vicino a tre mesi ch'io mi trovava a quella corte; mi disse che l'aveva veduto a parlare col re, e che quanto alla espedizione mia con la venuta di questo facilmente potrà venir a memoria a suo padre ed espedirmi, perchè lui conosceva la sua natura che non voleva gli fosse ricordata cosa alcuna, e che però bisognava aspettare.
« Di ciò consigliatomi con chogia Alì, disse avria parlato al gran cancelliere, dal quale ebbe risposta che questo negozio era indiricciato con Mirza e che non sapeva come ricordarlo a S. M., ma che bisognava aspettar uno o due anni per veder prima qualche buon progresso di questa guerra, poi averia risposto, che questo era signor prudente ed in simil negozio si governava coll'occasione e con il tempo, che li presenti disturbi del Ghilan impedivan la risoluzione di altri affari. Chogia Alì disse al signor segretario che la S. V. mi aveva imposto diligenza, e che però instavo espedizione, il qual rispose che a gran negozio vi voleva gran tempo a risolvere. Stando io in molto travaglio di animo, sia per la irresoluzione loro, come perchè li denari mi erano venuti a manco, mi fu arricordato da quelli Armeni che mi indirizzarono a Mirza che dovessi trovarmi con un signore chiamato Eminlicbes famigliarissimo del re, il quale trattava molti importanti negozi. Andai da detto signore con un picciol presente e gli diedi conto del successo, e lo pregai ad interponersi alla mia espedizione, il qual mi promise con l'occasione di farlo. Due giorni dopo mi mandò a chiamare e mi disse che aveva parlato con S. M. la quale aveva visto il tenore delle due lettere, che Mirza oltre li aver parlatole a viva voce di tal negozio, lo aveva etiam posto in scrittura tutto quello che nella prima udienza aveva ragionato con me, e data essa scrittura al re, che al presente non poteva con animo riposato far rispondere a detta lettera, e che aveva comandato che essendo qui due per un effetto, l'uno fosse licenziato e l'altro restasse per la risposta. Ringraziai detto[37] signore del cortese ufficio e mi trovai con chogia Alì e li riferii l'ordine del re, il quale disse che lui saria restato volentieri, sì perchè aveva già venduta la sua mercanzia a tempo, come perchè quella promessa che dalla S. V. li è stata fatta, è con condizione che abbi a portar risposta della lettera a lui data. Io vedendo il desiderio suo di restare, e sapendo che questo caso era poco servizio di V. S. che più lui che io per tal causa restasse, risolsi di partirmi ed il giorno seguente presi licenza da sultan Caidar Mirza, e gli dissi quanto la maestà del padre aveva comandato, e che con buona grazia di S. A. mi volevo partire. Mi disse che gli dispiaceva che io forse contro il volere mio avessi tardato tanto; ma che l'ordinario dei negozi di questa corte portava seco lunghezza di tempo, volendo il re vedere minutamente ogni cosa, e che lo raccomandassi alla S. V. Ringraziai S. A. e dissi che la V. S. nelle occasioni non saria mancata con degni affetti, dimostrarli grata corrispondenza; e nel partire il suo maggiordomo mi disse che l'aveva mostrato a Mirza li tre zecchini che nella prima udienza io gli aveva donati, i quali erano coll'impronta di V. S., e che li erano molto piaciuti e desiderava di darmi moneta di quanti ne aveva io, veramente non me ne trovava più che 12 nuovi, glieli diedi, nè volsi in cambio altro danaro.
« Mirza mi mandò un tappeto di seta di quattro braccia, facendomi dire che per memoria sua lo godessi, perchè in memoria di V. S. avria tenuti presso di lui detti zecchini; et nella buona gratia di V. S. humilmente mi raccomando ».
Di Cracovia, alli 24 di luglio 1574.
Di Vostra Serenità,
Humilissimo Servitore
Vincenzo di Alessandri.
Così l'Alessandri, non ammesso all'udienza del re Thamasp, convenne ritirarsi, e tornato a Venezia dopo un altro faticosissimo viaggio [Documento XXV] lesse nel consiglio dei X e zonta[38] gli 11 di ottobre 1572 la relazione di questa sua ambasceria, nella quale sono affermate alcune cose per verità tanto straordinarie che fanno credere, come pur dubitava il Foscarini, che l'esito poco felice della sua legazione in Persia lo abbia reso proclive ad esagerare le non buone qualità di quel re e di quel governo. La relazione dell'Alessandri [Documento XXVI] contiene notizie sui paesi che componevano la Persia, sul loro grado di civiltà e prosperità, sulla persona del re e qualità dello animo suo e dei suoi figliuoli, sulla corte, i ministri, il modo di trattare gli affari e di amministrare la giustizia, insomma su tutto ciò ch'egli riputò degno d'essere rappresentato.
La repubblica di Venezia pertanto, abbandonata dai principi della lega dopo la gloriosa battaglia di Lepanto, e non assistita dalla Persia, stipulava nel 1572 la pace col Turco, perdendo un'altra occasione di abbattere la costui potenza, mediante il vagheggiato accordo colla Persia; il quale fatalmente non potè mai verificarsi, perocchè le vicende politiche ed economiche dell'uno e dell'altro Stato, non permisero che nello stesso tempo ambedue si trovassero pronti contro il comune nemico.
Arrivava in fatti a Venezia nell'anno 1580 chogia Mohammed persiano, uomo di 80 anni, latore di una lettera di quel re Mohammed Khodabend, che dichiaravasi pronto a corrispondere all'invito fatto al suo predecessore dall'Alessandri [Documento XXVII]. Il legato persiano giustificava il re Thamasp di non avere intrapresa la guerra, perchè vecchio ed infermo; ed esponeva che il nuovo re era in campo con formidabile esercito nella via di Babilonia contro i Turchi, che i sultani avevano giurato di non deporre le armi per anni 15, e che chiedevasi alla repubblica soltanto di dimostrare in qualche maniera il suo morale concorso.
La missione di Mohammed fu secretissima, per non destare gelosie ai Turchi. Accolto in casa dell'Alessandri, ebbe egli di notte conferenza con due secretarii della cancelleria ducale, che lo invitarono a dettare non solo quanto gli era stato commesso[39] dal suo re, ma tutte le particolari notizie delle cose persiane che erano a sua cognizione.
Questa relazione fu presentata al Consiglio dei X [Documento XXVIII], il quale ai 13 di giugno deliberava che il doge ricevesse secretamente l'oratore persiano, e gli facesse leggere la seguente risposta:
« Per l'affezione grandissima che noi portiamo al serenissimo re di Persia, havendo la Signoria Nostra sempre avuto buona amicitia con li serenissimi suoi predecessori, havemo veduto gratamente voi, mandato qui per ordine di S. M., ed udite volentieri le lettere che ci avete portate, et in risposta vi dicemo: che noi desideriamo intender sempre felici successi di S. M. come di re giustissimo e valorosissimo, et nostro amico, onde avemo pregato et pregamo di cuore il signor Dio che li doni victoria, et speriamo che così sarà, poichè difende una causa giusta et comanda ad una nazione valorosissima et solita ad esser sempre victoriosa.
« Noi non vi diamo lettere nostre per non mettere in pericolo la vostra persona che ne è carissima, per la prudentia che conoscemo essere in voi; ma riferirete a bocca a quei signori che vi hanno mandato, ed anche a Sua Maestà questa nostra buona volontà, nella quale continueremo sempre, sperando nel Signor Dio, che continuando la guerra darà occasione non solamente a noi, ma anco a tutta la christianità, di mostrare con effetti il comun desiderio; et per segno che vi abbiamo veduto volentieri vi sarà dato dal segretario nostro un presente che goderete per memoria nostra[79] ».
Così fu licenziato l'oratore persiano col dono di 300 zecchini, perocchè non parve al Consiglio dei X di rompere la pace testè firmata colla Turchia, mentre le agitazioni della Persia e la instabilità di quel trono non potevano assicurare un vigoroso e durevole concorso da quella parte.
Però la politica dei Veneziani non si ristette dal mirare ancora e perseverantemente alla Persia, come a naturale alleata nel momento opportuno di tentare di nuovo la sorte delle armi.[40]
Fra i codici del conte Manin in Venezia si conserva un'anonima relazione dell'impero dei Turchi e dei Persiani dell'anno 1575, nella quale sono ripetute le cause naturali e permanenti dell'avversione fra quei due imperi[80]; e fra i codici del cavaliere Cicogna, il trattato della guerra di Persia del 1578 presentato al senato dal bailo in Costantinopoli ser Nicolò Barbarigo, e la relazione delle turbolenze che agitarono la Persia sotto Ismaìl, scritta a quanto pare dal console veneto in Soria, Teodoro Balbi, nel 1582[81].
La guerra turco-persiana è poi descritta anche nella relazione del console Giovanni Michele 1587[82], che ne indica le cause, cioè: l'antica dissensione di fede, e il desiderio ambizioso di Amurath d'estendere i confini del suo impero a danno della Persia, approfittando delle discordie insorte in quel regno dopo la morte di Thamasp fra i partigiani di Caidar e quelli d'Ismaìl.
Continue e particolari informazioni sulla guerra di Persia e sulle condizioni di quel regno pervennero al senato colle relazioni ufficiali dei consoli in Soria, Andrea Navagero 1574, e Pietro Michele 1584[83], e dei baili Giovanni Soranzo 1576, Paolo Contarini 1583, e Francesco Morosini 1585[84]. Quest'ultimo ricordava quanto importasse la concordia dei principi cristiani contro la Turchia, che dalle loro diffidenze soltanto traeva la propria forza; e come a farle notabile offesa, modo più facile e più sicuro non v'era che d'irrompere dalla parte della Russia e della Persia, mentre un'armata navale penetrasse nel Bosforo ed attaccasse direttamente i castelli dell'arcipelago « con che poteasi sperar certo di scacciare finalmente i Turchi dall'Europa ».
Ma il bailo Lorenzo Bernardo, che lesse la sua relazione in senato nel 1592[85], opinava che la dissoluzione dell'impero ottomano non poteasi sperare se non che dalla corruzione interna di quel governo: perocchè la Persia, unico stato che avrebbe[41] potuto fargli concorrenza o raccoglierne l'eredità, restava abbattuta dall'ultima guerra che le tolse la Media, il Korassan, parte dell'Armenia e la città di Tauris. « Le cause di tanta perdita e rovina dell'impero persiano, egli disse, sono due: l'una intrinseca, l'altra estrinseca. La prima è stata la discordia insorta fra i fratelli del re, e fra il re ed i sultani e principi di quel regno, per la quale esso restò diviso; la seconda, la guerra promossa da Usbech re dei Tartari e signore di Samarcanda, il quale, sia per secreta intelligenza col Turco, sia per altre cause, attaccava la Persia dalla parte settentrionale, e le toglieva il paese di Korassan, nello stesso tempo che ferveva la lotta contro la Turchia, la quale ebbe così agio di toglierle tanto paese dalla parte di occidente e di mezzogiorno. A queste cause particolari si aggiungano le generali della debolezza della Persia, cioè la forma di quel governo, l'organizzazione di quella milizia, e la mancanza d'artiglieria ».
Senonchè lo shàh Abbas il grande, salito sul trono, restaurava l'impero persiano con splendide vittorie e con saggi ordinamenti, e stringeva maggiormente l'antica amicizia e la buona corrispondenza colla repubblica di Venezia.
Questo giovane principe salito al trono nell'età di anni 18, per la immatura e violenta morte del fratello, ebbe la ventura di rimetterlo in onore, e di ristorare le sorti della Persia. E conoscendo quanto importava a quella regione la ottima corrispondenza colla repubblica di Venezia, pei rispetti del comune nemico, e per quelli del traffico che minacciava dirigersi tutto per la nuova via aperta alla navigazione, egli mandò varii oratori a Venezia collo scopo di dare, come si espresse con formula singolare, una mossa o scorlo alla catena che teneva strettamente congiunto l'amor suo alla repubblica, e lo interesse reciproco dei due Stati.
Di già i consoli veneti nella Siria ed i baili a Costantinopoli avevano riferite in senato le gesta e le virtù di Abbas, che fu meritamente onorato del nome di grande, ed in particolare Alessandro Malipiero nell'anno 1596 aveva minutamente[42] informato intorno le riforme date da esso ai suoi stati, le conquiste fatte, e le sue differenze col kan dei Tartari rispetto all'acquisto del Korassan, le quali difficoltarono le sue marcie nei paesi ottomani[86].
Ecco il ritratto di Abbas, letto in senato dal Malipiero:
« Questo principe è di mediocre statura, di corpo ben disposto e proporzionato, di carnagione bruna, di aspetto nobile e di occhi vivi e molto spiritosi. È per natura affabile, molto umano e tratta con ogni sorta di persone domesticamente, lontano in tutto da quella tanta grandezza che sogliono ostentare i Turchi. È magnifico e molto liberale, massime coi soldati, i quali da ogni parte con larghissimi partiti va raccogliendo. Ma soprattutto è di mente giustissima, di spirito molto capace ed intendente, risoluto e presto in tutte le azioni sue. Ha gran concetti nell'animo, ed aspira a rimettere il regno di Persia nell'antica sua grandezza ed onore: nè manca altro alle eroiche sue condizioni, che forze corrispondenti alle qualità del suo generosissimo animo ».
Pietro Della Valle poi, nel suo raro e curioso libro Sulle conditioni di Abbas re della Persia, stampato in Venezia nel 1628, narra che la conquista del Laristan, che è la chiave del golfo Persico, sia stata fatta da quel re per eccitamento dei Veneziani che dimoravano alla sua corte, e dei quali altamente i consigli apprezzava. « Un mercatante venetiano, così egli dice, era andato in Ormus pei suoi traffici, e da Bassorati avea ivi condotta una giovane christiana della quale erasi invaghito. Seppe egli che dai ministri ecclesiastici portoghesi voleasi torgliergli la donna sua; laonde pensò ricondurla a Bassorah, et allestite le cose sue, si diresse a quella città attraversando il paese di Lar. Quivi dominava Ibraim kan, il quale, avute nuove di quella giovane, e saputo che era bella, la volse per sè, e fecela con violenza rapire, mandando a male tutte le robe del venetiano. Questi punto atrocemente nell'amore e nell'interesse, pensò di ricorrere al re Abbas, presso il quale sapeva trovarsi un altro veneziano, allora molto favorito,[43] siccome il primo europeo che era capitato a quella corte; e col suo mezzo fece istanza al re di vendicare gli oppressi: considerandogli, come qualora i viaggiatori patissero per quelle vie tali ingiurie, si sarebbero i mercatanti stranieri disanimati a far quei viaggi con detrimento del commercio persiano. Altamente Abbas si sdegnò, e chiesta inutilmente ad Ibraim la restituzione della donna e della roba del veneziano, ordinò all'esercito di Alla hurdi di penetrare nel paese di Lar e di non cessare la guerra fino a che non lo avesse soggiogato del tutto. Così in fatti avvenne, e in poco tempo, fatto anco prigioniero Ibraim, potè il re di Persia unire ai suoi stati il paese di Lar ».
Nel giorno 1º di giugno dell'anno 1600 si presentò nell'eccellentissimo collegio il dragomanno Giacomo Nores [Documento XXIX] per annunciare l'arrivo di un oratore del re di Persia.
Il messo persiano chiamavasi Efet beg, persona di stima e di molta grazia appresso quel re. Fu egli introdotto l'8 di giugno in collegio, e fatto sedere vicino ai Savii di Terraferma, fece la sua esposizione con alquante parole in lingua persiana, interpretate dal dragomanno Nores, in significazione della buona volontà del sufi verso la repubblica, il cui nome era non solo amato, ma riverito grandemente nella Persia, ed in favore del reciproco commercio dei due Stati. Portatosi quindi a baciare la mano al doge gli presentò la lettera di Abbas [Documento XXX] che ricercava favore particolare intorno alla provvisione di alcune merci, e si estendeva in ufficii di confirmazione di quella buona amicizia che aveva sempre sussistito tra la repubblica di Venezia e la Persia.
Ad attestare la quale portò inoltre il persiano, a nome del suo re, un panno tessuto d'oro e di velluto rappresentante l'Annunciazione di Maria Vergine, fatto fare apposta, in misura di 7 a 8 braccia e che fu riposto nelle sale del Consiglio dei Dieci[87].
Il serenissimo principe assicurò l'oratore persiano, che la repubblica teneva in gran conto la perfetta corrispondenza[44] col suo re, cui augurava ogni prosperità, e ringraziandolo del dono recato, gli promise favorevole risoluzione intorno a ciò che ricercava la lettera dello shàh. Il senato in fatti aderì ad ogni inchiesta del persiano, ed ordinò che gli venissero dati pel suo re alcuni doni del valore di ducati d'oro duecento, ed una lettera ducale la quale attestasse allo shàh Abbas « che mai in alcun tempo egli potrebbe desiderare migliore, nè più ben disposta volontà di quella che in tutte le occorrenze le comproverebbe il sincerissimo animo della veneta signorìa [Documento XXXI] ».
Questo oratore precedette di poco tempo una splendida legazione pervenuta dalla Persia in Venezia nell'anno 1603, ed accolta colle più solenni formalità.
Annunciata dal dragomanno Nores fu la legazione persiana introdotta a' dì 5 marzo 1603 nella sala del collegio[88]. La componevano Fethy bei, persona di alta condizione, ed agente particolare del re[89], il dragomanno, sei persiani e tre armeni del seguito, ciascuno dei quali portava doni per la serenissima signoria.
Posti i Persiani a sedere a destra ed a sinistra del principe, rimase in piedi dinanzi al tribunale il solo Fethy bei, che nella sua lingua interpretata dal dragomanno disse: « Che si rallegrava di veder la faccia di Sua Serenità, come quella di signore giusto, potente e glorioso ».
Ed avendogli il doge risposto « che sentiva di ciò piacere, e che lo vedeva di lieto animo, perchè inviato da un principe, grande, potente e molto amato dalla repubblica ». Il persiano così continuò[90]: « Sogliono alle volte li principi grandi visitarsi l'un l'altro col mezzo di lettere, per continuare ed accreditare di questa maniera l'amicizia e buona corrispondenza che hanno insieme; laonde il mio signore che onora ed ama grandemente la repubblica, mi[45] ha accompagnato con una lettera a Vostra Serenità, per continuare ed accrescere l'amicizia e la buona corrispondenza che hanno insieme »; e poichè eragli stato ordinato di presentarla nelle proprie mani del doge, la trasse dal seno, ove la teneva riposta entro una borsa di seta rossa ricamata in argento, la baciò ed offerse al doge [Documento XXXII]: aggiungendo, che in essa il re raccomandava inoltre la persona sua e la spedizione dei suoi affari, che consistevano nell'acquisto di archibugi e di zacchi.
Il serenissimo principe Marino Grimani, presa la lettera rispose: « che la dimostrazione così continuata di amore e di ottima volontà del re di Persia verso la repubblica era largamente corrisposta da una vera e sincera affezione, e che a suo tempo si darebbe al suo ben accetto oratore la risposta, assicurandolo intanto che la persona sua, come raccomandata da S. M. sarebbe stata benissimo trattata ed interamente soddisfatta ».
Allora il persiano, offerendo una piccola nota scritta nella sua lingua [Documento XXXIII], soggiunse che il suo re presentava alla repubblica i doni ivi indicati, e che erano portati dai nove uomini del suo seguito, e pregò il doge di farseli recare davanti.
Così fu fatto. E per primo fu spiegato un manto tessuto d'oro. « Questo, disse il persiano, il mio re ha fatto fabbricare apposta per la Serenità Vostra, ed è tutto di un pezzo senza cucitura, e lo manda a Lei in particolare, acciocchè si contenti per amor suo ed in memoria di S. M. portarlo Ella stessa in dosso. Ne ha fatto fare un altro simile a questo, e lo ha mandato a presentare al re di Mogol suo grande amico ».
Fu poi spiegato un tappeto di seta, tessuto in oro, ed a colori, lungo quattro braccia, e largo tre; « Questo, disse il persiano, è dei più belli tappeti che si facciano. Il mio re avendo inteso che ogni anno si mette fuori il tesoro di S. Marco, tanto famoso per tutto il mondo, lo manda alla Serenità Vostra, perchè si contenti ordinare che ogni[46] volta che si esporrà il tesoro sia esso esposto sopra questo tappeto[91] per la sua gran bellezza ».
Quindi, mostrato un panno di velluto, colle figure di Cristo e di Maria tessute in oro, lungo 7 braccia: « E questo, disse il persiano, il re manda perchè sia presentato alla chiesa di S. Marco ».
Furono inoltre spiegate sei vesti in pezza, cioè tre di seta tessute in oro, e tre altre di seta leggiera a varii colori.
Il serenissimo principe rispose: che aggradivasi il nobilissimo presente ben degno di re così grande, e tanto amato ed onorato dalla repubblica, e che sarebbe riposto in luogo degno, a perpetua memoria della Maestà Sua[92].
E nel giorno seguente ordinavasi che tutti i doni recati dal legato persiano fossero consegnati alla chiesa di S. Marco, commettendo a quei procuratori di far convertire le vesti in tante pianete, e di esporre il tappeto nei giorni solenni sullo sgabello del doge[93]. Ordini che furono puntualmente eseguiti[94]. Comandava inoltre il senato ai 6 di marzo [Documento XXXIV] ed ai 14 di agosto, che si spendessero duecento ducati in rinfrescamenti di Fethy bei, e lo si regalasse di alcune vesti di seta pel valore di altri ducati duecento; che a ciascun uomo del suo seguito si donasse una veste di panno scarlatto[95], e finalmente che si spendessero ducati mille trecento sessanta nei doni pel re della Persia, i quali furono: un bacile con ramino d'argento dorato a figure, ed uno simile di argento puro, un catino d'argento con oro e brocca simile, due fiaschi d'argento intagliati col vetro, un'armatura completa, due zacchi forniti l'uno verde in oro, l'altro rosso, e quattro archibugi lavorati in radice con perle e oro[96]. Inoltre il legato persiano fu favorito nei suoi[47] acquisti[97], e gli fu consegnata una lettera ducale pel suo re, colla quale ringraziandolo della missione dell'ambasciatore, lo si assicurava, dell'ottima disposizione della repubblica verso la Persia, e del desiderio vivissimo di manifestarla al mondo, mediante veri effetti, e di aumentarla a beneficio del comune commercio [Documento XXXV].
E per tramandare la memoria di così splendida ambasceria, il senato commetteva a Gabriele Caliari di dipingere la presentazione degli oratori persiani, in una tela che ancora si ammira nella sala delle quattro porte del palazzo ducale, ed è una delle migliori sue opere[98].
L'arrivo di Fethy bei a Venezia, oltrecchè giovò a mantenere quella corrispondenza tra la Persia e la repubblica che tanto conveniva agli interessi politici e commerciali dei Veneziani; destando gelosie al gransignore, lo rese così disposto alla pace, che rinnovò ed ampliò gli antichi trattati colla repubblica[99].
L'oratore persiano, nel suo ritorno alla patria, trovò accesa la guerra fra il suo re e gl'Ottomani, sicchè arrivato nella Siria gli furono sequestrati tutti gli oggetti che portava seco, parte dei quali poterono essere posti in salvo dal console di Venezia, e parte in questa stessa città furono rimandati.
Laonde poco tempo dopo lo shàh Abbas, cui era impedito dall'esercito ottomano di spedire una formale legazione a Venezia, incaricava l'armeno Chieos di presentare una sua lettera al doge per annunciargli non solo la guerra che allora fervea, ed esprimergli il suo desiderio di unirsi ai principi cristiani ed in particolare alla repubblica; ma eziandio per chiedergli notizie dell'ambasciatore Fethy bei [Documento XXXVI]. E quando poi egli seppe che le merci ed i doni della veneta signoria erano presso il console della Soria, od a Venezia, qui spedì un altro suo messo, il chogia Seffer, che arrivava nel gennaio 1610.[48]
Il console nella Soria Giovanni Francesco Sagredo, raccomandava questo oratore persiano al veneto senato, in contemplazione della potenza acquistata dallo shàh Abbas, la cui alleanza potea altamente giovare alla repubblica, e per corrispondere all'ottima inclinazione che quel re sempre avea addimostrata al nome ed agli interessi veneziani, per modo che alla sua corte qualunque ancorchè di bassa condizione fosse o si facesse credere veneziano, era accolto e trattato con tale famigliarità e cortesia da non potersi desiderare di più [Documento XXXVII].
A' 30 di gennaio 1610 il chogia Seffer con quattro persone di seguito, vestite tutte alla persiana, si presentò nel collegio, introdotto dal dragomanno Giacomo Nores; espose lo scopo della sua venuta, il quale era di attestare alla veneta signorìa il desiderio vivissimo del re di Persia di perseverare nell'ottima corrispondenza ed unione, che ab antiquo sussisteva fra i due Stati e di accrescerla maggiormente [Documento XXXVIII]; e presentando una lettera involta in due borse, una di raso, e l'altra di velluto, chiuse entro una scatola coperta di ricchissimo drappo, soggiunse: « che con quella il re pregava eziandio il serenissimo principe ad ordinare, che, al suo messo fossero consegnate le robe di Fethy bei, che erano ritornate a Venezia[100] ».
Letta dal dragomanno la lettera, il doge espresse i ringraziamenti della repubblica all'onorevole ufficio dello shàh di Persia, e promise di corrispondere al desiderio di lui.
Quindi il senato deliberava che fossero a chogia Seffer consegnati i chiesti oggetti [Documento XL] con un dono in danaro di ducati 200, ed in rinfrescamenti di ducati 100, e con una lettera ducale al re della Persia per risposta a quella recata dal suo oratore [Documento XLI].
Conchiusa poi la pace fra la Persia e la Turchia, pervennero a Venezia nell'anno 1613, accompagnati da una lettera[49] di raccomandazione dello stesso Nasuf bashàh[101], primo visir a Costantinopoli, due inviati persiani, Alredin e Sassuar, per annunciare il felice evento della pace, ed attestare che il re della Persia: « nel suo puro et real animo, che a guisa del sole non riceve in sè nè macchia, nè menda di cattivi pensieri, desiderava di continuare nella solita amicizia ed unione colla signorìa di Venezia, avendo inteso con grande soddisfazione dell'animo suo la stima ed il conto che negli stati della repubblica si faceva del nome persiano, e bramava che si ristorasse la pratica ed il commercio che sussisteva prima della guerra, assicurando che i veneti mercanti sarebbero accolti con ogni favore nella Persia, nè mai molestati da alcuno o danneggiati, per quanto importa un minimo capello della testa [Documento XLII] ».
Questi oratori persiani furono onorevolmente accolti e favoriti. Recarono essi a Venezia 50 colli di seta e molti diamanti, ed esportarono merci preziose di vario genere che lo shàh aveva loro commesso di comperare, con un memoriale del quale sarà fatto cenno nella Parte seconda, siccome saggio della qualità delle merci che in quel tempo la Persia ricercava a Venezia.
Sassuar ritornò poi di nuovo a Venezia, quale oratore persiano, nel 1621, per migliorare i rapporti internazionali dei due stati. E presentatosi in senato al 1º febbraio 1621 insieme ad agì Aivas di Tauris [Documento XLIII], offrì una lettera dello shàh Abbas [Documento XLIV] con un dono di 4 tappeti, 25 pezze di giurini, e 25 di lizari d'India. Benedetto Tagliapietra consigliere anziano ricevette, in assenza del doge, l'oratore persiano, e ringraziatolo della lettera e del dono, lo assicurò che la sua raccomandazione sarebbe stata tenuta in gran conto, molto importando alla repubblica l'amicizia del suo re, ed il facile commercio colla Persia.
I preziosi drappi recati da Sassuar furono quindi consegnati[50] ai procuratori de supra per essere usati nelle pubbliche cerimonie della chiesa di S. Marco[102] [Documento XLV].
Allorquando poi la repubblica veneta fu minacciata dell'impresa di Candia, per la cui difesa sacrificò e sangue e ricchezze, invano chiedendo agli Stati europei aiuto possente per sostenere in quell'isola l'antemurale della civiltà, non mancò di dirigersi eziandio alla Persia, colla speranza di trovare almeno da quella parte una importante diversione, che le lasciasse agio a difendere i proprii possedimenti.
Nell'anno 1645, il senato mandò all'ambasciatore veneto in Polonia Giovanni Tiepolo[103] una lettera pel re di Persia, incaricandolo di spedirla in quel regno con apposito legato, e di pregare il re di Polonia di unire anch'egli un suo oratore per lo interesse comune della cristianità, minacciata dalla prepotenza ottomana. E commetteva inoltre a Domenico Santi, che era diretto in Persia dal papa, dall'imperatore, dal re di Polonia e dal gran duca di Toscana [Documento XLVI], di prendere la via della Siria e di recare una consimile lettera al re persiano, per eccitarlo a muovere dalla sua parte contro la Turchia.
Le due lettere ducali allo shàh della Persia portavano le date 2 dicembre 1645 [Documento XLVII] e 17 luglio 1646 [Documento XLVIII].
Ricordavano esse, come l'Ottomano avesse più volte portate le armi contro i di lui predecessori, per rendere più vasta e formidabile la sua potenza. Che politica tradizionale della Persia era di mirare all'indebolimento di lui, e che ora le si offeriva la opportunità, dacchè stavano le armi ottomane impegnate in una impresa che non avrebbe mancato di spingere tutti i principi di Europa a frenare le usurpazioni della Turchia; e che già la campagna era incominciata coi più lieti auspicii, avendo la veneta armata assalita e danneggiata la ottomana nello stretto.[51]
Il re di Polonia aderì alle istanze dell'ambasciatore veneziano, ed incaricò il nobile polacco Slich di recarsi in suo nome nella Persia, insieme al veneto legato padre Antonio di Fiandra domenicano, cui il Tiepolo avea consegnata la lettera ducale per lo shàh e le credenziali.
L'ambasciata veneto-polacca partì il 2 ottobre 1646 da Varsavia, accompagnata da 25 gentiluomini polacchi, e per Mosca e Nishni-Novogorod giunse a Casan il 12 febbraio 1647, ove si riposò per tre mesi. Partita poi da Casan a' 3 di maggio per il Volga, dopo un mese di procellosa navigazione sul Caspio, approdò alle spiaggie persiane e si diresse ad Ispahan, ove giunse soltanto al 15 di settembre, pei disagi sofferti nel viaggio dall'ambasciatore polacco. Il quale appena arrivato in Ispahan ammalò gravemente per modo, che non potendo eseguire le commissioni del suo re, mandò a chiamare uno dei principali della corte persiana, e presentandogli il veneto legato, consegnò al padre Antonio le lettere e le credenziali sue proprie, dichiarando che quegli soddisferebbe alla ambasciata in nome del re di Polonia e della repubblica veneta. E pochi giorni dopo egli spirò, e fu sepolto con molto onore nella chiesa dei Carmelitani Scalzi.
Introdotto il padre Antonio all'udienza del re il 27 di ottobre, offerse le lettere del re di Polonia e della repubblica, ed ebbe per risposta che sarebbesi con lieto animo ricambiata la loro amicizia. Invitato poi a stendere in lingua persiana i punti principali della sua domanda, egli li presentò; ma ottenne soltanto una vaga assicurazione che il re avrebbe assai volontieri cercato occasione di corrispondere efficacemente ai desiderii dei principi cristiani, ed una lettera in questo senso al doge di Venezia, affettuosissima, ma senza impegni [Documento XLIX].
La Persia in fatti non era in grado di corrispondere: perocchè aveva in quel tempo mandato un esercito nel regno di Conducar, cogliendo occasione e dalle discordie che dopo la morte del Gran Mogol erano insorte fra i di lui figli, e dalla guerra tra la Porta e Venezia, per ricuperare quel regno al kan dei Tartari Olbek, che dal Gran Mogol ne era stato spogliato.
Ritornato a Venezia, il padre Antonio si presentò in senato[52] a' 28 di marzo 1649, e lesse una interessantissima e finora inedita relazione della sua ambasciata, distinta in tre parti, cioè:
1º Il suo viaggio in Persia, la miglior via per andarvi, e le accoglienze e gli onori ricevuti quale ambasciatore cristiano;
2º Quello che ha trattato col re di Persia;
3º Quello che si poteva sperare dallo shàh in aiuto della repubblica; conchiudendo che terminata la guerra nel Conducar, potevasi ritenere che il giovine e valoroso re persiano avrebbe rivolto le sue armi contro i Turchi [Documento L].
Il padre Antonio presentava inoltre una scrittura in data di Shangai 24 aprile 1648 dell'altro legato in Persia Domenico Santi [Documento LI].
La relazione del Santi che pure trovasi inedita è stillata in lingua italiana frammista di alcuni termini castigliani, locchè farebbe credere che, quantunque egli si annunciasse suddito della repubblica, fosse o nativo di Spagna o avesse ivi gran tempo dimorato. Narra il Santi l'esito della sua missione nella Persia, conforme a quello del padre Antonio di Fiandra, e si estende nei più minuti particolari intorno al disastroso suo viaggio, alle grandi spese che dovette sostenere, ed alla quantità dei doni che fu obbligato di presentare al re ed ai ministri per ottenere benevolo ascolto.
Senonchè peggiorando le condizioni dei Veneti nell'isola di Candia, la repubblica che aveva, si può dire, quasi invano chiesti sussidii ai principi della cristianità, tentò di nuovo dopo il 1660 di ricorrere alla Persia, dapprima con lettere dirette a quel re [Documento LII], quindi accogliendo la offerta segreta dell'arcivescovo armeno Aranchies che proponeva di trattare la lega coi Persiani [Documenti LIII e LIV], e finalmente inviando alla corte dello shàh l'arcivescovo di Nashirvan. Ma pur troppo, mentre duravano queste pratiche, il regno di Candia andò perduto.[53]
La repubblica di Venezia dovea anche in questa terza invasione ottomana resistere sola, e sacrificare generosamente il sangue dei suoi figli ed i propri tesori per difendere l'antemurale della civiltà. Dopo una gloriosa lotta di 25 anni, che rese immortale la fama del valore e della costanza dei Veneziani, il regno di Candia fu occupato dalle truppe ottomane, la croce lasciò il posto alla mezza luna.
Conchiusa appena la pace colla Turchia, arrivò in Venezia una importante missione dalla Persia. La componevano due padri domenicani: Maria di S. Giovanni ed Antonio di S. Nazaro, incaricati dall'arcivescovo di Nashirvan di presentare al senato la relazione dei suoi negoziati colla Persia, e la risposta dello shàh agli inviti della repubblica [Documento LV]. Gli atti di questa missione, l'ultima che dalla Persia venisse a Venezia, chiaramente dimostrano le relazioni internazionali dei due stati, così rispetto alle comuni aspirazioni, come agli interessi del traffico ed alla tutela dei cristiani nell'Asia.
Il 20 luglio 1673 i padri domenicani presentarono nel collegio la lettera dell'arcivescovo di Nashirvan [Documento LVI] e quella del re di Persia, esprimendo in idioma turco lo incarico avuto dallo shàh di augurare al serenissimo principe le maggiori prosperità, e di attestare la di lui stima ed osservanza alla repubblica[104].
La lettera dell'arcivescovo esponeva: come dopo di aver corsi molti pericoli particolarmente in Erzerum dove fu accusato per spia, egli giunse in Ispahan, presentò le lettere ducali allo shàh che le accolse affettuosamente, ed a cui narrò colla maggior efficaccia possibile le condizioni della guerra di Candia. Il re della Persia ascoltò attentamente ogni cosa, di tutto chiese le più minute notizie e promise di dare pronta soddisfazione alle proposte della repubblica. Ma la nuova sopraggiunta della resa di Candia, dal re con sorpresa e dolore sentita, mandò a vuoto le incamminate trattative; ed il desiderio dello shàh di soddisfare alle richieste del veneto senato, dovette limitarsi a franchigie e protezioni accordate[54] ai cristiani nella Persia, le quali sono attestate nella stessa lettera del monarca persiano [Documento LVII], nè poteansi sperare maggiori: perocchè egli avea dato ordine, che per riguardo alla veneta signorìa venissero i cristiani rispettati ed onorati, e godessero privilegi ed immunità in tutte le città e terre della Persia; ed anzi in qualsiasi luogo, dove si trovassero abitazioni dei cristiani, le immunità loro accordate dovessero estendersi a tutti gli altri abitanti di qualsivoglia condizione o setta si fossero. Assicurava inoltre il re della Persia, di essere disposto ad accogliere con prontezza e di dare immediata esecuzione a ciò che alla veneta signorìa sembrasse opportuno di proporgli, rispetto alle novità che potessero insorgere nei suoi rapporti coll'impero ottomano.
Il dragomanno Fortis presentava quindi al senato una relazione di un colloquio secreto tenuto per ordine dei savii coi padri domenicani, i quali dissero che da lungo tempo il re persiano nutriva sentimento di vendetta contro gli Ottomani; e che se i capitoli della tregua di Babilonia e la guerra nel Conducar l'avevano finora obbligato a simulare l'odio implacabile contro i Turchi, il giovane e valoroso monarca desiderava prossima occasione di battersi contro di loro, d'accordo colla signorìa di Venezia, il granduca di Moscovia ed il re di Polonia, persuaso che tali alleanze avrebbero bastato per finirla una volta coll'impero turchesco [Documento LVIII]. Il Fortis aggiungeva nella sua relazione particolari notizie intorno alla condizione dell'esercito persiano, ed alcuni suggerimenti opportuni a mantenere per diversi scali il commercio colla Persia, durante la guerra, insieme ad una descrizione delle vie che da Venezia conducevano in Ispahan.
La repubblica fu assai lieta di questa legazione, ringraziò il re della Persia per la protezione ed i beneficii che accordava ai cristiani nei suoi regni, promise reciprocanza [Documento LIX], regalò splendidamente i padri dominicani, il contegno, le pratiche e le proposizioni dell'arcivescovo di Nashirvan altamente commendò[105].
Questa fu l'ultima occasione, che per circostanze fatali la repubblica di Venezia ha perduta; avvegnachè rinnovatasi la lotta colla Turchia nel 1695, essa invano tentò di associare ai suoi minacciati destini la Persia [Documento LX], ed allorquando nel 1714 il divano non potendosi adattare alla perdita della Morea, le intimava di nuovo la guerra siccome violatrice degli accordi di Carlovitz, essa non più ricorse alla Persia che stava impegnata in lotte civili, e soscrisse la pace di Passarovitz, che pose fine alle sue speranze in oriente.
Però anche durante il secolo decimo ottavo le relazioni internazionali veneto-persiane si mantennero nello stesso costante carattere di ottima amicizia e corrispondenza.
Quando la repubblica si avvide di non poter più recare ad effetto l'idea di dividere l'impero ottomano col concorso della Persia, non cessò di coltivare i buoni rapporti con quel governo, nella mira di proteggere gli interessi della cristianità in Asia.
I pochi documenti che si hanno attestano come nel 1669 [Documento LXI], in seguito a spedizione nella Persia di Antonio Doni, quello shàh dimostrasse alla repubblica la più favorevole disposizione ad incontrare i suoi desiderii; e come efficacemente proteggesse ora il vicario generale padre Fassi raccomandatogli dai Veneziani per istanza del granduca di Toscana [Documento LXII], ora il padre Arachieli che pei cattolici volle edificare una chiesa in Erivan [Documenti LXIII e LXIV].
Morto Suleiman nel 1692 e succedutogli Husein, la repubblica mandò al nuovo re, colle lettere di congratulazione, le più vive raccomandazioni in favore dei cristiani che abitavano nella Persia; le quali furono riscontrate con termini di adesione e di ringraziamento, e con espressioni di augurio pel mantenimento della stretta colleganza fra i due Stati.
Questa lettera, di cui diamo nei documenti la traduzione [Documento LXV], e qui il fac-simile, porta in luogo della sottoscrizione, non conosciuta dai maomettani, il grande sigillo reale detto[56] Homajon, nella forma elegante che usavasi pei trattati, lettere patenti o missive all'estero, e il cui disegno, quale la fotografia potè riprodurlo, ponemmo in fronte al presente volume[106]. Esso contiene nel centro fra un bellissimo intreccio di fiori e di foglie la cifra reale Sultan Husein ben Suleiman 1106, cioè il sultano Husein figlio di Solimano, anno 1694. All'intorno nelle dodici nicchie dovrebbonsi leggere i nomi dei dodici Imam, e al disopra la solita formula od invocazione religiosa dei Persiani.
Nell'anno 1697 a' 13 di marzo si presentò in collegio il padre Pietro Paolo Palma arcivescovo d'Ancira con breve di Innocenzo XII al re di Persia[107] pregando la repubblica di mediazione in favore del vescovo d'Ispahan e di quei missionarii che erano stati esiliati dal suo regno. Ed il senato nella prossima tornata del 15 marzo deliberava di rivolgersi allo shàh, al patriarca armeno ed al gran Mogol [Documento LXVI].
Finalmente essendo accaduta nel 1718 la spogliazione della chiesa dei Cappuccini a Tiflis, il veneto senato scriveva[57] il 23 di dicembre [Documento LXVII] al re della Persia pregandolo « di porgere sollievo agli oppressi, di far cessare gli insulti e le animosità, di restituire la religione cattolica alla pristina quiete ».
Le relazioni internazionali della repubblica di Venezia colla Persia, furono pertanto in tutti i secoli improntate della più schietta amicizia, e mantenute costanti da eguali tendenze politiche e da sentimenti di civiltà e di religione.
Oltre a ciò un altro importante rispetto, pur degno di somma considerazione, stringeva Venezia alla Persia: quello del commercio, del quale trattasi nella seguente Parte seconda.
Delle relazioni commerciali
tra
la Repubblica di Venezia e la Persia.
Gli aromi delle Indie orientali, le spezie, le merci, le sete, i prodotti e le manifatture dell'Asia furono fino dai più antichi tempi primario scopo del commercio europeo, e le nazioni che poterono averle di prima mano arricchirono assai e si resero tributarie le altre. Nei più remoti secoli, ora i Fenici ricevendole dal golfo Persico e dal mar Rosso, le portavano per Tiro, Sidone ed Alessandria nel Mediterraneo, ora gli Assiri ed i Caldei per la via dell'Indo, dell'Oxo (Amon-daria) e del Caspio, quindi del Ciro e del Fasi, o del Volga e del Tanai (Don) le spingevano nel mar Nero.
In mezzo alle irruzioni dei barbari, perdutosi l'uso delle merci di levante, l'Europa sofferendone la mancanza abbisognò di abili navigatori che ne la provvedessero. Si presentarono gli Italiani, e dalle sponde del mar Nero o dalle coste orientali del Mediterraneo le navi di Amalfi, di Sicilia, di Pisa, di Genova e particolarmente di Venezia recarono a tutta l'Europa i preziosi prodotti dell'Asia.
Che il primato del commercio asiatico, benchè contrastato dai Genovesi, fosse fino dagli esordii della repubblica nelle mani dei Veneziani, che Venezia fosse, come la disse il Giogalli, la dogana principale delle ricchezze dell'Asia, lo prova la famosa lettera di Cassiodoro dell'anno 528, dalla quale consta che essa provvedesse i re Goti di quanto abbisognavano. Assicurano le cronache che nei secoli VII e VIII le navi della repubblica recavano in Europa i prodotti e le[60] manifatture dell'Asia; la cronaca Dandolo che nell'anno 814 i Veneziani commerciassero in Siria; la Cavense che nel 987 caricassero nel porto di Salerno per le coste asiatiche, e finalmente dall'anno 971 incomincia la importantissima serie dei decreti, patti e privilegi dei Veneziani relativi al commercio d'Oriente che ne comprovano la ricchezza e la preminenza[108].
I prodotti dell'Asia mettevano capo dapprima ai porti della Siria e dell'Egitto; quindi nel mar Nero alla Tana sullo sbocco del Tanai, a Trebisonda, e ad Ajazzo, angolo il più orientale fra la Cilicia e la Siria, secondo le vicissitudini che sconvolsero le regioni d'oriente.
Giosafat Barbaro e Ambrogio Contarini narrano nei loro viaggi, che fino dai più remoti tempi le merci dell'Indie e quelle dell'interno dell'Asia navigavano pel fiume Indo fino all'antica Battriana, donde trasportate per terra con cammelli in sette giorni, nell'Icaro che sbocca nell'Oxo, si versavano nel mar Caspio, attraversando i ricchissimi mercati di Samarcanda e Buccara. Quindi dall'emporio di Astrakan rimontando il Volga fino all'incurvatura del Don scendeano poi per la palude Meotide nei porti del mar Nero, impiegando, siccome narra il Contarini, otto giornate da Astrakan alla Tana.
Affermano quegli scrittori che la Tana fosse il più antico emporeo delle merci asiatiche, ma il Foscarini[109] dimostrava che i porti della Siria e dell'Egitto mantennero il traffico delle Indie qualche secolo prima di quelli del mar Nero, dove le strepitose vittorie di Gengiskan e la distruzione dell'impero crociato condussero il commercio dell'Asia; e Marco Polo assicura che ai suoi tempi pervenivano principalmente ad Ajazzo le merci dell'oriente, e vi si cambiavano con quelle dell'occidente recate dalle navi veneziane e genovesi, e destinate al gran mercato di Tauris.
Le merci dell'Asia orientale venivano portate a Campion (Cantcheu), quindi a Balxian (Badkhchan), e attraversando il deserto pervenivano nella Persia a Casbin Sultania e Tauris.[61] Quelle dell'Asia meridionale erano portate pel golfo Persico a Bassorah, dove concorrevano anche le mercanzie dell'Arabia e delle coste di Etiopia, ed operavasi il cambio con quelle della Cina e dell'Asia settentrionale, quindi seguitando il corso dell'Eufrate pervenivano ai fiorenti mercati di Damasco e di Aleppo; oppure lungo il Tigri attraversavano la Persia e giungevano esse pure al grande emporeo di Tauris[110]. Da questa piazza due grandi vie commerciali si partivano l'una per Erzerum diretta ad Ajazzo, scalo principale nel Mediterraneo, l'altra pure per Erzerum a Trebisonda nel mar Nero.
Il commercio di Tauris che concentrava quello della Persia e dove concorrevano principalmente le produzioni asiatiche fu assai vagheggiato dai Veneziani[111]. Tauris, l'antica reggia dei Medi, fu per lungo tempo residenza dei sovrani di Persia; collocata in sito salubre, comodo e facile al traffico, ed in relazione cogli emporei di Samarcanda, Bukara, Bolkar ed Otrar, e con quelli di Bassorah e di Ormus, non poteva essere in posizione più favorevole al commercio. Le vie dell'Armenia, di Trebisonda e della Siria la ponevano in comunicazione col mar Nero e col Mediterraneo, e da esse riceveva in cambio le merci d'Europa. Marino Sanudo affermava che le vie dell'Armenia e della Persia erano preferibili a quelle dell'Egitto, e proponeva nel secolo XIV di far passare attraverso quelle regioni una gran strada commerciale per l'India.
Trascurar non potevano i Veneziani emporeo così prezioso, e per favorire il commercio con quella piazza si hanno precise notizie fin dal secolo IX di trattati conchiusi dal doge Pietro Orseolo coi Saraceni, quindi co' re cristiani di Gerusalemme, i soldani d'Antiochia, di Tripoli, di Beruti, i re d'Armenia, gl'imperatori di Nicea e di Trebisonda, i soldani d'Aleppo, di Babilonia, di Rumili e gli imperatori dei Tartari[112]. Flotte veneziane in isquadre chiamate mude, e comandate dapprima da un nobile eletto dal maggior consiglio,[62] quindi dal senato, con ispecial commissione veleggiavano per assicurare la libertà del commercio intorno alla Tauride e lungo le coste di Trebisonda, di Bitinia, di Paflagonia, di Cilicia e della Soria. Stabilimenti e Consolati Veneziani nel mar Nero si ricordano fin dal secolo XIII; viaggiatori veneziani nelle regioni interne dell'Asia, i Polo, fin dal 1250; ambasciatori in Tauris, Marco Cornaro, nel 1319[113], in Armenia Giorgio Dolfin[114], a Trebisonda Nicolò Quirini nel 1349[115].
I mercanti persiani e gli armeni che facevano il commercio veneto-persiano, eziandio durante le guerre colla Turchia, erano particolarmente accetti e favoriti dai Veneziani.
Senza tener conto delle tradizioni che si hanno, rispetto alla via di Venezia detta ruga Giuffa ed al campo dei Mori, siccome luoghi ove albergavano Armeni e Saraceni, tradizioni che non reggono ad una critica severa, si sa che fino dall'anno 1253 esisteva a san Giuliano in una casa conceduta da Marco Ziani, ricchissimo negoziante nipote del doge Sebastiano, un ospizio la cui istituzione era di ricoverare qualunque pellegrino armeno per tre giorni, donando però una sola cena[116]. Allorquando Uzunhasan si insignorì della Persia e dell'Armenia, e conchiuse alleanza colla repubblica negli anni 1470-73[117], crebbero i favori verso quelle nazioni. Nell'anno 1476 gli Armeni eressero presso il loro ospizio a S. Giuliano una chiesetta che fu nel 1691 riedificata a spese di Girocco Mirmano ivi sepolto. E rifugiatosi da Costantinopoli e da Modone in Venezia l'abate Pietro Mechitar ottenne nel 1718 di edificare nell'isola di S. Lazzaro un monastero ed un collegio, i quali, ampliandosi e fiorendo sempre più, si resero benemeriti per uomini distintissimi ed operosi a diffondere la scienza nei loro correligionarii dell'Asia, e ad unire le due letterature orientale[63] ed occidentale. Gli Armeni furono interessati a scortare e favorire gli oratori ai sovrani della Persia e i mercanti veneti in quella regione. La sopraintendenza e giudicatura della loro nazione era specialmente raccomandata al magistrato dei cinque Savii della mercanzia[118]; appositi sensali con particolari discipline vegliavano affinchè non venissero defraudati in modo alcuno nei loro contratti[119], e finalmente Armeni e Persiani erano esenti del pagamento delle tasse di cottimi e di bailaggi[120].
Molte e ricche case commerciali armene erano stabilite a Venezia, ma di mano in mano che diminuiva la importanza del traffico colle regioni dell'Asia si ritirarono, ed abbiamo memoria che solo fra gli anni 1732 e 1758 lasciarono questa città ben dodici case armene[121]. I minori negozianti però fino al cadere della repubblica continuarono a vendere le loro mercanzie, sotto certi ombrelloni dispiegati accanto ai tre stendardi della piazza di S. Marco, e l'ultimo di quegli Armeni fu Tommaso Posa che continuava a vestir l'abito orientale.
Riguardo ai Persiani esistono vaghe tradizioni di un antichissimo fondaco, situato a S. Giovanni Grisostomo sul rivo che mette al canal grande, dirimpetto al fondaco dei Tedeschi, ma anche queste tradizioni non reggono ad una critica severa. Egli è certo che nel secolo XVII i Persiani albergavano nel fondaco dei Turchi a San Giovanni decollato, ma separati dai sudditi del gran signore. Mediante decreto 10 giugno 1662 dei cinque Savii alla mercanzia, furono con tale condizione obbligati i Persiani e le Persiane a passare nel fondaco dei Turchi; ed il successivo decreto 16 giugno dello stesso anno stabiliva pene di bando e di galera a quei Persiani che continuassero a soggiornare in case private e non andassero colle loro mercanzie nel fondaco.
Gli Armeni ed i Persiani, come tutti gli orientali, avevano in Venezia un luogo particolarmente destinato alla loro tumulazione,[64] e quando erano cristiani nell'isola di S. Giorgio Maggiore, in un recinto intorno al campanile. Fino a questi ultimi tempi poteasi vedere qualche lapide con caratteri di quelle nazioni, ma pur troppo molte ne andarono seppellite nel rifare le fondamenta di quel campanile.
La famiglia Sceriman di Djulfa d'Ispahan era la più illustre e ricca delle persiane stabilite a Venezia; e nel secolo XVII la sua casa commerciale era una delle più considerevoli d'Europa. E la famiglia patrizia Boldù, illustre per fasti militari e per senno civile, è pure di origine persiana[122].
Merci che da Venezia si importavano nella Persia erano: panni tessuti d'oro, d'argento ed a varii colori, velluti, damaschi, stoffe di lana e di seta, fili d'oro, d'argento e galloni, cera lavorata, zucchero raffinato, mercurio, vitriolo, cinabro, arsenico, canfora, cremor di tartaro, teriaca, casse di noce, cordami, carte da giuoco, moneta buona e falsa (scadente?), armi, acciai, ferrareccie, aghi, carta, stampati, chincaglie, vetri, specchi e conterie[123].
I Veneziani pel continuo traffico e relazione coll'oriente avevano tolto il costume di vestire le donne con panni tessuti d'oro e d'argento, e fin dal secolo XIII si ha memoria di una magistratura detta dei panni d'oro, che sopraintendeva a quel lavoro rigorosamente invigilandone la manifattura ed il commercio. Quindi le genti dell'Asia mandavano ad acquistare in Venezia tali preziose drapperìe, per la sicurezza che aveano di non rimanere ingannati.
Qui si fabbricavano eziandio per il commercio asiatico gli ormesini, specie di drappo di seta, così nominato da Ormus, d'onde venne, e ci dà testimonianza della celebrità di quelle fabbriche il nome della calle degli Ormesini in cannareggio. Il commercio della carta e quello degli stampati tuttora fioriscono. Quello poi delle conterie e degli specchi si mantenne prospero fino al cadere della repubblica. L'arte vetraria, e particolarmente quella del coloramento alla pasta vitrea, si ritiene da molti, che i Veneziani apprendessero nella Persia;[65] ma se anche ciò non fosse, è però vero ch'essi estesero in quella regione ed in tutta l'Asia questo commercio, per modo da ingenerarvi il costume di adoperare in luogo delle coroncine di cocco usate dagli orientali, coroncine di vetro colorato molto più vaghe; e da far entrare le margherite negli abiti, negli addobbi, e perfino adoperarle come segno di dignità. Ed il costume persiano che le donne portar dovessero in dote uno specchio almeno, di Venezia, dava a questi un grandissimo smercio.
Siccome saggio delle merci che ancora nel secolo XVII la Persia ritraeva da Venezia, ecco la traduzione fatta dal dragomanno Nores, il 18 marzo 1613, del:
Memoriale consegnato dallo shàh di Persia Abbas ai suoi agenti Alredin et Sassuar, delle cose che sono obbligati a comperare a Venetia d'ordine del re[124].
Zacchi, che siano di somma bontà e di maglia minuta et stretta.
Rasi boni et belli, parte negri et parte a colori.
Tabini boni.
Ormesini fatti in Venetia.
Panni venetiani, che siano boni e fini di diversi colori.
Argenterie di diversa sorte, così schiette come lavorate a figure.
Vetri lavorati, belli, ben fatti et indorati la maggior parte.
Lavori di cristallo di montagna senza alcune vene.
Specchi di cristallo grande, che siano netti et senza casse.
Specchi mezzani et piccoli, a punta di diamante.
Pietre d'anelli d'ogni sorta, con figure intagliate sopra.
Armi da guerra d'ogni sorta, che sieno a proposito nostro.
Occhiali di cristallo fatti a diamante.
Coltelli et forfe (forbici) di buona sorte et tempera.
Cremisì.
Instrumenti da lavorare e da far zacchi (giacchi).
Azzali che sieno buoni et fini.
Pugnali, colli sui ferri indorati, senza fodero.
Non porterete nè archibusi, nè orologi, nè cassette di cristallo, perchè non fanno di bisogno. Orecchini di cristallo di diverse sorte con figure.[66]
Portar delle cipolle et sementi di fiori belli, con la nota del tempo e del modo come si piantano.
Menar tessitori che sappiano far velluti et rasi, se si può.
Instrumenti ovver ordigni da lustrare i panni di seta, con la nota del modo come si fa.
Maschere di diverse sorta da trasvestirsi; et altre cose straordinarie che non siano state qui portate o poste in uso, siano di che prezzo si voglia.
Et così eseguirete.
col sigillo reale.
Le monete veneziane erano accettate dai Persiani, come dai Mongoli, Tartari, Arabi ed Indiani. In Armenia poi i Veneziani, per privilegi ottenuti fino dal secolo XIII, lavoravano i dirrhem ed altre saracinesche monete di un gran pregio nella Persia. Essi associaronsi inoltre agli Armeni ed ai Persiani nella fabbricazione dei cammellotti, e finalmente goderono franchigia per le mercanzie che tratte da Tauris e dalla Persia, attraversavano l'Armenia.
Queste mercanzie consistevano principalmente: in panni di seta, di lana, di pelo di cammello e di capra, rasi con ricami tessuti d'oro, tappeti di Persia e di Caramania, riputati da M. Polo i migliori del mondo, cammellotti, mussuline, particolarmente da Mussul presso Mardin, abbondante di cotoni, cordovani rossi e gialli ed altre pelli in genere, pesce secco e salato, beluga del Caspio, argento ed oro in polvere tratti dai fiumi di Bukaria, rame delle miniere di Tokat, datteri di Bassorah, pepe, tabacco, indaco, allume, zuccaro, galla, zenzero, zafferano, rabarbaro, gomma, miele, sale di Bukaria, sale ammoniaco, bitumi, tra cui il nafta ed il celebre mum, droghe diverse, erbe medicinali, cera, perle di Ormuz, lapislazzuli, turchesi ed altre pietre preziose, lavori ed intarsiature alla agemina, così detti da agem, nome col quale gli Arabi indicano le terre ad essi straniere ed in particolare la Persia; e finalmente la seta greggia di cui incomparabilmente abbondavano le provincie persiane situate sul Caspio, Astrabad, Mazanderan, Schirvan e sopra tutte il Ghilan, la cui seta in natura ed in manifatture era ed è riputata la migliore di tutta la Persia.[67]
Il commercio delle sete persiane fu specialmente regolato e favorito dal magistrato dei Cinque savii alla mercanzia, nei cui registri trovansi fra le altre le seguenti disposizioni:
Le sete persiane doveano passare per gli scali della Sorìa, assoggettarsi alla visita del console di Damasco e di Aleppo, e soddisfare una tassa di favore, fissata colla tariffa 5 marzo 1537; quindi venire accompagnate a Venezia da tratte particolari dei provveditori al cottimo[125]. E diminuendo quel traffico, per la concorrenza dei mercanti forestieri, nella grave proporzione di 1000 a 100, nel principio del secolo XVII, deliberava il senato ai 2 di maggio 1614 che tutte le sete persiane, che per gli scali della Sorìa venissero condotte a Venezia, fossero esenti per anni sei (tempo dappoi indeterminatamente prorogato) dal dazio del 6 per %, semprecchè li mercanti che le portavano per la via di Aleppo certificassero con prove irrefragabili al console di Sorìa la loro provenienza dalla Persia.
Il console in Aleppo, Girolamo Morosini, aveva nell'anno precedente sotto la propria responsabilità ridotto quella tassa dal 6 al 2 per %, onde favorire la venuta in Venezia dei mercanti persiani tanto desiderati dalla repubblica; e nella relazione che lesse in senato il 9 febbraio 1615 perorò la abolizione intera della tassa, che fu stabilita. E per favorirne la esportazione da Venezia, e far fronte alla concorrenza straniera, il senato ordinava ai 10 di luglio dello stesso anno, che per due anni, i quali furono varie volte prorogati, potessero le sete persiane escire dallo stato veneto per la via di Ponteba esenti da dazio. Finalmente nel 1626 al 14 di agosto deliberavasi in Pregadì che le sete persiane, che capitassero in Venezia con mercanti armeni e persiani, fossero esentate dall'1 per % che pagavasi per il cottimo e del 2 per il bailaggio di Sorìa, acciocchè con questo ragionevole vantaggio si incamminino a questa piazza[126].
Anche lo shàh della Persia, Abbas il Grande, fermò particolarmente la sua attenzione sul commercio serico. Fra le grandi innovazioni da esso adottate per ristorare le sorti economiche del suo impero, volle che gli Armeni trasmigrati[68] in Djulfa d'Ispahan ricevessero dai proprietari le sete, e si esercitassero esclusivamente in quel traffico, nel quale divennero operosissimi.
Ma le condizioni politiche ed economiche della repubblica, e le vicissitudini del commercio e della navigazione delle potenze europee, andarono togliendo poco a poco ai Veneziani il primato nel traffico della seta e di tutte le merci persiane.
Dopo l'invasione dei Mongoli, che, sorpreso il floridissimo emporeo della Tana (1414), vi trucidarono i veneti mercanti e misero a ruba i loro fondachi, e dopo la conquista di Costantinopoli (1453) che chiuse il mar Nero alla navigazione degli Europei, i Veneziani, rinnovati gli antichi trattati coi soldani di Egitto, ai quali era soggetta la Palestina e la Siria, avevano ricondotto nel Mediterraneo il commercio della Persia e delle Indie, fino alla scoperta del giro del capo di Buona Speranza.
Questa importante rivoluzione commerciale, avvenuta dopo l'acquisto della terraferma veneziana, e seguìta dalla lega di Cambray, e dalle lotte contro la Turchia, che scossero profondamente la potenza della Repubblica in levante, diede il principal crollo al commercio dei Veneziani nell'Asia. Essi conobbero tosto, che la impresa di Vasco di Gama, deviandolo a mezzogiorno, paralizzava l'antico e ricchissimo traffico, del quale erano in possesso.
Le più serie informazioni intorno alla fortuna dei Portoghesi, il re dei quali tosto assumeva il titolo di Signore della navigazione e commercio dell'Etiopia, dell'Arabia, della Persia e delle Indie, pervennero al senato dai suoi oratori e messi secreti a Lisbona, e dagli ambasciatori presso la corte di Spagna; ma i deputati al commercio dissuadendo i Veneziani dall'abbandonare una navigazione antica, viva, certa, per seguirne una nuova, incerta, lontana e contrastata da molti[127], essi guardarono invece all'Egitto, e, mentre spingevano i soldani a contrastare nei mari dell'India i progressi ai Portoghesi[128], rinnovarono con loro gli antichi patti e ottennero le migliori franchigie.
Benedetto Sanudo, ed il console di Damasco Bartolomeo Contarini ottennero nell'anno 1502 dal sultano del Cairo che per le merci aquistate dai Veneziani nell'egizia Sorìa pagar si dovessero solo 90 ducati per ogni valore di mille, in luogo dei 100 che pagavano i mercanti delle altre nazioni, in considerazione che il commercio veneziano era da antichissimo tempo il fondamento di tutti gli altri[129]. E venuto a Venezia nell'anno 1507 Tagri-Berdi, oratore del sultano di Egitto, si stabilirono nuovi capitoli per favorire quel commercio[130], i quali poi furono ampiamente confermati nel 1508 da Domenico Trevisan ambasciatore della repubblica al Cairo, rispetto particolarmente al traffico delle spezie[131]. Ed allorquando Selino nell'anno 1517 sconfisse il soldano per la assistenza data ad Ismaìl sufì di Persia, e si rese padrone di Aleppo, di Damasco e dell'egizia Sorìa, la repubblica gli mandò cospicua legazione di Luigi Mocenigo e Bartolomeo Contarini, i quali ottennero dal conquistatore la rinnovazione dei privilegi accordati dai sovrani d'Egitto ai mercanti veneziani.
Senonchè la nuova via delle Indie, e la formazione delle grandi compagnie di navigazione, congiunte alle altre fatali e ben note circostanze politico-economiche della repubblica, fecero irresistibilmente decadere il commercio dei Veneziani colla Persia; la storia del quale può ricavarsi dalle preziose relazioni consolari, che si trovano tuttora per la maggior parte inedite negli archivi di Venezia.[70]
Instituita per decreto del senato 15 febbraio 1507 la magistratura dei Cinque savi alla mercanzia, ed assoggettati ad essa i consolati e gli affari del traffico, « per dare migliore regola e svolgimento al commercio » fu da quella proposto al senato di trasferire in Aleppo il consolato generale veneto nell'Asia[132], dacchè in quella ricca e commerciale città, dopo la deviazione dell'Amur, le vittorie di Tamerlano, e la esclusione dei Veneziani dal mar Nero, convenivano le merci dell'Asia e particolarmente le persiane; in quanto non si volgevano a mezzogiorno attirate dalla nuova via insegnata da Vasco di Gama.
Molte carovane andavano e venivano regolarmente da Aleppo. Le tre principali erano quelle di Ormuz, della Persia e della Mecca[133]. Le più ricche, assicurava il console Morana, portavano valori per circa 8 milioni di piastre.
Quelle di Ormuz, partite da Aleppo e passato il deserto, si recavano a Bagdad e di là a Bassorah navigando sull'Eufrate, e da quella città pel golfo Persico si portavano in Ormuz. Il giro del capo di Buona Speranza colpì principalmente queste carovane.
Quelle della Persia, partite da Aleppo, e passato l'Eufrate andavano in Orfa, quindi a Carahemit, Tiflis e Tauris. Da Tauris si recavano a Derdevil, poi a Kasbin, quindi in Ispahan. Ma essendo obbligate a passare per molte città cadute in potere della Turchia, venivano da quei ministri così aggravate di gabelle, e ritardate nel loro cammino con tali angherie, che chi avea fatto quel viaggio una volta, difficilmente era allettato tentarlo una seconda[134].
Le carovane finalmente della Mecca, che avevano triplice scopo, religioso, politico ed economico, recavano i pellegrini alla città santa. Marino Sanudo[135] riporta una lettera da Damasco del 7 aprile 1514, la quale nota fino da quel tempo una sensibile diminuzione nella quantità delle spezierie portate dalla carovana della Mecca, che nel giorno 4 di quel[71] mese era passata da Damasco con sole 300 some di spezie, la maggior parte zenzero, ed il resto cannella e garofani molto cari.
Le navi veneziane, che recavano nei porti della Siria le merci destinate all'emporeo di Aleppo e ne ritraevano quelle ivi comperate permutate dai mercanti nazionali, sbarcavano or in Tripoli di Sorìa ora in Alessandretta. Da principio lo scalo preferito era quello di Tripoli; ma le straordinarie concussioni commesse da que' ministri turcheschi, i quali al giungere delle navi veneziane si pigliavano quanto lor tornava di talento senza pagare, lasciavano per vario tempo le merci sballate esposte alle pioggie ed ai ladrocinii, le mescolavano con quelle di altre nazioni, e poi le partivano a loro capriccio, secondo le mancie che ricevevano, e senza riguardo alcuno al possessore, all'origine ed alla loro provenienza[136], persuasero il console Tommaso Contarini, che al suo arrivo in Siria nel 1590 trovò quel cottimo aggravato di 80 mille ducati, a chiedere alla Porta la concessione di far scalo invece ad Alessandretta, nell'antico golfo di Ajazzo. Colla spesa di mille zecchini egli ottenne in un mese il firmano[137]. Proibì alle navi venete di andare a Tripoli, e favorì assai la prima che sbarcò in Alessandretta, e fu la nave Grattarola che vi guadagnò di nolo 16 mille ducati.
Nella relazione che il Contarini lesse in senato si vantò di avere con questo cambio migliorato il negozio della Sorìa di più di 40,000 ducati annui[138]. Ma la posizione di Alessandretta, spiaggia paludosa, con esalazioni pestifere particolarmente nell'estate, circondata da monti, senza o con pochissime case, e con incomodissimo sbarco, per cui i marinai erano obbligati a star nell'acqua fino alla cintola per scaricare le mercanzie, la minaccia che il porto stesso andasse otturandosi col crescervi sensibilmente degli scanni, e finalmente le scorrerie dei soldati turchi e dei ladri, persuasero i consoli della Sorìa, successori del Contarini, di tornare allo scalo di Tripoli, dove i ministri turchi erano stati posti[72] sotto la sorveglianza di un beglierbei mandato a governare quella città[139].
Ma il ritorno dello scalo principale a Tripoli contribuì esso pure a danneggiare il commercio dei Veneziani, per la distanza da quella città ad Aleppo, la difficoltà di trovare i cammelli, e la molta spesa delle condotte. E più ancora per le assai gravi cagioni, che si trovano così enumerate nelle preziose relazioni consolari e nelle scritture dei Cinque savi alla mercanzia:
I. Le guerre colla Turchia, che davano occasione ed accrescevano fidanza ai corsari, interrompevano ed infestavano il commercio marittimo della Repubblica.
II. La perdita di Cipro, scalo principale per il commercio dell'Asia, quella di Candia e della Morea, e la esclusione dei Veneziani dal mar Nero.
III. Le ribellioni della Siria, e le guerre turco-persiane.
IV. Gli enormi balzelli, le concussioni, le difficoltà dei trasporti per terra dagli scali in Aleppo e nella Persia, che portavano una spesa maggiore del valore delle merci [Doc. LXVIII].
V. Lo scemato consumo delle pannine, per la moda introdotta nel principio del secolo XVII dai Persiani, e favorita dallo shàh Abbas il Grande, di vestire di imbottiti, per modo che il traffico dei panni era nel 1611 ridotto ad un terzo dell'ordinario.
VI. L'aggravio sulle mercanzie di tutte le spese di cottimo, bailaggi e consolati, le quali aumentavano in ragione inversa della quantità delle merci che si importavano in Asia.
VII. La pessima amministrazione dei fattori ed agenti.
VIII. La introduzione dell'arte della seta in Aleppo e in Damasco.
IX. La concorrenza dei mercanti inglesi, francesi e fiamminghi, ammessi nei porti della Turchia sul finire del secolo XVI[140]. Concorrenza formidabile, perocchè essi erano favoriti dai Turchi con esenzioni di dazii; portavano in Asia maggior quantità di denaro, così facilitandosi gli acquisti[73] in confronto dei Veneziani, che per lo più facevano commercio a permuta; e finalmente vi recavano pannine più vaghe non solo, ma più leggiere e quindi di minor costo.
X. I trattati e le guerre russo-persiane, che deviarono a settentrione il commercio della Persia.
A rianimare il commercio coll'Asia, il senato e la magistratura dei Cinque savi migliorarono il sistema doganale; favorirono società di commercio; accordarono esenzioni e soccorsi di danaro ai fabbricatori di navi; tolsero il dazio sul pepe che i navigli veneziani levavano da Beiruth; stabilirono tasse moderatissime sugli oggetti da permutarsi con merci asiatiche; ordinarono che le spezie fossero trasportate soltanto colle navi da mercanzia, vietandone il trasporto sopra legni stranieri[141], così offerendo quasi un modello al famoso Act of navigation inglese del secolo XVII; diminuirono le tasse di consolati e di cottimi; regolarono l'amministrazione consolare nella Sorìa; e per l'ammaestramento di giovani da impiegarsi nelle ambascerie, consolati o missioni in levante, instituirono un collegio di lingue orientali.
Ed eguale desiderio essi incontrarono particolarmente nel sovrano della Persia Abbas il Grande, che più volte mandava oratori a Venezia per dare una scossa alla catena che congiungeva l'amor suo alla repubblica, e per migliorare il commercio reciproco. Affidava quel re al console veneto nella Siria G. Francesco Sagredo, lo insigne statista e scienziato, amico del Galileo, la protezione dei sudditi persiani nella Siria, e quindi nell'anno 1611 lo nominava suo console e procuratore generale in tutti i paesi della repubblica [Documenti LXIX, LXX, LXXI], offerendo le maggiori agevolezze e favori ai mercanti veneti nei propri stati [Documenti LXXII, LXXIII].
Invitava egli poi alla sua corte nel 1627 Alvise Sagredo per ragioni del traffico particolarmente della seta [Documento LXXIV]; al quale invito corrispondeva il senato, per la costante sua mira di ristorare nel Mediterraneo il commercio persiano [Documento LXXV].[74] Se lo shàh Abbas avesse potuto trasmettere ai suoi successori le grandi sue viste di prosperità nazionale, certamente la Persia sarebbe divenuta il centro delle comunicazioni che cominciavano a stabilirsi fra l'Europa e le Indie.
Lodovico Gallo, nel suo viaggio da Venezia alle Indie[142], assicura che nella Persia bastava essere o spendere il nome di veneziano per aver adito al re, venire onorato e rispettato da ognuno. E Pietro della Valle, nella sua vita di Abbas il Grande, ci narra come la conquista del regno di Lar, divenuto per le sue possessioni di Gombrum l'emporio del golfo Persico, e la sede principale del commercio colle contrade lungo le coste del Malabar, sia stata fatta dal re di Persia per eccitamento dei Veneziani[143].
Ma ogni provvedimento fu inutile: il traffico della repubblica andò irresistibilmente diminuendo da quel sommo grado ond'era giunto nel secolo XV.
Il Foscarini scriveva: non rimanere al suo tempo, che la sola tradizione degli antichissimi commerci dell'Asia; e tutte le relazioni che si hanno comprovano l'immenso interesse dei Veneziani in quelle regioni.
Nell'anno 1405 andarono da Venezia alle coste della Siria sei cocche cariche di merci del valore di 320,000 zecchini[144]. Nel 1515 invece notava il Sanudo[145] l'arrivo a Venezia delle galere di Beiruth a suon di campane, giusta il solito, con un carico molto povero, cioè di 1,200 colli in tutto, e pochi anni appresso solo con un carico di 800 colli. E mentre prima della scoperta del capo di Buona Speranza ascendevano a 40 le case commerciali in Aleppo[146], nell'anno 1596, quantunque la nazione veneziana superasse le altre per numero ed importanza, solo 16 case principali si trovavano in Aleppo, trattando ciascuna dai 100 ai 200 mille ducati d'oro all'anno. Tutto il traffico dei Veneziani in quell'epoca ascendeva a due milioni. Nel tempo del consolato Malipiero (1593-96)[75] furono importate nella Sorìa pezze 20,000 di panni di lana e braccia 200,000 di panni di seta delle fabbriche veneziane[147].
Nel primo anno del consolato Emo, 1597, la nazione veneziana portò nella Siria per un milione di merci ed uno di contanti; ma due anni dopo il negozio discese ad un milione e mezzo soltanto. La qual somma però abbracciava la metà di tutto il traffico della Siria, da parte della cristianità, che ascendeva a tre milioni[148].
Nell'anno 1614 i Veneziani portarono in Aleppo ottocento in novecento mille ducati, in pannine per 150,000 ed il resto in altre mercanzie da fondaco. I Francesi vi spesero tre milioni di reali; i Fiamminghi un milione; e gli Inglesi mezzo milione[149].
Nel 1625 le case commerciali venete in Aleppo si ridussero solo a cinque[150].
Lamentavano i Savi fino dal 5 luglio 1616 la diversione del traffico, e la navigazione del levante essere ridotta in mano di pochi rimasti, che potevano però ancora mantenere un discreto commercio, al quale, dicevano in senato dissuadendo la guerra contro Solimano, la repubblica deve la sua conservazione.
Sopraggiunta la lunga e fatale guerra di Candia, questa diede agio alle altre nazioni di dilatare ed assorbire quasi interamente il commercio persiano, al quale aveano atteso Leone X, il cardinale Richelieu, il duca Federigo d'Holstein, le provincie unite, e gli zar di Moscovia. E succeduta la pace, ripigliarono i Veneziani con difficoltà il negozio di Aleppo, mentre colà, dove nei tempi passati poteansi dire cittadini, appena si riputarono forestieri[151].
Nel principio del secolo scorso risorsero per poco tempo novelle speranze. Fu ripigliato il progetto di riaprire una comunicazione per la Persia coll'India, ma la morte di Kuli khan fece tramontare la impresa. Però avendo Pietro il Grande,[76] che mirava ad attirare nel suo impero il commercio asiatico, conchiuso nel 1729 un prezioso trattato colla Persia, e ristoratosi poi nel mar Nero, aperto finalmente ai Veneziani, il commercio del Caspio, la repubblica tentò, mediante l'Erizzo suo ambasciatore in Vienna, di stabilire d'accordo col principe Gallitz in un trattato colla Russia, pel quale le merci del Caspio condotte alle rive del mar Nero fossero con franchigie ivi levate dalle navi veneziane[152].
Ma fallito il tentativo colla Russia, e disertate le nuove speranze, rimasero insuperabili le gravi cagioni che da tre secoli avevano tolto ai Veneziani la superiorità nel commercio persiano, il quale o si volse per Tiflis, Oremburgo e Nishni-Novogorod nell'interno della Russia, o si introdusse alle Smirne ed a Trebisonda, dove la concorrenza straniera superò di gran lunga la residua attività commerciale dei Veneziani.
Il commercio dei Veneziani colla Persia, era specialmente favorito e protetto dai consolati veneti, negli scali principali dell'Asia anteriore.
La istituzione dei consolati veneti è antichissima e si perde nella caligine dei tempi. Negli emporii più importanti del commercio, e nelle più remote età davasi ai consoli il nome di bailo, che significa, secondo il Ducange, mercatorum prætor. Il bailo o console era capo della nazione nel luogo di sua residenza e giurisdizione, ed oratore ordinario al principe; protettore dei sudditi negozianti e viaggiatori; giudice delle civili vertenze; esattore dei pubblici diritti. Dovea provvedere al mantenimento degli scali, alla prosperità e regolare amministrazione delle fattorìe; ed in qualche paese potea giudicare e punire i delitti capitali e di stato. Un bailo di 1º rango doveva tenere un cappellano[77] e notaio, due camerlenghi, un medico, quattro servitori, un dragomanno, due trombettieri e quattro cavalli. Veniva nominato dal Maggior Consiglio, con quattro mani di elezione, doveva esser nobile, e riceveva il titolo di Magnifico Messere.
Ma affinchè l'autorità del bailo o del console non divenisse arbitraria, erano a lui destinati ordinariamente due nobili come consiglieri, senza il voto dei quali non poteva deliberare, ed in alcuni casi di maggior importanza egli era obbligato a radunare un Consiglio di dodici fra i più distinti sudditi della repubblica nel luogo di sua residenza.
I membri di questo Consiglio dei XII, il quale in seguito divenne permanente, erano sottoposti ad una disciplina assai rigorosa, avvegnacchè un decreto del 14 luglio 1492 dichiarasse perfino: che se taluno di loro avesse palesato una deliberazione consolare o qualunque altra cosa a danno della repubblica, fosse bandito colla confisca di tutti i suoi beni, e nel caso di suo ritorno gli venisse eziandio tagliata la lingua. Il Consiglio dei dodici eleggeva i due camerlenghi, che dovevano tenere uno la cassa, l'altro i registri del consolato, e nominava il vice-console nei luoghi più importanti del commercio.
Circa alla metà del secolo XIII venne istituita la magistratura dei Consoli dei Mercanti, composta di tre cittadini estratti dopo il 1633 dal corpo di uno dei Consigli dei XL. Gli oggetti di mercatura e di commercio erano suo principale attributo, e da essa dipendevano i consolati.
Ma dopo la creazione del magistrato dei Cinque savi alla mercanzia istituito col decreto 15 febbraio 1507, i diritti e le attribuzioni dei Consoli dei mercanti vennero ristrette a più angusti confini. Questa nuova magistratura era di grande importanza, imperciocchè per oggetti di commercio teneva relazione e corrispondenza colle potenze straniere d'Europa, dell'Asia e dell'Africa, e cogli ambasciatori e residenti veneti. I consolati furono a lei sottoposti. Da lei i capitani ricevevano le patenti di navigazione; giudicava per singolare privilegio i sudditi della Porta ottomana.
Per provvedere agli interessi del commercio persiano, che in gran parte abbracciava il ricchissimo dell'Asia, tennero ordinariamente i Veneziani consolati alla Tana, a Trebisonda, in Acri, Tripoli, Beiruth, Damasco ed Aleppo.[78]
Prima che il mar Nero fosse negato alla navigazione dei Veneziani e che l'impero di Trebisonda cadesse nelle mani di Mohammed II, gli scali della Tana e di Trebisonda erano della massima importanza: dacchè a quello concorrevano le merci dell'interno dell'Asia pel Caspio, il Volga ed il Tanai, ed a questo quelle dell'Armenia, della Georgia e della Persia. Ma dopo che le vittorie di Tamerlano, nel principio del secolo XV, deviarono il corso stabilito alle merci delle Indie, le quali ripresero l'antica strada del Mediterraneo, il commercio dell'Asia si ridusse per gran parte nella Siria.
Negli scali del mar Nero i Veneziani tenevano un console a Soldadìa prima che i Genovesi erigessero Gaffa e vi ponessero l'emporio del loro traffico[153], e si hanno notizie di consoli veneti alla Tana dall'anno 1349 al 1464, ed a Trebisonda dal 1383 al 1450.
La più antica memoria che si abbia di consoli veneti è relativa a Teofilo Zeno, bailo in Siria nel 1217, ed a Marsilio Zorzi, bailo pure in Siria nel 1243[154]; quindi si hanno notizie di baili in Acri dal 1256 al 1277, e finalmente di consoli in Siria dal 1384 al 1675 ed alla caduta della repubblica[155].
Salita la Persia ad un grado d'importanza per le vittorie di Uzunhasan, e per quelle di Ismail, che fondava la dinastia dei sufì, nella fine del secolo XV e principio del secolo XVI, il commercio dei Veneziani con quella regione si concentrò nella Siria, dacchè la conquista di Costantinopoli e la caduta dei greci imperi di Nicea e di Trebisonda avevano interdetto alla repubblica il commercio del mar Nero.
Conoscendo allora il senato di quanta importanza diveniva il negozio nella Siria, creava nell'anno 1497 il magistrato denominato Cottimo di Damasco, affinchè con particolare attenzione invigilasse alla direzione del consolato di[79] Siria allora residente in Damasco, e suggerisse tutti i provvedimenti opportuni a sostenere quel commercio nello stato di floridezza ed a ristorarlo[156].
Molte furono le disposizioni di legge stabilite, le regole prescritte ai consoli, le cautele comandate per la esazione dei cottimi ossiano tasse pei diritti consolari, e per migliorare le coste, mantenere i fondachi e le fabbriche; le quali disposizioni andarono poi colle vicende politiche e commerciali del mondo cangiando secondo i tempi e le circostanze.
Ma la legge più importante e più singolare relativa ai consoli veneti è quella che fino dall'anno 1268[157] confermava la sapientissima pratica dei ministri veneziani all'estero e nei reggimenti, di leggere in senato, al ritorno, la relazione delle osservazioni fatte durante il loro ufficio e delle cose degne di essere riportate.
Le relazioni degli ambasciatori veneti sono ora per la maggior parte di pubblica ragione[158], e rendono testimonianza dell'alta stima in cui furono sempre e meritamente tenuti questi splendidi monumenti della nostra politica nazionale.
Di non minore importanza, certamente, sono le relazioni dei consoli, perocchè, se per avventura non raggiungono quella delle relazioni d'ambasciata, rispetto alla cognizione delle tendenze politiche e del grado di potenza degli stati, toccano colle più distinte e minute particolarità gli interessi del traffico non meno degni di considerazione.
La più antica relazione consolare che si conosca, è appunto della Siria, e fu presentata nel collegio dal bailo Marsilio Zorzi nel mese di ottobre 1243. Essa è in lingua latina, e narra la condizione dei possessi e dei privilegi veneti in Tiro, con molte curiose ed importanti particolarità. Fu[80] pubblicata di recente nel vol. XIII delle Fontes rerum austriacarum.
Da quell'epoca fino alla riorganizzazione del consolato di Sorìa (1548) [Doc. LXXVI] non si ha alcuna notizia di relazioni consolari; ed anche posteriormente pare che non siano stati chiamati a leggere in senato se non quei consoli, i quali, per l'importanza delle cose che avevano a riferire, erano per ciò specialmente invitati dal magistrato dei Cinque savi alla mercanzia.
Tre sole relazioni consolari sembra che finora abbiano veduta la luce, cioè: quella di Lorenzo Tiepolo, ritornato dalla Sorìa nel 1560, pubblicata per nozze del cav. Cicogna nel 1857; quella di Giovanni Michele fu Giuseppe ritornato nel 1587, pubblicata nel Tesoro politico, e dall'Albèri sotto il titolo di « Relazione delli successi della guerra tra il turco e il persiano dal 1577 al 1587[159] »; e quella di Giovanni Antonio Morana, agente consolare in Aleppo al cadere della Repubblica, pubblicata in Venezia dall'Andreola nel 1799. Quest'ultima non fu presentata al senato, ma invece fu dedicata al nobil uomo Giustiniani, imp. reg. consigliere, deputato al veneto commercio.
Oltre a queste, dieci altre importantissime relazioni si conservano tuttavia inedite negli archivi di Venezia, cioè:
Relazione di Siria del console Andrea Navagero, | 1575 |
» » Pietro Michele, 8 decembre | 1584 |
» » Tommaso Contarini, 11 decembre | 1594 |
» » Alessandro Malipiero, 16 febbraio | 1596 |
» » Giorgio Emo, 12 decembre | 1599 |
» » Vincenzo Dandolo, 27 febbraio | 1602 |
» » Gio. Francesco Sagredo, 4 luglio | 1611 |
» » Stesso, 15 maggio | 1612 |
» » Girolamo Morosini, 9 febbraio | 1614 |
» » Giuseppe Civran, 21 agosto | 1625 |
» » Alvise Pesaro | 1628 |
Dispacci del console Nicolò Foscolo dal 1636 al 1639. |
Le quali relazioni sono di tanta maggiore importanza, in[81] quanto si riferiscono all'epoca delle guerre persiane e delle ribellioni della Siria, ed avvisano alle cause della progressiva diminuzione del commercio dei Veneziani nell'Asia.
Ogni relazione ordinariamente è divisa in tre parti: nella prima tratta delle condizioni del commercio, offerendo preziosi dati statistici e suggerendo i rimedi opportuni a ristorarlo; nella seconda delle condizioni economiche, politiche e militari della Siria, delle rendite e forze che ne ricava la Porta, e delle costei relazioni colla Persia; e nella terza finalmente dello stato del regno di Cipro. Venivano lette in senato, e depositate nell'archivio della cancelleria segreta.
Diminuendo il commercio coll'Asia ed aumentando le spese del consolato di Damasco ad una somma annua considerevole a peso ed aggravio della mercanzia, il senato deliberò l'11 febbraio 1545 di abolire il consolato di Damasco, e di trasportare la residenza di quel console in Tripoli, la quale nell'anno 1548 fu poi ridotta in Aleppo, emporio principale del commercio, colla facoltà di sostituire vice-consolati nelle spiagge della Sorìa.
Molte furono le deliberazioni del senato e dei Cinque savi alla mercanzia intorno al consolato della Sorìa. Nei preziosi diarii di Marin Sanudo, e nell'epilogo dei Cinque savi, si trovano fra le altre le seguenti:
1424, 4 dicembre. Non possano i consoli, nè i loro figli non emancipati esercitare commercio nel luogo della loro residenza, e sieno al caso multati di ducati 1000.
1503, 22 giugno. L'autorità del console di Damasco sia ampliata in personal e real, per la poca obbedienza, che gli vien prestata.
1513, giugno. Il salario del console di Damasco sia portato da 500 ducati che aveva, a 500 ashrafi.
1524, 19 aprile. I consoli di Siria formino processo contro i Veneti, che avessero corrispondenza con forestieri, per mandare le loro mercanzie sopra navi venete.
1526, maggio. Il console di Damasco sia eletto per anni 2 per scrutinio a quattro mani di elezione, e sia nobile.
Item. Il console non possa scrivere nel suo libro alcuna partita in dare ai Mori, se prima non siano notali all'incontro i loro crediti, sotto pena di pagar del suo.
1539, 23 maggio. Tutte le sete e spezie, eccettuato il pepe,[82] che si traggono dalla Sorìa e dall'Egitto, venendo a Venezia da diversi luoghi, paghino il 4 per % da applicarsi al pagamento dei debiti del cottimo di Damasco e di Alessandria.
1543, 9 luglio. Non si possa ridurre in Sorìa il Consiglio dei XII in assistenza del console, nelle più gravi deliberazioni, senza il di lui intervento.
1544, 4 luglio. Si procuri di ottenere dalla Porta che il console di Damasco possa stare in Tripoli pel governo dei mercanti.
1545, 11 febbraio. Il console di Damasco trasporti la sua residenza in Tripoli di Sorìa.
1546, 17 luglio. Venendo a morte alcun suddito veneto, debbano i consoli far l'inventario delle robe sue.
1548, 19 decembre, in Maggior Consiglio. La elezione del console in Siria sia fatta per anni 3. Porti il titolo di console della Sorìa. Sia scritto al bailo in Costantinopoli di ottenere che il console della Sorìa possa risiedere in Aleppo, dove sono le maggiori faccende. Abbia il console di salario 600 ducati da venete lire 6,4 l'uno, oltre ai diritti consolari di Tripoli di Sorìa. Il vice-console di Tripoli sia eletto ogni anno dal Consiglio dei XII, sia nobil uomo, e debba avere dal cottimo il salario di ashrafi 270 all'anno. L'esattore del cottimo e delle altre tasse alle marine, sia eletto dal console, che dovrà pagarlo del proprio, e garantire la di lui buona amministrazione.
1549, 11 gennaio. Il console nominato debba immediatamente recarsi al suo posto, sotto pena di 500 ducati.
1574, 19 ottobre. La imposta del 2 per % di cottimo, che si riscuoteva in Siria per supplire alle spese del consolato, sia per minore aggravio presa a cambio in Venezia.
1586, 5 marzo. Non si possa eleggere od approvare alcun console senza speciale informazione del magistrato dei Cinque savi alla mercanzia.
1586, 12 giugno. Sia imposto ½ per % alle merci che verranno di Siria per la espedizione di quel console.
1588, 3 luglio. Sia levata la arbitraria gravezza posta dal console della Sorìa sui mercanti e restituito il percetto: « essendo pubblica intenzione di accarezzare i mercanti per non deviare il commercio ».
1592, 11 settembre. Tutte le merci che vengono di Sorìa[83] siano tenute a pagare ½ per cento al cottimo di Damasco, oltre l'1 che si paga presentemente, e ciò per estinzione dei debiti arretrati.
1608, 28 luglio. Sia concesso al console di Sorìa per una volta tanto 250 zecchini, in causa della carestia, principalmente del vino, che bisogna presentare ai signori Turchi.
1611, 13 gennaio. Al console di Aleppo si diano per viaggio da Tripoli alla sua residenza mille reali, e pel ritorno ottocento, ed inoltre gli siano dati 200 zecchini per il presente da farsi giusta l'ordinario.
1613, 1º giugno. È proibita al console della Sorìa la pratica invalsa di non permettere il passaggio a mercanti esteri sulle navi venete.
1624, 20 agosto. Per sollevare i trafficanti colla Sorìa delle gravi spese sotto varii pretesti introdotte, è ordinato:
1º I consoli non debbono vendere cosa alcuna a cottimo per nome loro.
2º Non sieno dati ai giannizzeri più di 700 ducati di buona valuta all'anno.
3º Pel viaggio di mare e di terra non si dia al console di Aleppo più di 1000 lire per l'andata, e 1000 pel ritorno.
4º I consoli non ricevano presenti dai bashà, o li ricambino del proprio.
5º I consoli andando a nozze od a convito paghino ogni cosa del proprio, senza interesse del cottimo.
6º I mercanti non siano costretti a provvisioni di danari, se non per spese ballottate nel Consiglio dei X, nel quale debba intervenire un capo di ogni casa che ha negozio in Aleppo.
1670, 21 agosto. Siano rimessi i consoli di Aleppo, come si praticava prima della guerra.
1671, 8 giugno. La tassa del 4 per % sia ridotta al 2, e destinata unicamente al pagamento dei debiti di cassa del cottimo.
1675, 22 gennaio. 1677, 18 marzo. 1678, 17 giugno. Sospesi i consolati d'Aleppo, di Alessandria e loro vice-consoli.
1680, 3 gennaio. Sia concesso ad Andrea Negri di recarsi in Aleppo in qualità di agente dei mercanti.
1683, 9 ottobre. Sia stabilita un'imposta fissa di 400 reali per ogni nave di vela quadra veniente dalla Siria, e di 200 per ogni nave minore.[84]
1689, 29 luglio. Quelli che trarranno robe dalla Sorìa sieno obbligati a far le tratte particolari, naviglio per naviglio, e mandarle a Venezia segnate dai provveditori al cottimo di Damasco.
Il diritto consolare dei Veneziani fu soltanto nell'anno 1786 ridotto a disposizione di legge generale, e compreso nel titolo XII, parte I, del famoso codice per la veneta mercantile marina, che è uno dei più preziosi monumenti della sapienza civile della repubblica, negli ultimi anni della sua esistenza.
Le determinazioni principali del codice relative ai consolati erano:
Ogni console dovea essere suddito veneto, aver compiuta l'età di 25 anni, godere ottima fama di onestà e di intelligenza nel commercio, essere munito delle patenti e di speciali commissioni. Appena arrivato al luogo di residenza, egli dovea presentare le patenti a quelle autorità per essere riconosciuto, quindi rispettato ed obbedito dai sudditi. Il suo impiego durava 5 anni, nè poteva sostituire alcuno, senza espressa permissione del magistrato dei Cinque savi. Conseguiva gli appuntamenti e i diritti consolari nei modi e misure fissate da apposita tariffa stabilita dai Cinque savi, ed esposta nella cancelleria del consolato, con proibizione di esigere di più, e di prender danari a censo o mutuo a debito della nazione. Tenere dovea sopra apposito libro timbrato la nota, giorno per giorno, dei veneti bastimenti che arrivavano nel suo raggio giurisdizionale, colle più minute indicazioni del carico, del capitano e dell'equipaggio, riscontrando, mediante apposito esame, le polizze di carico, le fedi di sanità e i ruoli degli equipaggi. Tutti i manifesti dei carichi e le notizie più importanti relative al commercio ed alla navigazione, egli doveva far giungere al più presto possibile al magistrato dei Cinque savi.
Il console eleggeva il suo cancelliere, del quale era responsabile in via civile. Se il cancelliere non era suddito, la nomina dovea essere approvata dai Cinque savi. Nelle parti del levante e dell'Asia dovea il console tenere un cappellano di rito cattolico.
Le differenze fra i sudditi doveano essere composte ed appianate dal console, che avea pure autorità di arrestare e punire quelli che turbavano la regolarità del traffico, o[85] violavano le leggi penali; nei casi gravi però dovea inviarli, colla prima opportunità, alla dominante.
Il console erigeva gli atti verbali nei casi di getto ed in tutti gli altri nei quali veniva richiesto dai sudditi; eseguiva gli inventari, gli atti di morte; ricevea testamenti; e dava forza legale, come pubblico notaio, ai contratti stipulati alla sua presenza. Il cancelliere poi in un apposito libro dovea tenere la copia di tutte le deliberazioni e degli atti del consolato, di tutte le polizze, i contratti, gli inventari, i testamenti e delle altre carte che pervenivano alla cancelleria.
Nei casi di naufragio il console doveva accorrere per salvare con ogni mezzo possibile i naufraghi, e riceveva poi il 2 per % di premio sul netto ricavo delle cose ricuperate.
Mancando il console di vita, il cancelliere lo doveva sostituire fino alla nomina del successore.
I consoli dovevano dar piena esecuzione e far rispettare ed obbedire il codice della mercantile marina, le leggi generali e le disposizioni dei magistrati e degli ambasciatori e residenti alle corti, aver cura perchè fosse mantenuta la fede nei contratti, la esattezza nei pagamenti, la quiete e la libertà del commercio.
Per le spese straordinarie che occorrevano nei consolati, il console dovea convocare il Consiglio dei Dodici, col quale si stabilivano le misure necessarie, gettando una tassa sui capitali dei negozianti. Che se però le spese erano molto rilevanti, o la amministrazione consolare restava in debito, vi provvedeva il collegio dei Cottimi[160] gettando un'altra tassa sopra tutte le mercanzie; la quale ascese al 4, al 6, e talvolta perfino al 12 per % nella Siria, oltre la tassa ordinaria cui quelle erano sottoposte per i diritti consolari e pel mantenimento in Venezia della magistratura detta Cottimo di Damasco.
Sopraggiunta la lunga e fatale guerra di Candia, il vice-console nella Siria Alvise Tartarello, ripatriato nel 1648, dimostrò in senato ascendere il debito della nazione a ducati 66,652, per estinguere il quale fu imposta una tassa[86] del 4 per %. Con questa tassa si poterono pagare durante la guerra 40 mille ducati, per modo che, succeduta la pace, il nuovo console Marco Bembo propose di saldare la residua passività del cottimo, riducendo la tassa dal 4 al 2 per %.
Ma le spese del consolato Bembo, per quanto si raccoglie dalle scritture dei capi di piazza, ascesero a reali 32 mille circa, per cui le merci furono aggravate del 10 per cento in conto di cottimo, oltre il 2 destinato all'estinzione del debito precedente, e si dovette anzi ricorrere ai negozianti per un prestito di reali 20,000.
Fu eletto poi console nella Siria Francesco Foscari; ma sempre più diminuendo il traffico dei Veneziani nell'Asia, e particolarmente colla Persia e le Indie, per le gravi cagioni enunciate più sopra, il senato deliberava a' 22 gennaio 1675 di togliere quel consolato, accompagnando con sentimento grave la notizia circa alla mancanza in quello scalo del negozio dei Veneziani, e quanto era gravosa la continuazione del consolato di Aleppo.
Accordossi allora ai pochi sudditi, che ancora negoziavano nella Sorìa e coll'Armenia e la Persia, di rivolgersi per la protezione a quei consoli di altre nazioni amiche, che essi nella specialità dei casi ritenessero migliori; ma mal volentieri tollerando i mercanti questa necessità, oltre le ristrettezze molto considerevoli dell'estenuato negozio, si astennero finalmente dallo spedire in Sorìa merce alcuna.
Laonde Andrea Benedetti, che in qualità di agente aveva sostituito l'ultimo console Foscari, dovette, per supplire alle spese, accrescere il debito della nazione veneziana e portarlo alla somma di 40 mille reali.
Offertosi poi Andrea Negri di andare in Aleppo col titolo di agente dei mercanti, e di soddisfare tutti i debiti lasciati dal Benedetti, e tutelare gli interessi dei Veneziani negli scali dell'Asia, verso la corrisponsione di una tassa del 5 per % sulle merci di ragione dei mercanti veneti che passavano in Siria, il senato accolse la proposizione ed emanò conforme decreto il 3 gennaio 1680.
Ma non bastando la preavvisata tassa, fu imposta una contribuzione fissa da 200 a 400 reali per ogni nave, secondo la grandezza, che toccasse i porti della Sorìa, e furono[87] rimossi come inofficiosi e superflui i sette ministri del Cottimo di Damasco, destinando la tassa a loro favore, in pagamento invece dei debiti nella Siria.
Tutte queste disposizioni però non furono sufficienti, ed il Negri non avendo potuto soddisfare tutti i debiti della nazione, fu arrestato dai Turchi, ed ebbe appena la ventura di fuggire dalle loro mani, lasciando sequestrata anche la casa consolare da un Corrado Kalchebrum, mercante fiammingo.
Fu allora che Andrea Benedetti, suo predecessore nella sfortunata agenzìa di Aleppo, offerse di assumerla di nuovo, proponendo ai Cinque savi, in una sua particolareggiata scrittura [Documento LXXVII], i mezzi per riordinare quell'amministrazione, ristorare il commercio dei Veneziani, e mantenere il decoro della repubblica.
Il senato aderì a questa proposizione; e le saggie misure prese dal Benedetti, il progetto di riaprire una comunicazione colla Persia e colle Indie, i trattati di Pietro il Grande colla Persia, e l'essere stato schiuso il mar Nero alla navigazione dei Veneziani, fecero sorgere più che mai vive le speranze di riattivare sulle coste dell'Asia e del mar Nero il commercio persiano. Laonde i savi proposero la ristorazione del consolato di Aleppo [Documento LXXVIII], che fu ordinata col decreto 29 dicembre 1762 [Documento LXXIX], e durò fino alla caduta della repubblica.
Dei Viaggiatori veneziani in Persia
e delle venete Descrizioni edite ed inedite
di quella regione.
Quantunque intorno ai viaggiatori veneziani in generale abbiano trattato lo Zurla, il Morelli, il Filiasi, il Foscarini, e da ultimo il Lazari, reputasi conveniente, in appendice al presente studio storico, di riportare quelle notizie particolari e quei nuovi documenti che si poterono raccogliere e si riferiscono a viaggiatori veneziani nella Persia, ed a venete relazioni di quella regione.
La conquista di Costantinopoli (1201) avea dato un impulso gigantesco alla potenza commerciale dei Veneziani. Le loro navi cercavano nei porti del mar Nero, della Siria e dell'Egitto i preziosi prodotti dell'oriente; ma non si ha memoria di alcuno che siasi allora addentrato nelle regioni interne dell'Asia, che abbia osato di tentare peregrinazioni per quelle remote contrade, che erano involte nella più fitta caligine, durante l'impero degli Arabi.
I primi che intrapresero viaggi per l'interno dell'Asia furono i veneziani Matteo e Nicolò Polo, i quali mossero nell'anno 1250, al tempo di Baldovino imperatore, da Costantinopoli, e inoltratisi nel mar Nero sbarcarono nel porto di Soldadìa vicino a Caffa, e proseguendo il loro cammino per[90] terra nella Cumania verso Derbent, via che facevano i popoli circassi per andare in Persia, passarono il Tigri ed il Deserto fino a che giunsero nella residenza del gran khan dei Tartari. Ritornati quindi a Venezia dopo un così lungo e straordinario viaggio, essi trovarono il nipote Marco, il quale invaghitosi dalle meravigliose descrizioni che gli zii facevano dei luoghi visitati nell'Asia, li pregò di condurlo seco loro nella seconda spedizione in Tartarìa, dove avevano promesso al gran khan di recarsi di nuovo.
Marco Polo nel suo famoso viaggio[161] per le regioni di oriente, dove dimorò ventisei anni, racconta che si recò in Armenia nel porto di Ajazzo, nel quale ordinariamente facevano scalo i mercanti di Genova e di Venezia; e descrive, fra le altre regioni di quasi tutta l'Asia, gli otto regni che allora componevano la Persia, le condizioni di quegli abitanti, i prodotti e le industrie, avendo attraversata quella regione nel suo ritorno dalle Indie, ed essendosi presentato a Cazan, uno dei migliori principi persiani, che ebbe pur relazione col papa Bonifacio VIII[162].
Da quell'epoca, per due secoli, mancano notizie di viaggiatori veneziani penetrati nell'interno dell'Asia, tranne i pochi dati che ci rimangono di un Marco Cornaro, ambasciatore in Tauris nel 1319, i quali fanno ritenere sussistessero fin da quel tempo relazioni internazionali veneto-persiane[163], ed un documento del 1328, scoperto di recente dal chiarissimo Thomas negli archivi di Vienna, e che appunto si riferisce a rapporti commerciali veneto-persiani.
Nell'anno 1424 Nicolò Conti veneziano partì da Damasco, e attraversata l'Arabia Petrea, andò a Bagdad, quindi a Bassorah. Imbarcatosi nel golfo Persico, veleggiò per Ormuz a Cambaja, d'onde unitosi con alcuni mercanti turchi e persiani attraversò la penisola spingendosi fino alle foci del Gange. Il Poggio, fiorentino, lasciò una succinta memoria dei viaggi del Conti, una parte della quale è dedicata alla descrizione della Persia[164]. Intorno a quel tempo, si ha pure[91] memoria di Dracone Zeno figlio di Giovanni che dimorò molti anni alla Balsera, alla Mecca ed in Persia per affari di mercatura[165].
Allorquando poi Mohammed II, vincitore di Costantinopoli, minacciò i possesi veneti nel levante, e la repubblica strinse alleanza colla Persia contro il comune nemico, andarono in quella regione i veneziani Lazaro Quirini, Caterino Zeno, Giosafat Barbaro, Paolo Ognibene ed Ambrogio Contarini, i quali nelle loro relazioni, nei dispacci e nelle esposizioni fatte al senato lasciarono importantissime descrizioni dei luoghi da essi visitati[166].
Oltre alle relazioni dei viaggi del Zeno, del Barbaro e del Contarini, il Ramusio pubblicava nel 1559 quella di un anonimo mercante che fu in Persia, il quale si dimostra palesemente essere stato un veneziano per la lingua che usa, e pei paragoni dei quali si serve; ed un'altra di Giovanni Battista Angiolello vicentino, intorno alla vita ed ai fatti di Uzunhasan, re di Persia.
Queste descrizioni vengono a formare, come giustamente osservava il Foscarini, una storia seguente delle rivoluzioni persiane dal tempo di Uzunhasan al consolidamento sul trono della dinastìa dei Sufi, la quale merita d'essere compiuta colla pubblicazione delle interessanti scritture di ser Donato da Leze, amico dell'Angiolello [Documenti LXXX, LXXXI, LXXXII], i dispacci del Dario e le relazioni di Giovanni Lassari [Documenti XVII, XVIII, XIX, e XX].
Luigi Rancinotto veneziano, fattore di un negozio in Alessandria del patrizio Domenico Priuli, fu in Persia nell'anno 1532. Egli estese la relazione dei suoi viaggi, stampata da Aldo Manuzio nel 1557[167], nella quale narra: che sentite le stupende cose che pubblicavansi delle nuove scoperte portoghesi gli venne volontà di viaggiare e di riscontrarle coi propri occhi. Quindi scorse l'Etiopia, visitò Calicut e andò in Persia, dove fu presente alle tre legazioni ivi pervenute[92] dall'Arabia Felice, da Sumatra e dalle Molucche per implorare aiuto a Thamasp, onde porre un termine ai crudeli trattamenti dei Portoghesi.
Allorquando Selino mosse guerra alla repubblica per lo acquisto del regno di Cipro, il segretario del senato Vincenzo Alessandri, andato in Persia per trattar lega con quel re, ci lasciò nei suoi dispacci, e nella relazione che lesse in Pregadi, assai preziose notizie di quella regione [Documenti XXV e XXVI].
Teodoro Balbi trovandosi console nella Siria dall'anno 1578 al 1582 dettò una relazione della Persia, tuttora inedita e che merita di essere pubblicata [Documento LXXXIII].
Le guerre turco-persiane di quel tempo sono poi descritte nelle due relazioni di Giovanni Michele e di Daniele Barbaro già pubblicate[168], nonchè dal bailo Nicolò Barbarigo nel suo Trattato, che giace ancora inedito fra i codici del cav. Cicogna; relazioni che giovarono al Minadoi, mentre stava scrivendo in Aleppo la sua storia, pubblicata a Roma nell'anno 1586, e due anni dopo in Venezia.
Una breve relazione del viaggio da Venezia alla Persia e di quella regione, fatta da un anonimo veneziano alla fine del secolo XVI, trovasi fra i documenti [Documento LXXXIV] di questo lavoro, tratta dai nostri codici.
Secondo il Foscarini, che ne deduce la notizia dall'elogio funebre di Ottaviano Bon, scritto dal vescovo Giovanni Lollino, pare che anche il Bon, abbia nei primi anni del secolo XVII descritta la guerra, che i Persiani sostennero contro Amurath I, ma tale relazione ci è ignota.
Tuttora sono poi inedite per la maggior parte le preziose relazioni fatte dai consoli veneti nella Siria, le quali tutte discorrono con interessanti particolarità della Persia, e specialmente quella di Alessandro Malipiero, 16 febbraio 1596, e la terza di Giovanni Francesco Sagredo, l'amico di Galileo, scritta nel 1612 e che è irreperibile[169].
Ambrogio Bembo trovandosi insieme ad un suo zio console veneto in Aleppo, intraprese nel 1670 un viaggio alle Indie orientali, che durò quattro anni. — La relazione di questo viaggio, della quale una parte è dedicata alla Persia, trovasi nel Morelli: Dissertazione sopra alcuni viaggiatori veneziani poco noti.
Intorno a quel tempo arrivarono pure in Venezia alcuni padri Domenicani spediti dal re della Persia, i quali in seguito ad invito del senato dettarono una Relazione sulli viaggi di Persia, che per decreto del 1673 fu inserita nei Commemoriali [Documento LXXXV].
Finalmente nei dispacci dei veneti ministri in levante si incontrano copiose e particolareggiate le notizie delle cose persiane, che essi apprendevano da appositi inviati in quella regione: avvegnachè il conoscere le intime condizioni della Persia, pei noti rispetti del comune nemico e del reciproco commercio, assai importasse alla repubblica di Venezia.
DELL'ORIGINE
DI
ASSANBEI SIVE USSUN CASSAN
Breve Notatione.
Nell'anno 1470, riferisce uno, che trovandosi in Persia l'anno 1468, e rasonando con li mercanti li quali nuovamente vennero di Trebisonda, tra li quali fu Domenico Del Carretto che usava quel viaggio, disse che veniva nominato questo Ussun Cassan, et che in quelli zorni aveva fatto scorrerìa in Amasia et in Angora con pochissime genti, et il signor soldan Baiezit fiol di Maumet turco, in quel tempo essendo zovene, temeva affrontarsi con Ussun predicto, et si meravigliassimo del suo temer. Mi disse quel Domenico perchè vi meravigliate? io vo' narrar di questo Ussun Cassan cose incredibili. Costui fu fio di un signor abitante nelle montagne, su le quali ha alcuni castelli fortissimi, il suo paese si dice Tactai, è di poco tegnir. Essendo quello morto, il suo fiol Ussun divenne molto valevole, savio, audace et delli più belli di corpo, che da gran tempo si sono veduti, grande, spalluto, tutti i membri corrispondenti a quella bella persona come se fosse dipinto, et il suo capo siegue alla grandezza de la persona, con do occhi neri che è un terrore al vederli: et quanto è valoroso, tanto è liberale, cortese, benigno « ideo dicitur gratior et pulcher veniens in corpore virtus ». Io come mercadante sono stato nel suo paese, vidilo, parlai con esso, et così come è grande, similiter il suo mangiar è estremo; e per il suo cavalcar, pochi boni cavalli se trova a portar tanto corpazzo. Del 1455 si mostrò con 3000 uomini e corse nel paese di Hasan[170] e danneggiavalo molto, sì che mai poteva a lui resistere, quamvis Hasan fosse signore di Zagatai, nè poteva averlo in le man perchè lui era sempre sentiroso et apto alle insidie, et come presentiva[98] la venuta di Hasan fugiva in le montagne. E nota che Hasan vedendosi grande et potente signore, et Ussun Cassan un signoretto che ardiva farli tanti insulti, molto si lamentò verso i suoi baroni dicendo: che val la mia potenza se non trovo nessun barone a prendere questo ladroncello e condurmelo morto o vivo, che prometto a chi mi porta la sua testa di dargli una città di suo contento. E di tutti li baroni nessuno si mosse, salvo uno detto Acmat, e disse: O gran Signore, tojo l'impresa mi, vu intendè che homo è costui, lassè far a mio modo, et in pochi dì ve lo menerò o morto o vivo, et Hasan promise a suo modo. Questo Acmat si mise in punto con alcuni pochi electi perseguitando Ussun continuamente; et improvvisamente trovatolo al pascolo in campagna e appresso al monte quello assaltò, et avendo messo in fuga e sparsa quella poca zente che era fugita per li monti, il dì seguente Ussun si trovò adunati 1700 uomini dicendo a quelli: A che semo più boni? da questo Acmat semo assediai, nè potemo scampar la morte, meglio è morir virilmente, che tristamente esser pigliati. Tandem consejati deliberarono assaltarli alla seconda guardia, et premandati esploratori et inteso che riposavano con sue mojer e fioi, allora dito e fato assaltano quelli che sono drento al padiglione di Acmat; e la fortuna a quei de Ussun andò prospera et prese quel barone salvo con grande uccision di nemici, e quelli vedendosi rotti et el so capitano preso, a poco poco se inchinarono ad Ussun et domandarono perdonanza. Ussun Cassan cortesemente tutto accettava e con parole lusingava dicendo: Vardè fradei cari, cadaun che conosce el suo, voglia el suo, del vostro mi no vogio niente, et etiam le vostre donne e fameje, io pur son signor e fiol de signor, e benchè sia povero Dio è grande.
Vedendo li nemici suoi tanta lealtà ad una voce li fecero grandissima laude, e vi furono di quelli che li dissero che voleano restare se a lui piaceva, et esso allegramente tutti accettò e disseli: Saremo tutti fradei insieme; et quel pezzo de pan che havremo, partiremo tutti quanti.
Dopo l'acceptar di questi fece venir davanti quel barone Acmat preso domandandoli: che cazon ti ha fatto far la impresa de perseguitarmi? Rispose: Sapiè che lo bando che fece il mio Signore, fu a chi attrovasse di dargli la vostra testa li donava una città et facevalo beato. Io pensando aver la vittoria ho tolto tale impresa. Ussun Cassan rispose: Feste voi la sententia, e quella cercavi per mi, farò fare a voi, e comandò fosse decapitato e mandato il capo al sultan con queste parole: Tolè signor grande el presente che desideravi; facendoli poi aggiungere: Perchè[99] mi vai perseguitando, ti è signor grande e mi pur son fiol de signor, benchè non sia sì potente; tu dici che sono ladro in le montagne, ma lassime venir al piano, lassime riposar, che ti prometto esser con te pacifico, con molte altre parole. Soprazonse poi la donna, fu di quel barone con alcuni altri che ritornavano alle loro case e non vollero rimaner con Ussun, et a quella donna ha facto restituir el suo, et quella con buone parole confortava et pregava volesse restar con lui, promettendo mandarla con suo contento, et etiam alcune altre che erano in sua compagnia, le quali non volendo rimaner, quelle fece accompagnare alle loro case con boni cavalli, sopra ponendo questo a quella ambascieria.
Di presente Hasan vedendo le sue dolci parole et amore, restò stupeffatto et era contento di non lo molestar. Ussun con quella gente che a lui moltiplicava non volle più scorzisar el paese di Hasan, ma correva sui confini di Amasia fin in Angora; et Baiezid che abitava in Amasia essendo zovene non ardiva affrontarsi con Ussun perocchè suo padre si disdegnava.
Et nel 1459, essendo approssimato al confin di Trebisonda, Ussun se ridusse alle sue fortezze, ma sempre correva. Il Turco mandò allora sui ambasciatori con presenti di panni d'oro et di seta, lavori d'argento e cavalli a donar ad Hasan, pregandolo che stringesse dalla sua banda Ussun Cassan e lui dall'altra a metterlo in mezzo et prenderlo. Ma egli in quel tempo non si mosse, anzi veniva detto che Ussun Cassan in la strada aveva fatto prendere quel legato dell'ottomano che portava li presenti ad Hasan, e non fu vero, nè possibile lui si muovesse.
Nel 1450 l'imperatore de Trebisonda guerreggiava col signor Armenich che era suddito di Ussun Cassan, onde l'imperatore preparato l'esercito con poca gente per andare a prendere questo Armenich credendo averlo a man salva, fu come intraviene a quello che poco stima l'inimico, preso l'imperatore da Armenich, il quale essendo suddito di Ussun Cassan a quello lo presentò. Essendo l'imperatore alla presenza di Ussun Cassan, li richiese fosse fatto tajar del so prezio, che provederia de redimersi, onde Ussun Cassan li disse: Quello che io desiderava mi vien alle mani, io danari non apprezzo, mi fu detto voi avere una fia savia e da ben, dita Teodora, demela per mugier. — L'imperatore rispose: Come potrà farsi questo, essendo noi christiani e voi pagan? Rispose Ussun: Non curo questo, pure intravegniria cosa del nostro contento unanime da ella, perchè per cristiana la voglio e per questo l'apprezzo, perchè a mi donne no manca, adunque[100] per questa caxon me muovo et a voi è forza farlo. E così seguì le nozze et datoli la fiola per questa via, et have quella in devotion carissima. Avuta madama Teodora per moiera, pare che la fortuna ad Ussun Cassan andasse prospera, et ogni dì moltiplicava in seguito de zente.
Vedendo Maomet turco moltiplicar Ussun, temendo non si facesse grande, fece esercito nel 1461 ed andò verso Trebisonda, acciò Ussun no prosperasse in quello impero.
Vedendo Ussun no poter resistere alla potenza del turco, li fu forza mostrarli le spalle, e ritornò alli monti e alli suoi castelli. Il turco non volendo Ussun per vicino, aumentato il suo esercito andò in persona e prese Trebisonda, nel cui esercito fu Nicolò Sagondino segretario della Signoria nostra.
La despota Teodora mojer de Ussun Cassan avendo fatti fioli, et per tal matrimonio essendo arsa d'amore con Ussun Cassan li disse queste parole: Signor mio, omai di voi non può mancar la vita se il vostro sangue è vita e sangue di vostra fia, et è el ben dei vostri figlioli, abbiè dunque fede delli consigli che vi darò. Tolè questa crosetta, e applichela con questa catenella al vostro collo e abbiè devotion, et ogni dì per mio contento mettela sulla fronte e basela con reverentia, e se caso v'intravegnisse essere in battaglia raccomandeve con zelo e fede a questo crocifisso; e se voi non avrè vittoria riputeme una cattiva et inimica dei vostri fioli: perchè trovata la verità di quel che dico averè occasion de volermi tanto più ben. Per tal suasion, Ussun Cassan, per amor della donna che lo costrinse, o fosse permission della Divina grazia, el tolse quella crosetta con devotion et pace, che da quell'ora venne in tanta prosperità che dove el se metteva in battaglia, etiam ch'el fosse de poca potentia, diventò gran signore: et è opinion de molti che segretamente è sta convertito alla christiana fede.
In questi tempi essendo Maomet turco vicino di confine ad Ussun Cassan et a Hasan, ed essendo Ussun in mezzo Maomet iterum aveva ordito intelligentia con Hasan di prendere Ussun Cassan, et avvedutosi di tali insidie Ussun si pose a far forte in una valle a piè di un monte et fece tajar grandi alberi mettendo quelli per traverso le vie et fecesi forte. Aveva il turco comandà al fiol Bajezid di Amasia che andasse a congiungersi con Hasan, per poter prendere Ussun, il quale essendo avvisato di questo, attendeva a farsi forte. Accade che vedendo Hasan la precauzione facta per Ussun, che non era possibile ottenir la sua intenzione, deliberò tornar indrio,[101] et lasciar l'impresa; e za la gente del suo esercito aveva in gran parte licentià. Ussun Cassan avendo presentito che Hasan aveva licenziato gran parte del suo esercito, vedendo occasione, e modo venutogli di far egregio assalto a Hasan, una notte con zente eletta uscì dalla sua fortezza e con insidia assaltò Hasan, e quello prese con sua masnada e feceli tajar el capo a lui et al so fiol. Il capo di Hasan mandò a presentare a Maomet turco, il capo del fiol mandò al sultan.
Il soldan have gran piacer per essere amico de Ussun. Il turco el contrario. Et il turco mandò a dire ad Ussun Cassan che non aveva fatto bene a far simili atti a così gran signore. Ussun li fece rispondere: Mi ho fatto con la spada in man, quello che dovea fare.
Prosperando in stato Ussun Cassan per la morte di Hasan, e sottomettendo il suo imperio con tanta vittoria, l'imperatore dei Tartari Zagatai[171], si mosse potentissimo per invidia e venne contro Ussun Cassan, et quello assediò, chi dice in campagna e chi in città.
Ussun vedendosi astretto mandò a quello ambasceria, et con bone parole lo amaliò mentre la notte aveva ordito e messo in punto le sue genti, et dopo riposato assaltò li tartari e mise quelli in rotta. Prese il signor dei Tartari Zagatai e feceli tagiar il capo, per lo che tutti quei popoli s'inchinarono a lui; et a questo modo si fece signor di tutta la Persia et Media, et fu nel 1469.
Dopo avuta la vittoria dei Tartari e Zagatai, mandò suoi ambasciatori a Maomet turco per annunciarli tanta vittoria. Il suo ambasciatore venne a cavallo fino a Scutari, et annunziato al signor turco el suo zonzer, subito fece armar una fusta et lo mandò a levar e condur a Costantinopoli: il quale si appresentò alla Porta dicendo al Turco come il signor Ussun Cassan, con bella continenza per esser huomo di bella maniera, lo mandava; li bassà si levorno in piedi et andolli incontro per accompagnarlo; ed appresentato al signore le basò le man et li disse poche parole presentandoli lettere di Ussun Cassan di tre righe: quello che era scritto nessuno l'intese, et li portò presenti: un uovo di struzzo con un velo sottile et un altro uovo con una veste: e che questo sia vero io Zorzi di Fiandra credente, ho inteso a razonar essendo al Cairo.
Tornando al nostro proposito detto ambasciator de Ussun Cassan portò etiam a donare al turco uno scacchier lavorato di legno aloe et fornito di scacchi molto superbi, et una spada guernita, et quattro[102] armature da huomo a cavallo. Fu dato sopra tali presenti molta signification.
Il sig. Maomet appresentò al detto ambasciatore aspri 30,000, panni d'oro et altre cose stimate valere aspri 50 in 60 mille, et non permise che alcuno gli parlasse. E questo fu appunto in quel giorno che domino Nicolo da Canal, capitano generale della Signoria, prese Lemno.
E dispacciato dalla Porta detto ambasciatore fu accompagnato fino in Russia. Dopo accade che in ispazio di tempo si ribellò un fiol di Hasan con tre grandi baroni di suo padre. Questi baroni lo avevano rilevato nei paesi di Zagatai, fortificandosi adunava di quelle zenti che fu di suo padre Hasan. Il ditto Ussun Cassan quelli perseguitava et absediava, et tandem li prese et tagliò il capo a detti quattro, et a questo modo venne a restare assolutamente signore del paese; et per la comune fama et opinione di tutti questo Ussun Cassan non ha più contrasto di alcun vicino, e resta in li suoi confini un altro signore di Zagatai, piccolo signore, tamen suo amico.
Et questo con brevità ho notato mi Zorzi de Fiandra scorrendo fino al dì odierno 1470.
Cronaca Sanudo, mss. nell'archivio Cicogna.
Questo Zorzi di Fiandra si manifesta se non veneziano, certamente al servizio della repubblica, e la sua scrittura trovasi inserita fra i documenti inediti della preziosa Cronaca di Marino Sanudo, che soltanto in parte fu pubblicata dal Muratori, Rerum italic. script., t. XXII. La detta relazione pare però che non fosse sconosciuta al Ramusio ed all'autore dei Commentarii del viaggio in Persia di Caterino Zeno.
1463, die 2 Decembris.
Quantum conferre possit rebus gerendis contra Turcum, quod magnus Caramanus ac Uxonus Cassanus bellum inferrant huic hosti: unusquisque satis intelligit quam propulsatus etiam ex partibus illis tenendum erit exterminium suum, multum facile secuturum esse.[103] Et vir nobilis Andreas Cornario valde praticus et aptus ad res istas, de ordine nostro praticam habuerit cum Caramano, et pro quanto habetur sperandum est negocium istud per manus suas votive perfici posse: propterea vadit pars:
Quod scribatur eidem Andreae: Nos esse contentos, quod personabiliter quanto celerius esse possit se conferrat ad magnum Caramanum cum nostris literis credentialibus quod sibi mittantur presentandæ dominationi suae. Apud quam commemorando insolentiarum et maxima dominandi libidinem turci communis hostis sui et nostri, quotque provincias et regna subegit destructis et caesis regibus et principibus suis. Et quod sicut videt totum orbem nititur deglutine omnem operam dare debeat per illos omnes utiliores et meliores modos: quos noverit expedire inducendi eum ad gerendum bellum, ex illa parte contra hostem ipsum, contra quem etiam in partibus Greciæ et Europae, et nos et alii domini et potentatus facimus et facturi sumus, quodquod a nobis fieri possit ad deprimendam superbiam tanti hostis.
Utque, Ex.ª, ipsius Caramani intelligat bonam mentem nostram in honorem et commoda sua sumus bene contenti mittere sibi libere et nostris impensis galeas sex ex nostris armatas et bene in puncto, ad agendum bellum a parte maris, terris et locis, præfati hostis, per id spacium temporis quod exigentia et tempus patient et quod, quidquid acquiret, sit Ex.ae illius domini.
Sumus quoque contenti velut affecti ill. dominationi suae, non devenire ad ullam concordiam seu pacem cum Turco nisi in ea interveniat et includatur una nobiscum ipse dom. Caramanus. Cum hoc etiam, quod sicut honestum est Ex.ª sua, ergo nos servare et facere debeat istud idem.
Et demum comittatur eidem Andreæ quod pro obtinenda hac intentione nostra, omne studium et diligentiam adhibere debeat. Nihilque prætermittere ut effectus iste sequatur, dareque continuam notitiam per literas suas nostro dominio ac capitaneo nostro generali de omnibus, quae sequentur.
Mittantur quoque literæ nostrae credentiales ad ipsum Andream directive Uxoni Cassano et Turcomano, sub quibus idem Andreas seu vir nobilis Lazarus Quirino, casu quo non posset accedere, se conferre debeat ad Uxonum Cassanum, vel ad ipsum Turcumanum, ad operandum similiter modis omnibus et inducendum eos ad inferrendum bellum turco.
Verum ex nunc captum sit. Quod idem Andreas aut alius vel alii[104] pro eo non possint facere nec fieri facere per se vel alios mercationum alluminum aut aliarum, sub pœna ducatorum mille, exigenda per advocatores communis.
Voti de parte | 110. |
de non | 16. |
non sinceri | 3. |
Nota quod super materia suprascripta facta fuit commisio, viro nobili ser Marco Cornario militi.
Confrontato nell'Archivio generale dei Frari, Secreta XXI, p. 209.
Die 15 Februarii (1463 m. v.) 1464.
Quia vehementer pro commoditate rerum nostrarum, Dominatio nostra superioribus mensibus confederationem et intelligentiam conclusit cum illustr.mo Domino Caramano, medio nobilis viri Andreae Cornario, qui dominus vita functus est. Sitque optimum factu, eam cum filio suo, qui ei successit, juvene et animoso redintegrare.
Vadit pars quod per collegium mitti debeat unus nuntius ad ipsum dominum Caramanum, cum una pecia panni aurei valoris ducatorum ce. ipsi ill.mo domino pro mare partium ipsarum danda. Item cum aliis rebus valoris aliorum ducatorum CC. donandis primis portae suae sicuti collegio videbitur. Qui nuntius nostro nomine de obitu principis suis doleat, deque successione Exª sua congratuletur, curetque secum omnia capitula confederationis ipsius, ipso domino presente cum ill.mo patre suo conclusa, sua cum Exª redintegrare et confirmare, sicuti particularius ei per collegium in mandatis dabitur. Et replicentur litterae ad illustrissimum Ussonum Cassanum Ex. suae superioribus mensibus scriptae. Deque his omnibus detur notitia suprascripto ser Andreæ Cornario et ser Lazaro Quirino, qui rem ipsam praticare et iuvare poterunt, sicut autem fecerunt.
Secreta XXII, p. 67.
1464, 26 Septembris.
Quod orator domini Ussoni Cassani, qui ad presentiam nostrani fuit, q. primum expedire debeat, ut cum galeis Baruti ad partes Syriae se transferat et inde ad Dominum suum reverti, emique et donari debeant oratori predicto brachia velati cremisini XII et brachia VI scarlati pro duabus vestibus, et duc. C. auri uni eius filio detur pannus scarlatus pro una veste, et famulo pannus viridus et duc. IV, filio famulo autem duo. Fiuntque eis expense usque quo in terram Syriam descenderunt, quas solvat dominium. Et fieri eidem demonstratio. Emanturque et dentur dicto oratori brachia XX, panni aurei pulcherrimi, quæ nostro nomine in signum amoris nostri debeat presentare.
Qui denari accipiantur de deposito et de omni alia ratione unde... citius poterunt.
Domino vero Uxono Cassano scribatur in hac forma et oretenus etiam dicatur eidem oratori legantur q. ejusmodi litere de verbo ad verbum.
« Nui havemo ricevuto le sapientissime et benevole lettere della Ill. S. V., et inteso etiam quanto a bocca saviamente ha riferito Mametanazab vostro secretario et ambassadore, de la optima disposizione e mente della E. V. di far insieme con nui contra l'Othoman commun et accerimo inimico; et molto ne ha piaciuto intender questa opinion e mente della vostra Cels., la qual è de signor sapientissimo e magnanimo: perchè l'Othoman per la sua superbia et ambizione non studia nè desidera altro con tutti i so pensieri che devorar e oprimer tutti li signori del mondo et specialmente li suoi vicini. Et quanto poi al dicto Othoman va disfacendo ora questo ora quest'altro, tanto più insaciabilmente desidera, e se sforza destruger ognuno et accrescer la potentia et tirannia sua. Pertanto se convien alla Exc. V. Signoria animosa e sapientissima, in questo tempo che nui ed altri principi christiani se retrovamo contro de lui in guerra, dal canto vostro con tutta vostra potentia prestissimamente movervi, e venir a sua disfazione e rovina per propria vostra salute e de tutti altri, perchè remanendo questo Othoman nelle sue forze e signoria nè la Vostra Exc. nè alcun altro signor se pol reputar signor nel stato[106] suo. El novo Pontefice capo e principe dei christiani fa ed è per far ogni di più a rovina del detto Othoman.
Questo medesimo fa lo ill. ducha de Borgogna et molti altri principi e signori christiani. Noi come semo certissimi già havete inteso, havemo potentissima armata in mar et esercito terrestre in la Morea et Albania. El ser. re de Ongaria da canto suo li fa acerbissima guerra. Nè è possibile che il detto Othoman possi per modo alcun farvi alcun ostacolo e resistenza. E però quanto più presto la E. V. se moverà, tanto più presto e facilmente ottenirà tutto lo stato suo in quelle parti, come quella sapientissima semo certissimi che ottimamente intenda. Et fin da mo[172] semo ben contenti che tutto quello che aquisterà la V. E. liberamente sia suo. Ne avemo più particolarmente parlado con el sopradetto ambassador vostro, el qual etiam de tutte cose occorrenti e dei progressi dei cristiani contro dito nemico ordinatamente informato, tutto seriamente riferirà alla E. V., le qual cosse abbia la V. Cels. per fermissime e verissime, alla qual in ogni sia comodità ed exaltation se offerimo.
Et de adventu præfati oratoris ad presentiam nostram detur notitia viro Nobili Marco Cornario militi, et mittantur ei copiae literarum præfati domini Uxoni Cassani ad nos, et literarum nostrarum ad præfatum dominum, ut opportune providere circa hanc materiam possit.
Adviseturque de optimo tractamento per nos eidem oratori facto.
de parte | 84. |
de non | 0. |
non sinceri | 0. |
Secreta XXII, p. 39.
(1465, m. v.) 1466 27 Febbrajo.
Illustri Domino Hasanbei vid. Ussun Cassano.
Accipimus literas Ex. V. quas nobis redidit Cassanus Azanus lator præsentium, ex quibus intelleximus quæcumque Ex. V. ad nos scripsit de optima dispositione et promptitudine sua faciendi et magnanime[107] belligerandi contra insolentissimum Mahometem regem turcorum, inimicum communem, et universi fere orbis acerrimum hostem, nec non q. ferventer et efficaciter nos exortatur ut non modo faciamus potenter et hostem nostrum aggrediamur validissimis viribus, sed etiam excitemus ceteros principes christianos ad hoc bellum necessarissimum, quo pestis hæc et pernicies omnium in pace vivere cupientium perdatur et debellatur!
Commemorando singularem benevolentiam et sinceram amicitiam, qua nobis efficitur Ex. V. quamobrem respondentes agimus Ill. Dominationi vestrae ingentes gratias pro hujusmodi suo perhumano et prudentissimo scribendi officio. Quo nihil nobis gratius fieri potuisset, et certe nunquam explicare et verbis consequi possemus quantopere amemus et charam habeamus benevolentiam et amicitiam vestram: atque quam maxime nobis cordi sit audire et intelligere ista, quae ad nos scripsistis vehementer pertinentia ad utriusque nostram salutem. Verum ut Ex. V. cognoscat nos quoque promptissimos et paratissimos esse faciendi omnia adversum communem hunc hostem, nihilque intentatum omittere quo omnino debelletur. Qui non contentus finibus suis universum fere orbem terrarum subjicere sibi conatur.
Scitote jam nos habere potentissimam classem in mari, quam ad paucissimas dies potentiorem et validiorem reddemus supra XL triremium navium complurimum. Item in Amoream mittimus copias nostras armigeras, ut firmum exercitum opponamus hosti. In Albaniam quo equites et pedites ultra illos quos habemus in magno numero transmittimus. Habemus praeterea oratorem nostrum apud regem Hungariae qui continue horatur et instat Maj. Suam, ad magnanime persequendum bellum, qui jam est in armis potenter. Summusque Pontifex pater et caput omnium christianorum nobiscum sentit, qui nihil aliud molitur, nihil aliud parat, quam contundere rabiem hostis hujus nostri et excitare christianas vires in eum.
Restat tantum ut Ill. D. V. persequatur magnanime bellum ut cœpit, et potenter irruat adversus loca et provincias hostis atque undique eum exagitet. Nunc quoque est tempus optatum. Nunc offert se occasio ut omnes liberemur continua molestia et solecitudine confracto et penitus confecto immanissimo isto dracone. Et ita nos hinc faciemus nec rei ulli parcemus quantum in nobis erit. Gratissimum autem nobis erit ut V. E. nobis sœpius scribat, et certiores faciat de progressibus vestris, et mittat litteras ad consulem nostrum Aleppi qui celeriter eas mittet. Et ita nos per illam viam faciemus ut alter alterius[108] res intelligat. Rogantes ad extremum ut V. E. cohortari placeat Ill. Dominum Caramanum ad faciendum magnanime et bellum constanter perseverandum, quam non deerunt sibi omnes nostri favores possibiles.
Scribantur similes, mutatis mutandis, ill. Theodorae domini imperatori Trapezundae filiae magni conjugi præfati Hassanbei, in responsionem litterarum suarum, cum gratiarum actione munusculi dominio nostro missi.
De parte | 96. |
De non | 0. |
Non sinceri | 2. |
Secreta XXII, pag. 132.
1ª Commissione a Caterino Zeno, delegato oratore veneto in Persia.
(1471, 18 Maji)
Quod orator illustrissimi domini Ussoni Cassani expediatur, et cum eo insimul vadat nobilis vir Catarinus Geno orator noster designatus ad ipsum dominum, et vadat cum infrascripta commissione.
Nos Christophorus Maurus Dei grazia dux Venetiarum, etc. Comittimus tibi dilecto civi nostro Catarino Geno designato oratore nostro ad illustrissimum dominum Ussonum Cassanum, ut insimul cum oratore ipsius domini eos ad presentiam ejus, dirigendo et tenendo iter tuum pro majore celeritate et securitate, sicuti deliberabitur et imponetur tibi per collegium nostrum.
Constitutus ad presentiam prefati domini et presentatis literis nostris credentialibus, facies salutationes hortationes et oblationes convenientes et honorificas prout iudicaveris convenire honori et dignitati illius domini, et nostri dominj, utendo omnibus illis amabilibus et honorabilibus, et omni significatione benevolentiae plenis verbis que intelliges prefato domino, et moribus, ac nature gentis grata esse. In primis autem gratulaberis cum excellentia sua de omni prosperitate, felicitate et propagatione persone et imperij sui, que, quanto prosperiora et feliciora splendidioraque sunt, tanto majorem voluptatem capimus, ut decet veros et bonos amicos ac[109] studiosos illustrissimae domui suae, amplificando et ornando partem istam sicut noveris convenire — Subsequenter expones celsitudini suae quod cum venisset ad nos orator suus una cum nobile cive et oratore nostro Lazaro Quirino excepimus et vidimus eum libentissime, audivimusque summa cum jucunditate quaecumque nobis retulit, nomine illustrissimae dominationis suae, ultra literas suas nobis scriptas, quas legimus attentissimo animo. Et omnia fuerunt nobis gratissima, tum propter nostram in excellentiam suam affectionem et benevolentiam, tum etiam quia cognovimus dispositionem et propositum suum sapientissimum faciendi magnanime contra istum Ottomanum comunem hostem immanissimum, et fidei violatorem atque fractorem, ob rationes et causas precedentissime memoratas et per dictum oratorem suum, et per literas excellentiae suae, quum provocata et lacessita illustrissima dominatione sua partim perfidia, partim immoderata libidine dominandi universo orbi ottomani ipsius vendicare se disponat. Quibus quidem causis, nos etiam quamvis nostris finibus semper contenti viximus, precedentibus multis injuriis et occupatone cujusdam loci nostri in Amorea, inducti et coacti sumus capere arma et terra et mari resistere insatiali appetitui suo perdendi omnes. Qui non est dubium ad alium non vigilat, quod, superatis nobis, posse expeditius et liberius sequi cogitationes et designa sua in provinciis asiaticis, in primis contra illustrissimam dominationem suam et alios dominios asiaticos, cum ipse fedifragus nemini fidem servet, aut juramentum teneat. Quin imo, spreta omni fide, violatoque juramento, multos dominios perdidit, et poenibus delevit. Sed speramus, auctore Deo optimo maximo, cui displicent talia, ac procedente excellentia vestra magnanimiter et potenter sicut decrevit, et pro amplitudine imperii et magnitudine virium suum merito potest, cogitationes et designia ipsius Ottomani frustrabuntur, nec succedent sibi ut putat. Nam et nos, pro viribus nostris maritimis et terrestribus quas auximus, et quotidie magis augemus, provocati et lacessiti tot et tantis iniuriis, faciemus simul et semel omnem conatum nostrum. Et hoc modo coactus, continebit ac retrahet se induceturque potius timendi sibi, et dubitandi de exterminio suo, quam inquietandi et infestandi alios et universum orbem sibi promittendi; cohortando et inanimando excellentiam prefati domini ad hoc, ac omni efficatia verborum declarando sibi optimam nostram dispositionem et promptitudinem ad hanc rem, et impresiam aggrediendam et conficiendam insimul, et animis conspirantibus invicem. Et pro majore reputatione rerum nostrarum,[110] ac pro accendendo magis excellentiam suam, commemorabis et foedus et ligam nostram cum serenissimo domino rege Ferdinando Sicilie, etc., pro defensione statuum nostrorum contra dictum Ottomanum, tangendo etiam ad propositum tuum, quod non deficient etiam nobis favores summis patris nostri et aliorum potentatum Italiae, et hoc pro sicuritate sua, cum omnibus minitetur draco iste et insatiabilis serpens fidei fractor et dominorum eversor.
Dictis et expositis rebus predictis, subiungere te volumus, quod fieri potest pervenisse ad noticiam excellentiae suae nos misisse oratores nostros prefatum ottomanum. Et ut omnia inotescant illustrissimae dominationi suae eidem notificamus, quod ante adventus oratoris sui ad nos, jam expediveramus et miseramus ipsos oratores nostros ad predictum Ottomanum, suasi et exhortati ad pacem per personas medias. Quia nescimus quem finem habitura sit et quando tamen dicta pax sequeretur, non restabimus nihilominus esse ille boni amici et studiosi omnis exaltationis et felicitatis excellentiae suae, sicut semper fuimus et sumus, nec fidem unquam capiemus de eo sicuti eccellentia sua sapientissime nobis dici fecit, excusabitisque nos, quia si prius venisset orator suus et magnanima voluntas sua nobis innotuisset, suprasedendum curassemus in mittendis dictis nostris oratoribus.
Ad propositum tuum ubi melius tibi occurret dices prefato domino, quod si distulimus expedire oratorem suum factum est ex multis nostris occupationibus in preparando classem nostram numerosiorem et majorem solito, et in mittendo trans mare copias nostras armigeras et alia multa necessaria sicut fieri solet.
Volumus preterea, ut sub literis nostris credentialibus visitare debeas nomine nostro illustrissimam dominam consortem praefati domini, utendo verbis onorificis et convenientibus, ac commemorandi antiquam et bonam amicitiam quam semper habuimus cum serenissimo imperatore olim genitore suo, offerendo nos etc., ac inanimando excellentiam suam, ex substantia hujus nostre commissionis, ad exortandum illustrissimum dominum consortem suum ad istam impresiam contra turcum sicut semper fecit, et per literas suas alias de his nobis scripsit.
Posteaquam autem exposueris hec nostra mandata, et steteris apud prefatum illustrissimum dominum per aliquod dies sicut tibi melius videbitur, ac desumpta tota illa informatione et minutiore quam habere et intelligere poteris de potentia prefati domini, etate, valitudine, habilitate, statu, situ, redditibus, exercitibus, confinibus, vicinis,[111] ac demum de dispositione et voluntate ipsius domini ad istam impresiam, et quibuscumque aliis rebus, que merito nostra cognitione digne et alicujus momenti et extimationis judicaveris, ita ut reditu tuo possimus capere certitudinem de rei veritate, et labor ac impensa istius tuae legationis non videatur omnino inutilis, sed potius per tempora futura fieri possit constructus aliquis de rebus istius domini, nostra intentio est ut accepta bona et grata licentia a prefato domino, revertaris ad prasentiam nostram bene et comulatissime instructus, aut per illam celeriorem et securiorem viam que tibi videbitur, aut si haberes modum veniendi usquam ad marittima loca cum exercitibus prefati domini quos mittere contra loca Turci, que via judicio aliquorum et telior et tutior foret, in hoc casu te gubernabis cum omni diligentia et studio.
Et ex nunc captum sit, quod praefactis domino et consorti suae fieri debeant et miti per ipsum nostrum oratorem duo exenia de panno aurato prout videbitur collegio, et oratur ipsius domini hic existens vestiatur de veluto.
De parte | 74 |
De non | 2 |
Non sincere | 4 |
Ser Aloysius Donato sapiens ordinum, vult quod differatur expeditio dicti oratoris donec habeatur ab oratoribus qui sunt ad Turcum litere de successu rerum.
De parte | 61 |
Secreta XXV. Ediz. Cornet. Le guerre dei Veneti nell'Asia. Vienna, 1856.
2ª Commissione a Caterino Zeno.
(1471, die 10 Septembris)
Quod viro nobili Catarino Geno oratori ad illustrissimum dominum Ussonum Cassanum fiat commissio in hac forma.
Christophorus Mauro dei gratia dux venetiarum, etc.
Committimus tibi nobili viro Catarino Geno dilecto civi et fideli[112] nostro, ut cum passaggio quod tibi deputavimus in Cyprum te conferas una cum oratore illustrissimi Domini Ussoni Cassani et inde per ditionem Caramani accedas ad presentiam supra scripti domini Ussoni, orator noster. Cui presentatis literis nostris credentialibus factisque pro more salutationibus et oblationibus sub illa quam ampliori et accomodatiori verborum forma que tibi visa sit, congratulare ample et copiose de omnibus victoriis et prosperitatibus suis et de acquisitione amplissimorum regnorum suorum; postea expones, redijsse ad nos superioribus mensibus virum nobilem Lazarum Quirinum quem ad excellentiam suam miseramus nostrum oratorem, et secum venisse etiam oratorem suum, tecum presentialiter regredientem, quem intuitu celsitudine sue alacriter vidimus et suscepimus. Et per utrumque eorum intelleximus optimam illius illustrissimi domini erga nos benevolentiam et animum atque intentione valide faciendi contra comunem inimicum ottomanum, cuius insaciabilis dominandi appetitus notissimus est non solum dominantibus in Europa sed etiam in Asia, ubi omnes quos potuit dominus, oppressit et extinxit nemini servata fide, et nulla usus humanitate vel respectu, modo aliena rapere et occupare potuerit indifferenter et sino ullo penitus discrimine. Et pro benevola in nos affectione celsitudini sue gratias agas amplas et uberes, affirmeque quod pari nos ipsam excellentiam suam benevolentiam et caritate prosequimur. Dispositionem autem et magnanimam illius voluntatem contra comunem hostem lauda et extolle cum verbis pertinentibus; subiunge tamen quod si distulimus expedire predictum oratorem suum, et te etiam mittere ad presentiam excellentiae suae, in causa fuere multe maximeque occupationes nostre, et multi motus qui inter christianos excitati sunt pro insurgendo unite et valide contra supra dictum ottomanum, et hoc loco explica et narra conventum Ratisbone habitum per imperatoriam Majestatem, et reliquos principes germanos, et deliberationem agendi et educandi potenter exercitum, et dispositionem serenissimorum dominorum regum Polonie et Hungarie, confederationem preterea totius Italie pro illius quiete et unite insurgere possit, et nostram cum regia celsitudine ligam et intelligentiam per quam habemus potentem in mari classem, et habituri proximo anno sumus galearum ultra centum et magni numerum navium, electionem novi pontificis ad expeditionem generalem christianorum, et ad totalem ex Europa expultionem predicti inimici. Que cum ita disposita sint hortaberis excellentiam suam nostro nomine, ut hac occasione uti velit, et cum suis viribus ex parte Asiae veniat potentissimus[113] sives mittat in oppressionem predicti inimici qui utriusque oppressus et distractus, utriquam partium resistere non poterit, sed ab utroque facile superabitur et in hanc partem te diffunde. Hortare insta et sollicita ut se movat et descendat sive mittat in oppressionem predicti hostis, quum hic est totius tue commissionis effectus et fructus qui ex tua profectione sperari potest.
Et illic differ, et ad nos scribes et omnia declara que fueris operatus et que futura illic sperari debeat, et expecta mandatum.
Praticam pacis quam cum ipso turco habuimus justifica et declara quod invitati ab eo et requisiti de pace, misimus oratores nostros, sed cognita illius insatiabili et perfidiora ambitione omnia rapiendi et dominandi ubique terrarum, aspirantis et citra et ultra mare ad imperium omnium gentium et omnium nationum, et cognita dispositione dominorom quos supra memoravimus ad conculcandam tantam rabiamet seviciem, et se liberandum ab ista peste, cum eis potius in comunem salutem concurrere voluimus, quam secum ad pacem devenire, et oratorem nostrum pace infecta, revocavimus. Sicque persuadere nitaris, ut excellentia sua in suo quod nobis per ejus oratorem et literas propositum declaravit perseveret, et cum reliquis dominis hosti suo infensis a latere suo concurrat in illius extintionem, et opulentissimis regnis suis inferiorem Asiam adiungat, et universum dominatum hostis sibi gloriose vindicet. Que res, preterquam quod excellentissima per se sit erit, etiam firmamento et stabilimento universi imperii sui, depulsa comuni lue et omni remoto offendiculo ad totius orientis imperium.
Scripsit ad nos summus pontifex, deliberasse mittere nuntium quempiam suum, et nos beatitudini suae respondimus et suasimus talem missionem; si ita fuerit, tu eris cum predicto pontificio nuntio et secum omnia procura et solicita.
Et ex nunc captum sit, quod pro expeditione dicti oratores, accipi debeant ducatos 2000 auri de omni loco et officio, sive mutuo cum obbligatione necessaria quorum 500 auri sint pro illius provisione et reliqui pro impensis.
Et supra donis faciendis atque vestiendis et honorandis oratoribus prefati domini, collegium habeat libertatem providendi sicut ei visum fuerit et accipiantur pecuniae ad id necessariae ab officio rationem veterum.
Cum fueris in ditionem Caramani illum visita nostro nomine, sub literis nostris credentialibus, et suade atque orteris ad faciendum[114] contra Turcum, et pete ut ad tuum securum transitum prestare tibi placeat omnes favores et omnem possibilem commoditatem.
Preterea sel tempo et camin te servirà, visiterai el serenissimo re de Zorzania, sotto nostre lettere de credentia, quale te havemo fato dar e dapoi le convenienti et debite salutation per parte nostra facte, lo exhorterai et inflamerai con quelle parole convenienti et idonee che a la prudentia tua aparerà a questa impreza.
De parte | 69 |
Ser Jacob Lauredanus procurator, ser sapientes consilii, ser Franciscus Michael sapiens ordinum, volunt commissionem per totum, sed loco verborum positorum inter duo in primo capitulo, volunt verba infrascripta: verum transacto yeme, si prefactus dominus se preparet pro veniendo aut mittendo exercitum contra Turcum, tu illic differ et sollicita expedictionem et scribe atque expecta mandatum; si vero postquam ver adveneris videres prefactum dominum non se movere, aut aliter rem dispositam quam suaserit, tu accepta bona licentia redeas ad presentiam nostram.
De parte | 49 |
De non | 11 |
Non sincere | 4 |
Secreta XXV. Cornet, Op. cit.
Magnarum Provinciarum caput, et Dominorum Provinciarum Princeps, ac etiam omnium illustrium dominationum. Domino magno.... augeat felicitatem tue Serenitati certum et manifestum est nec potest aliquis tantam magnitudinem tuam exaltare, seu extollere, quantum decet et tibi conveniens est.
Sumus nos tibi amicitia et dilectione conjuncti nunc et propter ut prius et antea eramus, nec aliquid in corde nostro fictum aut simulatum cogitamus.
Et dignum est..... Oratores el nuntii tui apud nos continue esse debeant et de occurrentibus nos teneant certiores. Vos autem, si de[115] nobis..... cupistis, adepti sumus Dei gratia, ea que numquam animo cogitavimus, nec aliquo modo speravimus, nisi Provinciam Babiloniae, Amasiae, Adicabageis et omnia quae continentur in eis, et fecimus nobis ea subjecta, et possidemus usque ad partes Romaniae seu Greciae, et non violentia et viribus, sed benignitate et equitate, et omnes perfidos inimicos confundimus, laus et gloria altissimo Deo.
Erat unus solum qui nobis aliquantulum adversabatur, hic etiam sponte humiliatus ad nos venit, et largiti sumus ei dominium de Corassan, laudetur Deus, incessanter. Sultan Cassan Baicona est nomen istius domini Corassan. Restat nunc alius secundus Sultan Greciae sive Romaniae, qui inimicum facundus et magnus, presentim super Caramanos, quibus veteri et antiqua amicitia conjuncti sumus. Ipsi Caramani venerunt ad nos supplices usque ad provinciam Azimie, quibus visis, subito venimus in Tauris, inspeximus super negotia eorum, et cognovimus quod ipsi proprii malorum suorum causa fuere. De principio nostre lune Rabemel sive Juli 1472 ad partes eis propinquiores iter faciemus. Multa et alia in presenti dicere sumiturus, que hic medicine Doctor noster ad te in sermone prudens mittimus, magnus medicus Isaac fidelis in quem magnam fidem habemus oretenus tibi omnia de mandato nostro sufficienter narrabit, et quecumque pacta intrinseca et secreta cum eo tractabitis et ipsa suum habebimus rata grata et firma, tamquam si ad componenda ea presentes essemus.
Datum in principio lunae Rabemel sive Julii, anno Maumethi 877 secundum cursum nostrum.
A tergo.
Magnarum Provinciarum domino, et principi civitatum venetorum testo Deo augeatur felicitas vestra, magnitudo vestra, excellentia vestra, q. nota est omnibus cum sit propter famam, et hoc dico bono corde propter amicitiam quam habemus et sumus nos firmati in aliquo fundamento vobiscum veteri et antiquo, et dignissimum est quod litera tua oratores et nuntii apud nos continue esse debeant ut de occurentia continue avisemur.
Copia de una lettera scripta da Uzunhasan al Doxe nostro nell'anno 1472.
Marino Sanudo, Cronaca ms. nell'Archivio Cicogna.
Commissione a Giosafat Barbaro, ambasciatore veneto in Persia.
1473 (1472 m. v.) 28 Januarii.
Quod ser Josaphat Barbaro oratori designato ad ill.mum dominum Ussonum Cassanum fiat haec commissio.
Nicolaus Tronus Dei gratia Dux Venetiarum, ect. Commitimus libi nobili viro Josaphat Barbaro dilecto civi et fideli nostro, ut vadas orator noster ad ill.mum et potentissimum dominum Ussanum Cassanum, et cum duobus galeis que subito expedite erunt, insieme cum li ambassadori del summo pontefice e della maestà del Re e cum Azimaemeth ambassador di esso ill.mum Signor, tu te parti et recta et solicita navigatione te conferissi in Cipri, per lo principal luogo dove habiate a smontar, per intender cum verità i progressi del predicto Signor, e dove la persona et esercito suo se trova, per pigliar più certo partito al seguro transito vostro per esser alla prexentia soa.
In questa andata toa, ritrovandote cum el capitan nostro zeneral da mar et proveditori conferirai cum loro, e daragli notitia de la cauxa de questa ambassada et forma de questi nostri comandamenti, et de le munition et altre cosse deliberate mandar per nui a quel Signor come tu sai esser nostra volontà con effecto. Non te trovando con el predecto capitan, lassa al nostro rezimento de Modon la copia de questa commission sigillata, perchè al ritorno li del capitan la ghe sia presentata per soa perfecta intelligentia.
Zonto in Cipri, visiterai per nostro nome et soto nostre lettere de credenza quel serenissimo signor re, et farai le consuete e benevoli salutation et ample offerte come si convien a lo amor et mutua nostra convention cussi antiqua cum suo ill.mi progenitori, come molto più strecta et valida per la nova parentela et affinità contracta con la Signoria nostra. Visiterai etiam et honorerai la serenissima regina, con lettere de credenza et con ogni significazione de nostra dilection verso de quella per accresser tanto la soa reputation appresso tutti quando da tutti sia intexo l'amor et extimation nostra de quella et del suo felice zonzer in Cipro, et alégrate cum el re et cum lei. Da poi queste bone et zeneral parole darai al predetto re avixo de la causa de la andata toa e de li altri ambassadori pontificio et regio[117] al signor Usson Cassan, per visitarlo honorarlo confermarlo in suo proposito et già tolta l'imprexa contra l'Ottoman et inflamarlo a seguir sino in ultimo exitio del soprascripto comun nimicho; et anche li significherai che la deliberation nostra de potentissima armata futura molto più per tempo dell'uxato, et cussi nostra come de la maestà del re, et non se dubita che el summo pontefice farà anche lui pro viribus ampliando questa parte d'armata, modesta però et gravemente sicchè l'appari più verità che ostentation. Dichiarali anche el mandar che nui femo de bombarde grosse e mezane, spingarde, schiopeti, polvere et altra munition et artiglieria, bombardieri, schiopettieri et inzegnieri per satisfar a le requisitioni del prefato signor, et ajutar a favorir l'imprexa soa. Da poi queste notification, perchè optimamente te servirà el proposito, conforta e rechiedi efficaze et instantemente la predicta maestà, che lui armi et expedischi le sue galie quante più lui pò, azochè unite con le altre de' cristiani e separatamente come meglio e più utile dell'imprexa fosse indicato, possino esser preste in favor de cussi utile comune e salutifera a tuti expeditione, facendoli intender questo esser el tempo et unicha occaxion de soa liberation et perpetua tranquillità, extinguendosi l'incendio che non solamente a tuto levante, ma tuti cristiani manazava ultima consumptione, e da li amici vicini non si pò sperar se non raxonevolmente ogni comodità et bene, mancandoli specialmente el modo e la occaxion dell'offender tale quale ha questo rabioxo et potentissimo serpente: et in questa per inanimar et indur la predecta maestà ad ogni provision et sussidio da esser prestato in opposito de lo inimicho et in favor del sopra scripto ill.mo sig. Usson et soi adherenti, fane ogni efficace istantia.
Capitato a Rhodi visiterai el gran maestro sotto nostre lettere de credenza; et post generalia, dali avixo de la caxon de l'andata toa, de li altri ambasadori ut supra, et de tutti li preparativi predicti, suadi et indù (muovi) soa reverendissima signoria a lo armar le galie quatro, che lui è obligato per vigor de la liga cum la maestà regia et cum nui, et mandarle al capitan nostro, et al prestar ogni subsidio et favor a l'imprexa del sopra scritto excellentissimo signor, per comun bene de tuti cristiani e de la soa reverendissima signoria e soa religion che sono più che molti altri vicini al pericolo; e bixognando al predecto signor alguna sovention de bombarde e munition oltre quelle mandemo nui, li piaqui suvenirlo perchè si come nui li avemo per più lettere scritto, tutto semo contenti restituirli.[118]
Nui non podemo indivinar dove se ritrova la persona et exercito del soprascritto illustrissimo signor, nè in che termini serano le cosse al zonzer tuo in Cipro, e però non podemo darte in comandamento che tu faci più una via che un'altra, nè pigli più uno partito che un altro per essere a la presentia soa, ma tolta quella information dei luoghi cammini e muodi de lo andar che necessario sia l'è de nostro desiderio et intention che quanto più presto sia possibile tu te si trovi à la presentia de soa celsitudine, e se per la condition de le vie e segurtà de lo andar potrai condur o tuti o parte dei prexenti che nui avemo deliberato mandar et tuttavia se preparano et serano subitamente dietro de ti in Cipro, molto ne sarà grato per più honorificentia de l'ambassata toa; quando ch'anno lassati quelli in la galia in Cipro non differir, nè inspazar per questo l'andata toa anzi più presto che tu poi vatene et zonto con l'ajuto di Dio dove sia la persona del soprascritto ill.mo signor conferissi subitamente con el nobil homo ser Chatarin Zen ambassador nostro, e da lui tuò ogni piena information e distinto avixo del numero de lo esercito e de la disposition del signor e de le cosse seguite fino quel hora che a te non fossero note et de ogni altra occorrentia et cossa pertinente la materia, azochè perfectamente informato più apertamente tu possi e proponer e risponder e parlar quanto sia expediente.
Serai a la presentia del prefato illustrissimo signor quando parerà à la soa sublimità de udire te, e porte le lettere nostre de credenza e i prexenti segondo l'uxansa loro, se quelli o parte come havemo dito di sopra tu haverai potuto condur cum ti, se non farai la scuxa necessaria e darai modesto avixo de la partita de quelli e del esser lassati per ti in Cipro o tuti o lo resto et condurase a la presentia soa quando per la condition de le vie se possino condur. Saluta da poi conforta et offerissi a la soa sublimità, cum ogni amplitudine e reverentia de parole, e si come a ti è ben noto esser de consuetudine de simel signori.
Subzonzi da poi esser stato a la presentia nostra i mexi passati Isach hebreo medicho et ambassador del prefacto illustrissimo signor, che vene per la via di Caffa e molto fo longo e tardo el venir suo per le difficoltà e impazi occorsoli in chammino si come lui expone, e per soa relation intendesemo la magnanima disposition volontà de la prefata celsitudine del moversi e venir contro l'Othoman comun et universal inimicho de tuti, per vindicar tante inzurie e spoglie facte injuste et inhumanamente a tanti signori.[119]
Questo stesso pochi dì dipoi ci confermò lo effecto de la cossa e la effectual mossa de esso excellentissimo signor, dechiaratane per lettere del nostro ambassador ser Chatarino Zen et per relation de agì Mohammed ambassador de sua sublimità, e pegli effecti et successi istessi, la qual mossa et imprexa come degna de sempiterna e immortal laude e gloria cussì era al tuto necessaria, et serà, Deo bene juvante, fructuoxa et felicissima, laudabile et glorioxa la fa la grandeza et excelenza de quella, necessaria le ambitiose crudel et insaciabel condition et appetiti de lo inimicho che in ogni occasion et comodità li fosse intravenuta non haria havuto più riguardo a la soa sublimità et a suoi figlioli de quello lui ha avuto a tanti signori quanti per forza parte e parte per ingano e perfidia ha privi de stati suoi e facto mal capitar, fructuoxa per lo acquisto de nuovo regno et imperio ampio et grande per se, firmamento e stabilimento de li altri già acquistati e posseduti regni a suoi figliuoli e nepoti in perpetuum, felicissima serà senza dubio per la justicia, bontà et comulata virtù del prefato illustrissimo signor, el qual Dio ha electo et deputato repressor de tanta tirrannide et vendicator de tante injurie, spolie e crudeltà, et libertà de tanti afflicti signori populi e zente. Et già ha dimostrato Dio in questo principio del suo mover signo de futuro felice exito, imperocchè come per via intrinseca e famigliar de lo inimico semo facti certi tanto è lui e tutta soa zente impaurita et spaventata, che per ogni modo se reputano vinti e superati el prefato excellentissimo signor vincitor et dominator, che suol esser infallibel argumento e segno de quello de esser uno cussi universal presagio e quasi certo inditio de la mente de ognuno. Con queste e tutte altre parole e raxon persuaxorie et efficazi, laudata et exaltata la sua glorioxa imprexa et proposito, quanto più tu puoi, cerca de confermarlo et inflamarlo in essa, et così nel primo congresso et audentia come a la zornata in tuti li conferimenti e raxonari te occorrerà, dove accomodamente et in proposito tu possi farlo.
Dapoi suzonzi che per l'uno e l'altro ambassador de soa celsitudine, zoè per lo primo Isach medicho e poi per agi Mohammed nui semo stati richiesti per nome de soa celsitudine al far bona guerra dal canto nostro a lo inimicho, perchè così lui desponeva de far e faria dal suo, et a subvenir e favorir l'impresa soa de potente armata, de bombarde, bombardieri che quelli sappia far et exercitar, de spingarde e schiopetti et altre necessarie munition et artiglierie, le qual tute cosse con grandissima solecitudine havemo disposto et[120] preparato de far. Et comenzando da la guerra ricorda a soa sublimità, nui esse stati in quella anni X, et esser continuamente deliberati de proseguirla et sostenirla insieme con lui, fino in ultimo fine et exidio de lo inimicho, el qual come qui de soto diremo ha cum nui cerchato cum multa instantia et promesse la pace e nui per far come havemo dito et cercar insieme con la prefata celsitudine havemo refutata, e con tutte le forze nostre non solum maritime ma etiandio terrestre per tutto dove con lui nui confinemo lo offendemo e guerrizemo, e più che mai lo faremo confortando et inducendo tuti li suo vicini ad offenderlo e li subditi a sublevation et rebellion.
Da mar veramente credemo esser venuto a noticia del prefato illustrissimo signor in quanti luoghi questa estate passata l'armata de' nostri collegati et nostra habia infestato tuta la marina de la Natolia, saccomanato e brusato luoghi assai, aspectando lo approximar de la soa celsitudine per aiutarlo a lo acquisto dei luoghi de lo inimicho; l'inverno veramente essendo uxanza disarmar buona parte de l'armata per manco spexa e poi a tempo novo instaurarla; questo inverno sperando soa sublimità potesse esser più vicina a le marine per poter far quanto ne ha richiesto, havemo tenuto fuori la mazor parte de quella, e de novo armato e multiplicato il numero de le galie nostre, e tutavia armemo e mandemo fuori sì che molto più per tempo del uxato quella sarà suxo l'imprexa presta ad ogni favor de soa celsitudine dove sia più necessario. L'armata veramente del serenissimo signor re Ferando già semo avixati essere per la più parte in ordine sicchè in quello istesso tempo se conzonzerà con la nostra et similiter non dubitemo farà el sommo Pontefice, la optima mente e disposition de entrambi i qual intenderà la prefata celsitudine per ambassador de loro.
De le bombarde, maestri e spingarde e tutte altre munition dechiara al prefato excellentissimo signor el numero de tutte cosse e de li maestri e schiopetieri apti et experti per poter mostrar a de li suoi che se adaptano a simil exercitio, che prestamente se comprende et impara, et in pochissimi zorni tanti se ne farà experti et apti quanti vorrà soa signoria, bona parte de le qual cosse havemo voluto che vedi l'ambassador suo agì Mohammed cargar sopra la galia grossa, che per condur dicte munition tutavia se arma e subito serà driedo de vui in Cypro e con quella anche li prexenti, sicchè potrai affirmar al soprascripto signor tutto esser in levante a suo ordine et comando, e non esser da tardar la[121] venuta soa a le marine per occupar et redur in soa podestà i luogi de lo inimicho.
Per tute queste cosse zoè de guerra da terra et armata continua grossissima de munition preparate et mandate dechiara, nui non esser manchati da spexa et incredibil summa de danari, nè esser per manchar per el continuar l'imprexa a far tuto quello po le forze nostre in le cosse soprascripte per satisfaction compita de tuto quello che per l'uno e per l'altro de suoi ambassadori semo stati richiesti.
Isach medicho, primo ambassador suo, ritornato da Roma e andato per sua deliberation et per nostro conforto item al serenissimo re di Hungaria per iterum suaderlo et confortarlo a far animoxa et potentemente contra al comun inimicho, apresso el qual re nui etiam tenimo uno nostro secretario per tal effecto, et per instesso Isach li havemo scripto et commesso intorno a zò apertamente et cussi speremo dicto serenissimo signor re esser per fare, la gente del qual che sono in Belgrado in questi proximi zorni corseno in Servia e feceno grandissima preda et assaltate nel ritorno dal presidio del inimicho furono alle mani, et sono roti et tagliati a pezzi la major parte de li nemici, parte prexi e molto pochi fugiti, se reduseno i Ongari a Belgrado cum la preda e cura la victoria; sichè lo inimico è per haver da ogni canto e da ogni parte stimulo e molestia tale che impossibel al tutto li sarà poter resister a tanti. E descendendo el prefato excellentissimo signor cum tanta potentia, se po' reputar lo inimico doverli più presto occorrer et esserli certissima preda cha contrasto. De la qual suo ruina avedendosene lui come astuto et intelligente, ha cum nui ricercata la paxe, in do luoghi di nostri mandato suo ambassadori, l'uno a Corphu come ve è noto, l'altro a Scutari persone molto honorate e non ha havuto per inconveniente nè a smachamento de sua reputatione et cum ample et larghe offerte de optime et honorevol condition per nui. A l'uno e a l'altro di quei ambassadori havemo fatto dar licentia et in tuto recusata ogni sua practica, et molto più ogni conclusion per essere cum quello excellentissimo signor, cum lo qual semo colligati uniti e streti per la sua justizia, bontà et virtù per le condition de lo inimicho comun, et indifferente a lui et a nui et ad ognun a chi el possi nuocer per l'insaciabel suo appetito, per la condition de la guerra et aptitudine de farla, lui da uno canto per terra, nui principalmente da mar, che come l'uno da l'altro po' ricever a tal imprexa[122] grandissimo favor et aiuto, cussì se existima impossibile che lo inimico a tutti do'insieme possi resister, e non li sia necessario sucumber per ogni modo, et esser come havemo dito certissima preda et triumpho del prefacto illustrissimo signor.
Non ce ha parso adonque dar orrechie a sue proposte et offerte, perchè el non se perdi retardi o impazi la perfection de la voluntà de Dio, de la qual esso illustrissimo signor è veramente costituito executor et ademptitor. Questo volemo che tu dichiari a soa sublimità, perchè se forsi altramente fosse de dicta pratica divulgato, lui sapia el vero, e non presti fede a le arti ed astucie del inimicho, el qual non dubitemo ponto che cum el re d'Hungaria et cum altri christiani haverà tentato e tenterà de apaxarsi e componerse. Ma da tutti tenimo sarà repudiato come è stato da nui, e per lo exempio nostro e per esser ognuno erecto contra lui et aspettar la opportunità del vindicar le ricevute injurie e liberarse da la soa continua formidine. E benchè lui habia ricevuta da nui repulsa e così credemo riceverà da altri per le raxon predecte niente de mancho astuto e malitioxo ha forsi facto e farà divulgare l'oposito per favorir con bosìe el facto suo, come anco dal canto nostro lui fa divulgar essere in pactica de pace cum quel signor et esser in sua libertà haverla. La qual cossa nui non havemo mai creduta nè credemo per niente per la prudentia singulare et magnanimità de la celsitudine sua la qual non vorrà tuor a se stesso l'imperio, e desister da cussì gloriosa et certa victoria et triumpho, per lassar a discretion de lo inimicho tutta la sua posterità, e de tal inimicho crudelissimo et immanissimo che mai non ebbe nè servò fede, nè humanità ad alcuno, testimonii tanti signori cazati, lacerati e dissipati, el qual quanto più cresce et più se firma in la potentia et dominio suo tanto è più a tuti formidolosa e più pericolose le condition de ogni suo vicino. Questa parte nui volemo che tu esponi, dechiari et manizi cum ogni dexterità et efficatia, sì che la serva et a la manifestation de la verità per quanto nui havemo facto in la materia de la pace come el Turco, et in dissuader et abalienare l'animo de esso signor in tutto e per tutto da simil mention et fantaxie de paxe.
Tuta questa toa exposition et ambassata, ed ogni altra cossa occorrente fa e tracia insieme cum el nobel homo ser Catharin Zen nostro ambassador essendo lui apresso quello illustrissimo signor, sì ch'el pari per la vostra union una ambassata e non più, per l'honor de la nostra signoria e de le persone vostre, et per più utilità de la materia, quando lui fosse lontano fa et eseguisci tu solo.[123]
Cum li ambassadori pontificio et regio comunicherai et questi nostri comandamenti et per zornata ogni occorrente materia, sì che loro a ti, e tu a loro, e tuti insieme dagate a le facende christiane et comune, ogni favor caldo et reputation.
Zonti veramente in Cypro sel predecto illustrissimo signor fusse anchor tanto lontan da le marine, e le vie sì precluse et impedite, ch'el passar vostro fosse o impossibile o periculoso et però tardo, l'è de nostra intention, che per quelli miglior modi et mezzi che a ti sia possibile de ritrovar, et per el mezzo de la maestà del re de Cypro, e per ogni altra via, tu mandi al nobel homo Catharin Zen le lettere che nui li scrivemo le qual te havemo fato dar multiplicate perchè per più diversi messi tu le mandi azò che malcapitando alguno, le altre pervenghino a le sue mani, e tu anche per quelli istessi messi scrivili del tuo zonzer in Cypro insieme cum li altri ambassadori, e dali parlicular avvixo de tuti i preparamenti fati per nui e mandati e zonti cum ti in Cypro, e cussì fa che agì Mohammed scriva e replica anche lui ingrossando et ampliando ogni cossa per ben de la materia e perchè quel signor se induchi a presto descender et poter uxar le munition mandate et subsidii li sarà per dar l'armata Christiana. E se quando serai cum el capetanio nostro zeneral, lui havesse de mandar qualche uno per qualche altra via, et similiter in Rodi qualche uno altro, volemo ch'el si mandi, et che anche per ti se scrivi come è dito, e facci simel ad agì Mohammed, azò che per ogni modo el predicto illustrissimo signor habbia avixo del zonzer vostro e dei preparatorii facti et spedicti et zonti in Levante a suo ordine et disposition. Et parendoti mandarli qualche fidato messo o messi senza lettere oltra quelli mandasti cum lettere et cum qualche consegno de parole sì che ser Catharin cognoscesse esser veri tui nuntii e potesse darli fede per la notitia del consegno che satisfesse in luogo de lettere de credentia, volemo che tu li mandi. Et breviter fa ogni experientia e non lassar nè da quanto te havemo ricordato, nè che a ti paresse utile et possibile, cosa alguna o modo algun inexperto per far intender a quel signor el vostro esser in Cypro cum tute le cosse predicte, e l'armata esser prestissima come havemo dito. E perchè solamente questa noticia da esser data per le messi zudichemo utile et necessaria, ma etiandio la pubblica fama et dimostration de le cosse predicte perchè per quella venga anche a noticia de quel signor e de li amici soi Caraman et altri, volemo che non solamente ne avixate dicto signor Caraman et altri, ma cum le galie a vui deputate che sono do, volemo che vui ve redugè verso i luoghi e marina[124] del dicto Caraman possandolo far seguramente dandoli avixo del vostro esser lì perchè possando cum sua scorta e favori passate al signor Uzunhasan. E non possando per esser dal Ottoman occupati i luoghi da marina, facta ogni experientia et demostration, retornate in Cypro, spaxate messi et aspectate la occaxion, el modo, et intendando che possiate haver de le galie del serenissimo signor re de Cypri per el passazo vostro, quando poreti passar licentiate quelle do che ritornino a ritrovar el capitanio nostro zeneral, ma non possando haver de quelle del re, retenete le suedicte do, fino vi siano necessarie al detto passazo. Se veramente le vie fosseno expedite, smontati vui a terra et prexa la deliberation del cammino, licentiatile, che cum prestezza ritornino al capetanio nostro zeneral.
Passando vui per la dition del Caraman visiterai sua signoria, conforterai et offerirai sotto nostre lettere de credenza sul zeneral et consueto, et li dichiarerai quanto a ti apparà esser expediente e ben de le cosse; el che meglio potrai li presente intender che per nui dartelo in comandamento, et per servar l'uxanza et per più acharezarlo prexentali per nostro nome.
Occorendo ritrovarti dove sia la donna del prefato signor, fiola che fu del imperator de Trapesonda, visiteraila cum licentia del signor sotto nostre lettere de credenza, et usa quella forma de parole che a toa prudentia aparerà convenirse a la soa dignità et anche al proposito della materia, e ne la visitation presentati per nostro nome, et se più de una de le done sue fosse cum sua celsitudine, visita anche le altre che da lui siano amate et existimate, et prexentale.
Visiterai similiter cum nostre letere de credenza i figlioli de quello illustrissimo signor et a zaschadun de loro prexenta. Dapoi et la prima volta et visitation de assiduamente che tu te ritrovi cum loro et cum a zaschadun de loro suadili et inflamali a la prosecution de l'imprexa necessaria al suo proprio bene et exaltation cum le raxon dite de sopra al padre et cum le altre che te occorrerano, similiter farai sel te occorrerà el modo cum l'imperatrice de Trapesunda per vendetta del ingiuria, spolie et morte del padre, et per lo acquisto de lo imperio suo de Trapesunda.
Visiterai etiam Omarbei suo principal capitanio e quelli altri parerano a ti solo letere de credenza molte de le qual ti havemo fato dar senza soprascripto perchè de lì lo possi far et uxarle al bixogno et prexentalo.
Perchè come tu intendi el desiderio nostro è grandissimo de intender i progressi del sopradicto illustrissimo signor et ogni occorrentia[125] in quello exercito et in quelle parte sarai solecito et diligente in darne solicito et continuo avixo de ogni cossa che tu vedrai al dirai et intenderai cussì del numero de la zente come de i pensieri e desegni e de i cammini de lo exercito del sopradicto signor et brevemente de ogni cossa che raxonevolmente tu possi intender la noticia sua esserne grata; et non sparagnar nè spexa nè fatica, nè pericolo de messi, replicando per ogni via possibile sì che da ti habbiamo spesse lettere et avixi. Farai lo simile de Cypri fina serai lì.
Ben chel appari che in principio de questa nostra commissione ve comandemo che vui andagà in Cypro recta navigatione, intendete però questo proceder perchè nui existimemo quella esser più idonea scala al passar vostro al predicto illustrissimo signor che presuponemo non sia ancor disceso a le marine. Ma se altramente fosse, e quando sereti cum el capitanio nostro intendesti chel drizarvi altrove fosse più a proposito de la prescrita esecution de questi nostri comandamenti lassemo in arbitrio e disposition vostra far segondo el conseio e parer del capitanio nostro et vostra prudentia, et prender quel partito sia più idoneo et accomodato a la satisfaction del grande nostro desiderio che presto vi ritrovate a la presentia de quel illustrissimo signor.
Et ex nunc captum fuit quod dentur suprascripto oratori ducati 500 et dandi se Catarino pro illius impensis.
De parte | 157 |
De non | 0 |
Non sincere | 2 |
Secreta XXV. Cornet, op. cit.
Commissione segreta a Giosafat Barbaro.
(1473, Die 11 Februarij).
Ser Josaphat Barbaro oratori nostro
ituro ad illustrissimum dominum Uzunhasanum.
Ben che assai sufficientemente per la forma della toa aperta commission tu habi intexa l'intention nostra et desiderio che lo illustrissimo signor Uxon proseguisca la guerra, et recercando lo inimico[126] astuto et malitioxo la pace, quella refuti come cossa al stato suo per le raxon allegate pernitioxa, et anche qual via nel proseguir la guerra sia più in proposito de le cosse nostre, videlicet in la Natolia dominio et viscere de lo inimico, ampuò (tuttavia) per questi nostri secreti comandamenti ne ha parso parlar intorno a l'una e l'altra de le predecte do cosse più particolare e destinctamente; nè de questo qui te diremo, volemo che tu comunici cum li ambassadori che sono in to compagnia, nè cum algun de loro. Per quanto aspecta a la pace nui non volemo che cum questo perfido et insaciabil inimico se possi aver pace alcuna che possi esser nè segura, nè durativa senza queste condition che lui cedesse in tutto e per tutto la Natolia a questo illustrissimo signor, e tuto quello lui possiede de là del stretto cum tuta la ripa de esso strecto opposita a la Grecia, si che in quella niente omnino li restasse. Questo dicemo cussì per lo castello del Dardanello che pervenisse in mano et podestà del prefacto excellentissimo signor, come perchè niuno altro più ne potesse edificar in locho alcuno de quela ripa, et conseguentemente fosse in libertà nostra passar suxo per el strecto et intrar in mar Mazor et venir a Trapezonda et altri luoghi de esso excellentissimo signor per instauration de li antiqui trafici et commercij, per beneficio della sua celsitudine et suoi subditi e nostri. A nui veramente consignasse la Morea e l'ixola de Metelino e restituisse el nostro Negroponte; et ancor cum tute queste condition, considerata la rabia et rapacità soa existememo saria pericoloxo lasarli tanti regni et potentie quante lui possiede in Europa, cum le qual a qualche caxo potria esser molesto al prefacto illustrissimo signor, a suoi figliuoli et a li amici soi. Ma pur quando tu vedessi la celsitudine soa inclinasse a mention de pace et non si potesse per te ritrar e suader in contrario ricorda et proponi questa conditione nel modo nui te lo dicemo.
La mente adonque nostra et nostro desiderio saria la prosecution de la guerra fina che cura le arme el fusse expulso de la Natolia e reducto in tal termini che ogni condiction de pace se potesse raxonevolmente sperare e poi segondo el tempo e le cosse non mancheria darli quella leze apparisse esser per tuti do nui più avantaxosa et fuzir ogni practica in questo mezo, perchè le non pò se non grandissimamente nuocer a le comune cosse et bene del prefacto excellentissimo signor et nostro.
Pur quando facta per te ogni possibel experientia et conato per lo suader el refuto de ogni paxe e la prosecution de la guerra et exterminio de lo inimico, et cum le universal raxon non esser da darli pace[127] niuna, e poi cum lo ricordo de le soprascripte dure difficil condition, non le succedesse nè l'una, nè l'altra via; ma quel excellentissimo signor inesorabilmente avanti la total eversion et ejection de lo inimico fuor de la Natolia fosse inclinato a la pace cum la restitution de i stati de i signor cazati in essa provincia o altramente, che nui ben podemo considerar ma non intender perfectamente tutte cosse: in questo caxo sii solicito in recordar il facto nostro, sì che a nui anche sia resignata la Morea, Metelin e restituto Negroponte, e non possando tutte queste cosse quella più parte tu puoi obtenir. Et in fine almancho ne sia restituto Negroponte et Argo o pur siamo insieme cum el predicto illustrissimo signor inclusi in tal pace come suo colligati et confederati con tutti li nostri confederati et adherenti.
Possiamo intorno a tal materia dirte asai raxon, le qual tute e de le altre anche segondo el tempo e la qualità de la materia te po soccorrer a ti stesso che sei prudente e practico uxa la tua solicitudine prudentia et diligentia al più bene et al maior avantazo et beneficio del stado nostro.
A l'altra parte che è della via de far la guerra tu intendi questi do Stati esser proposti suxo questo taoliero per dir cussì l'uno quello del Turcho, l'altro quello del Soldan. E ben che nui existimemo che al tuo zonzer in levante el prefato excellentissimo signor già serà drezato per quel cammino lui deve andar, ampuò in ogni caso nui te dichiariremo el concepto nostro. Se per ventura tu ritrovasti soa excellentissima signoria ancipite et suxo l'uno et suxo l'altro partido, volemo che tu lo suadi et lo conforti a la via della Natolia e ruina del Ottoman come ad imprexa più necessaria et più glorioxa, la qual riuscita non li resta più alcuna difficultà al certo impero de tuta l'Asia. E se già lui si fosse drizato a questa banda del Turcho, mantienlo tu in tal proposito che credemo lo farai senza difficoltà.
Se veramente lui fosse intrato in Sorìa, in questo caxo perchè varie pono esser le condition delle cosse non ce par de darte alcun singular comandamento se non quanto te diremo appresso, non intendando che possi esser utile nè che nocino a le cosse nostre et a le persone et haver de li nostri merchatanti, la salute e ben di qual volemo che sia el tuo bersajo e la to brocha dove tu hai a drezar tuti i tuo pensieri studi et spiriti per la loro salute e liberazione. Volemo che per ogni modo tu passi a ritrovar quello excellentissimo signor perchè molto meglio appresso lui che da la longa potrai aiutar et favorir la salute e liberation de nostri, che stando lontano, anzi[128] stando lontano offenderesti e l'una e l'altra parte et potria questo esser dopiamente et per do vie la extintion de li nostri. Tu intendi et cognosci per quanto ve stagi le persone, el mobile che se ritrova in levante uxa a questa volta ogni animo ogni distinction et ogni raxon per la conservation et liberation de quelli cum lettere et messi de quel excellentissimo signor, cum luxenghe, manaze, forze, parole et effecti de quello a quelli luoghi dove se ritrovano i nostri mercadanti et haver suo sì che tuto se salvi per quelle vie et modi che tu crederai meglio e più certamente poterlo fare.
Perchè come ne ha referito questo nuovo ambassador del soprascripto illustrissimo signor, la despina è apresso de lui in grandissimo amor et reputation et auctorità, oltre quello nui te havemo commesso in l'altra commission toa de la visictation et prexenti, l'è anche de nostra intentione che quanto più tu poi tu la honori et exalti, e sì te forzi de renderla a tute le voglie nostre propitia et per tute quelle vie e mezzi che tu intenderai et cognoscerai poterlo fare.
E dichiarali lo amor nostro et observantia in quella e la speranza che nui havemo in la sua sublimità, e mesedando i respecti christiani cum i nostri e l'odio inextinguibile lei deve haver a lo inimico, la dolzeza de la vendetta de tante ricevute inzurie nel sangue suo, fa de obtener et uxar l'opera et favore suo al ben de tutte cosse a ti comesse.
Visiterai similiter et honorerai et prexenterai la madre del soprascripto illustrissimo signor cum forma de parole a la soa dignità conveniente et a la persecution de l'imprexa quella inanimerai el inflammerai per lo evidentissimo beneficio et necessità del stado de suo figliolo, de li nepoti e descendenti suoi cum quelle parole et raxon che alla materia et a la persona soa convenga.
Benchè nui te habiamo dito in l'altra commission che tu comunichi ogni cossa cum li ambassadori pontificio e regio, sapi ampuò esser de nostra intention che tu comunichi le cosse comune zeneral e manifeste, non questi nostri secreti, nè altra cossa che meritasse taciturnità e silentio; tu è prudente uxa la consueta tòa intelligentia et practicha.
Da poi la prima exposition de questo ultimo messo del soprascripto illustrissimo signor, lui è iterum venuto a la presentia nostra et hanc exposto chel predicto signor Uxon per suo sagramento ha promesso al nobel homo Catarinzen nostro ambassador de perseverar perpetuamente cum nui in amicitia coniunction et union, et haver li amici nostri per amici et li inimici per inimici. E questo istesso[129] lui ne ha offerto et promesso de affermar da bel novo cum sagramento per nome de quello excellentissimo signor: però nui volemo che tu te informi di questa particularità dal soprascripto ser Catarin, el qual se meravigliamo che se cussì è non ce ne habi dato notizia. Et essendo necessario far in tal materia altra solemnità et obligarne la fede de quel signor, e la nostra a lui, a perpetua soprascripta union et intelligentia contra l'Othoman, specificatamente semo contenti che tu ne ricevi ogni obligo, et al incontro oblighi et prometti per nui sì che dita obligation sia mutua et equalmente reciproca, contra però l'Othoman come havemo dicto e non contra altri, per i pericoli che tu intendi de le persone et haver nostro che sempre se retrova in podestà del soldan, a la salvezza de le qual nostre persone et havere habi semper in ogni caxo singular et precipua cura et diligentia.
Comunicherai tutti questi nostri comandamenti e sì li exeguirai insieme cum el nobel homo ser Catarin Zen et avixalo che tutto tegni secretissimo quanto qua se comanda per nui, sel serà lì, et essendo lontano exeguissi ti solo come in la patente commission te havemo dicto.
E perchè per do letere del prefato ser Catarin nui semo avixati quello excellentissimo signor haverli domandato danari; sel occoresse chel te facesse simel domanda a ti, volemo che cum la dichiaration de le incredibel spexe nostre distinctamente tochate in l'altra tua commission che sono honestissime et urgentissime, et cum tutte le altre honeste et iuste raxon et justification tu honesti la Signorìa Nostra, e declina quanto tu puoi questa materia.
De parte | 116 |
De non | 5 |
Non sincere | 6 |
Secreta XXV. Cornet, op. cit.
Copia di una lettera scritta per D. Catarin Zen, Orator nostro al Signor Ussun Cassan, nell'anno 1473, addì 27 Lujo.
Serenissime Princeps et Excellentissime Domine etc. Addì 14 Jugno scrissi a Vostra Sublimità dalle campagne di Erzingan a risposta di una di V. S. in data addì 9 Zener 1473; et certo dirò così: Serenissimo Principe quella lettera non fu lettera ma Spirito Santo, se detta lettera non veniva ovvero la fosse stata più tarda non so come fossero passà le cose. Questo illustrissimo signor toleva la volta di sopra come el feva. Il sommo Dio sia ringraziato il quale ha provisto a tutto. Questo illustrissimo signore come scrissi a V. S. ringrazia molto V. Serenità dell'esaltazione che feci per nome di V. Celsitudine a Lui, per essere andà magnanimamente contro l'Ottoman.
Lui ha prevenuto la V. Sublimità in aver fato dar commiazione all'ambassador dell'Ottomano, et questo perchè V. Serenità si riputava za essere unita et conzunta con essa ill.ma sua signorìa, et per il simile delle bombarde e munizion, maestri ingegneri et de schiopeteri e dell'armata mandata da V. S.; et perciò sua ill.ma signorìa aveva mandato, come saveva, un suo schiavo che fu Armirbei contro l'Ottoman con cavalli 200,000. Allora sua signorìa voleva mandar suo fio Ourgulu bei con cavalli 150,000 e sua celsitudine voleva venir dietro potentissimo, et dissimi ancora così come Vostra Serenità aveva posta fede in non far pace coll'Ottoman, ella stasse di buon animo che egli non faria mai pace coll'Ottoman per la fede che aveva porta. Qualunque cosa Vostra Serenità intendesse dall'Ottoman non lo credesse et come sua ill.ma signorìa voleva vegnir prima ad Erzengian, e li adunar tutte le sue genti, et[131] per tutta la luna di luglio voleva andar e mandar contro l'Othoman per amor delle biade; e come in quei dì essendo venuto un ambassatore dell'Ottoman a questo stesso signore per fare la pace, lo avesse rimandato.
Significai ancora a V. S. tutti li progressi che aveva fatti questo signore fino a quell'ora, per dita mia lettera.
Scrissi ancora un'altra mia in data 12 luglio da Erzengian, per avvisarla come questo ill.mo signor avea fatto cazzar dito ambasciatore dell'Ottoman senza dargli udienza; e come a certi spioni turchi ha fato tajar la testa e taccarla al collo e così mandar all'Ottoman dicendogli ch'el vegna presto; et come pure abbia fatto venir me alla sua presenza e dissemi: Ambasciator, tu intendi, l'Ottoman vien con tuto el so poter contro de mi, et ha abandonà tutti li luoghi che tiene in ponente per venir più potente contro di noi. Scrivi alla tua illustrissima Signorìa ed all'imperator et al re d'Ongheria, che facciano tutto el so poter di andar a distrugger l'Ottoman in Europa, perchè in questa parte d'Anatolia vojo andarlo a trovar, et coll'aiuto di Dio distrugerlo, et così voglio che faccian quelli Signori di ponente acciò el dito Ottoman non si possa più refar, et che totalmente el sia distrutto et che il suo nome no se abia più a menzionar; et comandami scrivessi alla magnificenza del capitano spazzasse presto una galia per dar ricapito a ditte lettere, et così quamprimum scrissi una lettera al capitano che mandasse una galia in Dalmazia, et così mandai la lettera alla Maestà Cesarea dell'Imperatore, et altre d'Ongaria; le copie delle quali mandai a Vª Serenità et altre cose come avrà inteso per quella mia.
Addì 13 luio ricevetti lettere dalla magnificenza del capitano, e di mess. Josafat Barbaro ambassatore date a dì 3 jugno in Porto di S. Teodoro, et con quelle lettere direttive a questo ill.mo signore, et al signor Caramano, per le quali fu informato della magnificenza del capitano, come Sua Magnificenza era zonta lì, con potentissima armata, e del Sommo Pontefice, e del re Ferdinando, et che avea zente, molte bombarde, munizion, maestri schiopettieri, et presenti per essere dati a questo ill.mo signore; et come Sua Magnificenza aveva mandato da Vostra Serenità di stare ad obbedienza di questo ill.mo signore, et che molto Sua Magnificenza desiderava intendere li felicissimi progressi di questo ill.mo signore, ed aspettavalo con gran desiderio alle marine, per far qualche solenissimo fatto insieme con lui; et che intanto avea preso et consegnato a Kasim bei i tre castelli alle marine. Quamprimum fui alla presenza di questo ill.mo[132] signore, e li significai quanto Sua Magnificenza me commetteva, e li apprestai la lettera che scriveva la magnificenza del capitano, et il Barbaro, il ditto ill.mo signore, me le feze lezere, e lette che le have, subito sua signoria ill.ma feze sonar le zambalare per tutto el campo in onor, gloria e trionfo di Vostre Eccellenze, e della magnificenza del capitano, dicendo: questi sono uomini da fatto, e che non stanno oziosi con tante sue galie. Il ditto ill.mo signore molto ringraziò Vostra Serenità della obbedienza che aveva commesso al magnanimo capitano, e delle bombarde, munizion, maestri scoppetieri, e presenti che si era per dare a sua ill.ma signorìa, e ringraziò molto la magnificenza del capitano di aver consegnato per suo nome a Kasim bei li tre soprascritti castelli.
Sua ill.ma signorìa mi disse: Ambassator, intendo il tua magnanimo capitano colle zenti di Kasim bei sono andati al Candelaro e sono huomini molto soleciti, se Dio li concede grazia di avere il Candelaro, scrivi al tuo magnanimo capitano nol consegni ad alcuno che sel tegni per lui, e scriverli che non si parta da lì, ovvero dalle terre del Caraman, perchè col nome de Dio seguirò loro alle marine e faremo colla Dio grazia qualche rilevata cosa. Questo ill.mo signor come ho scritto di sopra, voleva mandar avanti so fio contro l'Othoman con cavalli 150,000; ora ha deliberato non vada avanti, ma sua ill.ma signoria vuol andar in persona con tutto l'esercito a trovar l'Othomano. Da questo campo sono 300,000 cavalli ben in ordine armati, et per lo simile li huomini di ora in ora si vanno grandemente impassando. Questo ill.mo signor ha fatto comandamento a tutti li uomini di queste montagne che vengano in campo, li quali di ora in ora giungono. Questo ill.mo signore solecita il cammino per andar a trovar l'Othomano, spero in Dio non sarà troppi zorni si toccheremo li fianchi. Pregherò l'Altissimo Iddio per sua clemenza ne doni vittoria; ogni zorno vien persone dell'Othoman, che scampa per questo campo. Questo ill.mo signore li vede volentieri, e li fa doni e veste; oggi son venuti signori quattro dall'Ottoman, li quali sono fuzìti.
Sono stato dal signor Caraman al quale ho data la lettera che gli scrive la magnificenza del capitano, e di m. Josafat Barbaro ambasciatore, il quale mi ha fatto lezere. Sua signorìa ringrazia molto la Vostra Signorìa di tanto beneficio li ha fatto la magnificenza del capitano, lo qual sommamente lauda, e dice tutto il suo stato essere in Vostra Serenità, et di quello essa disponga come del suo proprio.
Delle condizion di questo ill.mo sig., l'è poco tempo che sua signorìa[133] non aveva altre che cavalli 30,000 et presto si ridusse in cavalli 300,000, s'ingegnò di rubar da suo fratello una terra grande, e che avea mura belle e grosse come quelle de Costantinopoli. Dopo comenzò ad aquistar il paese, e star sempre in campagna come fa al presente. Là el mandò domandare molte cose in tributo, fra le quali el domandava 30,000 garzoni, a Gihan Shah; questo ill.mo signore fu contento darli ogni cosa, eccetto li garzoni, dicendo non poterlo far; li comenzò a romper guerra, e mediante la Dio grazia, lo vinse sora Tauris, et havuta Tauris il soldan Baiesit qual era di sora Tauris li mosse guerra. Questo ill.mo signore l'andò a trovare, e suo fiol Ugorlom bei, il quale al presente è qui in campo, el prese e conquistò tutto il paese che è sora Tauris a zornate 50 fino al mare di India; dall'altra parte tien a confini de Tartari: et tien paese fino al monte di Bakù, da quella parte di sopra tutto è pacifico, et nulla dubita. E come scrissi a Vostra Serenità dì 12 lujo l'è venuta a questo ill.mo signore una solenne ambassata del Tartaro, et ha portato presenti nove ferri da taiar, nove scimitare, una sella, una brenna, do fanali, e 200 persone cariche di peletterie, zoè martori, zibellini, faine, armellini, dossi vari e volpi: et ha mandà a dire a questo ill.mo signore come el pretende stare con sua signorìa in pace, come l'è sta finora, sicchè di fora delle parti di levante, per la Dio grazia sta sicurissimo, verso tramontana confina col re di Zorzania e da queste parti nulla dubita, e sono in pace. Dalla parte destra confina con Bagdad, zoè Babilonia la grande, et confina con Arabi, colli quali è in pace, et molti sono in campo con questo ill.mo signore. Quando l'andò verso Aleppo tutti li Arabi si movevan per venir in favore di questo signore, sicchè da parte destra nulla dubita. Verso ponente confina col Soldan e con l'Othoman; col Soldan, come dirò de sotto, credo sarà d'accordo, nel mezzo del suo paese l'aveva il signor di Bitilis, dove el mi mandò l'anno passato, il quale aveva castelli 20 et assaissime montagne li qual si chiama Kurdi, valorosissimi huomini et dividono il paese di questo ill.mo signore in do parti, cominzando da un luogo chiamato Kirmanchà che va fino a Tauris ch'è sotto alle montagne, et divide il paese in do parti, da confini dell'Othoman fino a Tauris. Allora quel signor di Bitelis si rese con tutti li castelli e genti, in modo che tutto il paese s'è ridotto di questo ill.mo signore, con assaissime città e tutte ben condizionate, castelli assaissimi, le quali città e castelli molti ho visti, per essere andà per mezzo del paese di[134] Tauris, e da Tauris ho circondà tutto il paese, come per altre mie ho scritto a Vostra Serenità.
Questo illustrissimo signor, se vol, el farà un milion de huomini; da suoi signori ha una grandissima obbedienza; li principali signori ha di grazia andare al suo padiglion, avanti al quale stanno sentadi in terra, et essendo nel padiglion niuno osa parlare, et il Signor parla, e quel sua ill.ma signoria dice tutti conferma, et nullo li basta l'animo di dirli contro di quello el dice di che l'ha un'obbedienza grandissima. Questo campo pare un santuario, nullo si lamenta. Questo ill.mo signor non ha far altro se non attendere all'Othoman, perchè da tutte le altre parti l'è benissimo condizionato. Per tutto questo paese sono Armeni cristiani assaissimi, fanno chiese a suo piacere, il signore li concede in un luogo chiamato Galguch sia fatta una chiesa di Nostra Donna in volto: ha coperto do chiese, una di Simeon Apostolo, l'altra di S. Zuan Battista con tre cappelle, et li dà il modo di farle al modo italian, e così hanno fatto.
Delle sue entrate non posso bene intendere: tol la decima di tutte le entrade; gli Armeni pagano uno ducato per testa che sono grandissimo numero. Li signori, a beneplacito di questo signore, li mette e dismette alle sue zenti e castelli, li quali secondo la signorìa che hanno, quando il signor li chiama sono obbligati di venir con certo numero di cavalli et huomini secondo le sue rendite, e così vengono; le zente d'armi sono pagate a ragion di anno, et hanno le paghe di mesi sei in mesi sei, et da per homo col cavallo da ducati 40 fin a 60 secondo li homini, all'anno; et benchè dica, Serenissimo Principe, che questo illustre signore potrà fare un milione di huomini et al presente abbia in campo homini 300,000, di questo la non la si meravigli: perchè come ho detto la lettera di V. Serenità de 9 Fevrer 1473 non fu lettera, ma fu lo Spirito Santo. Questo ill.mo signore non pretendeva per lui venir zoso, ma andar alla volta di levante; et ho saputo per buona via da principali signori, che questo illustrissimo signore, la venuta del veneto ambassador reputava un sogno, per essere il paese della Signorìa lontanissimo, et dopo che venne questa santissima lettera, il signore che avea allora persone 100,000, veduta la ditta lettera, la quale ricevè addì 12 jugno, si deliberò di venire contro l'Othoman.
In questi zorni è venuto un ambassator del Soldan a Ongurlu bei fio di questo ill.mo signore, et al signor Caraman, ad esortar quelli s'interpona con questo ill.mo signore di far paze col Soldan,[135] e vuol far tutto quello piace a questo ill.mo signore, l'ha mandà al Soldan un suo ambassatore per questa facenda per quel che mi dice il Caraman, ma temo la pace non seguirà. Nec alia. Alla grazia di Vostra Serenità mi raccomando. Data nel felicissimo Campo di Ussun Cassan in le campagne di Erzignan addì 27 luio 1473. Excellentissimae Dominationis vestre, Caterinus Zeno.
Cronaca Sanudo. Ms. Cicogna.
Relazione della battaglia di Terdshan.
Magnifici et generosi domini post commendationem, etc. Le ultime mie scritte a Vostre Mag. fo de XXVII lujo, per le quali significai a quelle come questo ill.mo signore andava in persona a trovar l'Ottoman, e che non saria tropi zorni che i sariano a le mano. A hora significo a Vostre Mag. come a dì primo avosto questo ill.mo signore se acostò a lo exercito de l'Ottoman, et el detto Ottoman era, con persone da cavalo e a piedi 150m, ben in ordene de chari, bombarde e schiopetieri e fanterie. Questo ill.mo signore haveva da persone a chavalo 300m, e lasò con el suo chariazo de le done, puti e suo haver, da persone 100m. El ditto Ottoman visto esserli venuto arente, dubitando, serò tuto el campo suo con chari e bombarde. Questo ill.mo signore commenzò subito principiar la bataglia, e sempre era vincitor, e fo morto de l'ottoman Asmorat bassà de la Romania, e Amirbei capetanio de la Morea fo prexo: l'Ottoman mandò uno suo subaschi a questo signore per far pace. Questo ill.mo signore per niente volse pace, per la fede el me aveva dado per nome de la nostra Ill.ma Signoria. Questo signore mandò Ugurlonbei suo figlio con el signor Charaman de sopra el campo de l'Ottoman con gran numero di chavali, mandò ancor l'altro figlio suo nominado Seinel beg da una banda del campo de l'Ottoman e Bajandur beg dall'altra banda con gran numero de chavali. Questo ill.mo signore romase a lo incontro de sotto da l'Ottoman con grande exercito, in modo che lo exercito de l'Ottoman era tuto circondà da la zente de questo ill.mo signore. Questo ill.mo signore voleva strenzer l'Ottoman; l'Ottoman vedendose circondà cercava de voler con lo exercito fuzir, e mosesi per do fiade.[136] A dì X volendo fuzir l'Ottoman, questo ill.mo signore volonteroso de esser a le mano in questo dì X, a hora de nona montò a chavalo, e commenzò ad intrar contra l'Ottomano e sempre venzando, et essendo l'Ottoman in fuga, fono da una parte e dall'altra molti et assaissimi morti, e per questo ill.mo signore fo presi de quelli dell'Ottoman e morto Duranamet fio de Amirbei capetanio de la Morea, Agybey, Cuzuxenan, Penzin, Enzingalar, uno principal signore haveva l'Ottoman in Constantinopoli è stato morto, el qual era christiano et al fradel de Mamut bassà, tutti i soprascripti grandissimi capetanj frambulari da 50; e accostandose questo ill.mo signore a li chari de l'Ottoman, l'Ottoman comenzò a cargar a dosso a questo ill.mo signore con bombarde, spingarde e con molta fantaria, con schiopeti in modo che le zenti de questo ill.mo signore comenzò fuzir. Intanto che tuti fuzino, et lassono tuti i pavioni e gambeli, i quali fono tuti tolti per quelli de l'Ottoman, e tuto el bazaro, e questo campo fo rotto. Mi che sempre seguiva el signore, miracolosamente Dio per sua misericordia me ha salvà, al qual rendo immortalissime gratie. Questo ill.mo signore fuzì e tute le sue zente per le montagne, e tuti son reduti dove i lassorno i pavioni de le loro done, puti e suo haver. El signore è salvo, e do suo fioli e el signore Charaman e Baiandurbey.
Non par da conto de questo ill.mo signore sia manchà alcuno, tute le zente sono redute. Questo ill.mo signore è in pè, e su la reputation e non par rotto. L'ha mandà in Syras che è mexe uno de zornade sopra Tauris per el fiol grande, el qual è potentissimo, chel debi vignir zoso con tuto el suo poder, et ha fatto commandamento per tuti suoi luoghi che tuti se meta in ordene. Questo ill.mo signore va ordenando el paexe suo, e va verso Tauris, e dice che a tempo novo el vol andar contra l'Ottoman, el qual torna nel suo paexe.
A dì VII de questo, vene in campo do ambassadori del serenissimo signor re de Hungaria, con i qual fui a la presentia de questo ill.mo signore, et udita la sua ambassada, dissi a la sua ill.ma signorìa voleva mandar uno mio homo a la mag. del capetanio zeneral, e quel piacesse commandar a sua ill.ma signoria che la commandasse. Sua serenità me disse non mandar el tuo homo, ma voglio tu vadi da la to ill.ma signoria insieme con questi ambassadori del serenissimo re de Hungaria. Mi come tuti i miei sano, haveva deliberado remagnir infina uno altro anno ad intender e veder quello era per far questo ill.mo signore. Habiandome dà licentia questo signore non posso far manco de non me partir, et in nel nome di Dio, con questi mag. ambassadori del re de Hungaria torò el mio chamin. Priego[137] Dio me condugi a Venexia a salvamento per seguir mio debito ho scripto questa a Vostre Mag. aziò quelle de tuto sia informade de quanto è seguido. Priego Vostre Mag. a tutti me arecomandati. — Nec alia. — Data nel campo de Ussun Cassan zornade quatro lonzi d'Erzingan die XVIII, Augusti MCCCCLXXIII.
Catharinus Geno Orator.
A latere:
Magnificis et generosis viris, dominis Petro Mozenico procuratori, capit. generali maris, ac provisoribus classis, nec non Josaphat Barbaro oratori Ill.mi DD. Venetiarum ad Ill.mum D. Ussonum Cassanum dignissimis.
Dai Codici Foscarini.
† Jesus MCCCCLXXIII die XVI Octobris in civitate Caffe.
In nomine Domini amen. Haec est quaedam tranlatio de lingua persica in lingua latina seu italica, cuiusdam literae magni et potentissimi Assanbech, directe ill. dominationi venetiarum, translata de dictis linguis vid. arabica et persica in idiomate italico, de mandato spectabilis domini Christophori de Calle, honor. consulis mercatorum venetorum in civitate Caffe. Instante ac requirente magnifico domino Catarino Zeno veneto oratore Ill. D. Venet. ad prefactum dominum Assanbech ac oratore prefacti domini Assanbech ad Summum Pontificem, ad Ser.mum imperatorem Romanorum, ad Ser.mum Ferdinandum regem Siciliae, ad Ser.mum dominum Cassimirum regem Poloniae, ser. D. Mattiam regem Hungariae, nec non ad prefactum Ill.mum dominum Venetiarum per me Constantinum de Sarra artium liberalium magistrum, et specialiter ad hoc negotium cancellarium electum per prefactum dominum consulem, tamquam suum confidentem, de verbo ad verbum et verbum pro verbo, nihil addito vel mutato quod mutet sensum, aut variet intellectum, nisi forte forent alique dictione in illis linguis: quae per propriam italicam dictionem non possent transferre, quas dictiones exposui pro propinquiorem[138] dictionem, quae potuit confirmari tali arabicae, sive persicae dictioni. Quae translatio facta fuit interpretante Choza Goli armeno docto viro et perito in dictis linguis, ipso interpretante et me transferrente mediante patre Giorgio de ordine unitorum perito in lingua armenica et tartarica, verba illa mihi exponenti in lingua italica.
Et q. littera habet signa sex rotunda, videlicet unum in fine litterae a parte interiori et reliqua quinq. etiam in fine litterae a parte exteriori.
Quae translatio talis est, scripta tamen per alium mihi confidentem.
In nomine omnipotentis Dei, litteris aureis.
Unus Deus, litteris aureis. Haec sunt verba risplendentis atque fortissimis Assan, litteris nigris.
Grandissimo honorandissimo Gran Signor, Signor de grandi Signori, relucentissimo signor Sultan su la fede christiana Nicola Tron doxe di Venexia, cum la man a la gola me inchino e a le bone parole non torno in driedo: ma anchora me inchino. — Ahora ve fasso assaper come sultan Othoman per mal far vegniva suxo el mio paese: e l'è vegnudo a le contrade de Erzingan; et nui a pocho a pocho semo venuti al intorno del detto Erzingan. Pochi delli nostri huomeni sono scontradi cum quelli a volto a volto: cum la nostra benediction adosso i nostri nemici li avemo superati de cinquanta sei milia homeni de quelle dell'Othoman avemo tagliati a pezzi, et cento e cinquanta subaschi et trentacinque capitanii grandi havemo prexi vivi. Dentro de questi xe Absmorat. L'Othoman de queste cose ha fatto gran pensamento, et tuto intorno avea facto fossi, et haveva grande pensier: el fundamento so è de gran signor. Ma alquanto sono tornado in driedo, et quelo l'altro zorno è tornado in driedo a la parte del so paese ha dato, el suo volto, et nui asì havemo seguido driedo. Tanto havemo seguido apresso che presto l'è uscito fuora del nostro paese. Da poi alquanti zorni andassimo alla volta della caza et andar a tanfaruzo per el tornar fece indriedo queli, havemo cavalcado, et una parte dei miei huomeni senza la mia parola cazete intorno de quelli et fece battaglia. Pocho de rota n'ha facto mancamento come cossa fortuita. I Othomani de simil cossa se han fatto per lor grande favore et nome. Et sono tornadi indriedo. Nui semo in riposo in nostro paexe in paze. Dentro el mio spirito zorno et nocte è che questo primo tempo, cum la vostra union et con la volontà de Dio, cavalcheremo addosso a l'Othoman, et non sapiate altramente perchè questo è el mio voler. Io ho manda sul mio paexe Irach, Fars, sin a la porta de Condustam, e mio paexe Taharsam, Masanderam, Ghilam, Sarahath, Aderbigian,[139] Bagdad. Questi tutti miei paexi et in tuti miei luoghi dove sono zente d'arme, e quando comandarò tuti serano a mi. Sapiè non sarà altramente. Bixogna queste cose non metter in dubio, perchè la mia parola xe una, e la vostra disposition senza falo avviseme, et che le vostre lettere no manchi, de quel vui deliberè et che me fassa assaver, che non manchi che li vostri homeni venga a mi de continuo et d'ogni cossa savarè de Catharin Zen ambassador. Data a la nostra porta dei primo lune mensis augusti MCCCCLXXIII.
Nos Christophorus Calle per la nostra S. S. de Venexia consolo in la presente Città de Caffa de la prenominata inclita natione, affirmamus omnia suprascrita; et ad robur omnium premissorum vissimus has sigillo gloriosi evangelistae Sancti Marci impressione muniri manu propria.
Ego Constantius de Sarra, artium liberalium magister et pubblicus imperiali autoritate notarius, tamquam confidens praefacti domini consulis, suprascriptam literam transtulit ut supra, et ad veritate proemissorum, signum meum notarj apposui consuetum.
Commemoriale XVI, p. 27. Arch. ven. gen.
1474, 11 Febbraio. Commissione ad Ambrogio Contarini, ambasciatore veneto in Persia.
Nicolaus Marcellus Dei gratia dux Ventiarum etc. — Comittimo a ti, nobel homo Ambrosio Contareno dilecto cittadin et fedel nostro, che tu vadi ambassador nostro al illustrissimo signor Uxon Cassan, et quanto più presto te sia possibile per via de terra vadi a Caffa e di lì passi el mar Mazor e desmonti in quel luogo che tu intenderai esser più apto e più vicino a le provincie et dominio del prefacto illustrissimo signor.
La via toa de qui a Caffa zudegemo più segura per Polonia, per esser le provincie più pachate, et anche perchè cum el favor de quel serenissimo signor re del paexe suo fino a Caffa sarà più tuto l'andar[140] tuo, et in la terra propria più riguardado et reservado che altramente per la autorità et reverentia ha sua maestà et per lo paexe è in la terra.
Zonto adunque in Polonia te conferirai a quella città o luogo dove intenderai esser la regia sublimità, a la qual te presenterai e porte le nostre lettere de credenza e fate le consuete et observante salutation et offerte, et prexentato el don et prexente li mandemo per ti, dirai a la maestà predicta ti esser mandato da nui per esser al cospecto del soprascripto illustrissimo signor per animarlo, persuaderlo, et ridurlo a l'imprexa contra el Turcho, come coloro che cum tuti i nostri pensieri e forze ricerchemo la liberazion de la fede et religion christiana dal pericolo de questo immanissimo inimico di Christo, et non cognoscemo niun più accomodato rimedio che la ritornata del soprascripto potentissimo signor a l'imprexa, el qual ritornando serà a christiani facil cosa spinzerlo de l'Europa, et molto più facile al soprascripto signor opprimerlo in l'Asia, et per questo modo liberar el mondo de questa peste et pernicie. Et sapendo nui la autorità e reverentia grande che necessariamente ha la prefacta regia sublimità, cussì per tuto el paexe fino a Caffa come anche in la terra propria, et ricordevoli de la singolar benevolentia et amor che dicta maestà ci porta et de la observantia et culto nostro in quella, havemo prexo questa confidentia de mandarte a la presentia soa e richieder e pregarla che in beneficio de le cosse christiane et in nostra precipua complacentia el te faci accompagnar et scorzer fino a quella città, et per mezo de suo proprio nuntio o letere efficacissime, anche in quella, et al passar de lì te presti ogni possibel favor et ajuto, declarando ti esser suo proprio ambassador mandato per sua regia sublimità al predicto potentissimo signor, la qual cosa a ti sarà de grandissimo comodo et segurtà et a la maestà predicta non potrà esser se non grandemente honorevole.
Impetrato adonque tutto quello favor e de quella qualità potrai obtener, spazandote prestissimamente de Polonia prosiegui el tuo cammino a Caffa, e de li oltramar, nel qual passazo e camino non te demo più uno comandamento che un altro, perchè bixogna che per zornata tu prendi i partiti siano a più tuo seguro, et anche prestissimo andar per ritrovarte a la presentia del soprascripto potente signor. Nui te dicemo de Caffa e de passar al mar perchè existimemo che tal via et transito sia apto et idoneo per information havemo, ma se alguno miglior partito te occorresse o per ricordo et favor del soprascripto serenissimo signor re, o altramente, volemo che[141] sia però in tua libertà prender quel partito sia più accomodato presto e seguro, perchè el nostro final desiderio è che tu gli vadi, e sia per qual via se vogli, pur che là te conduchi.
Et per tuo avixo nui havemo mandato per quella propria via el prudente cittadin nostro Polo Ognibene, et havemo indrizzato a la prefata maestà sua cum prexente de uno cavezo de panno d'oro in restagno molto bello, de braza..... Investiga cum diligentia et anche modestia sel dicto Polo è capitato e fato el prexente nostro, e come in tute cosse lui ha facto et obtenuto da quel serenissimo signor re, ogni cosa potrai dimandar apertamente et a la maestà predecta et ad altri; ma del presente fa de intenderlo quanto più cautamente et honestamente poi, et danne avixo de tuto e del dì del suo partir de lì per Caffa, e cusì del tuo zonzer come anche del partir tuo.
L'unico nostro pensiero et desiderio è che lo illustrissimo signor Usson Cassan ritorni questo anno o quanto più prestamente sia possibile a l'impresa contra el Turcho, e questa è la principal causa de l'andata toa et del mandar anche de tuti altri messi et letere nostre; et prima chel seguisse la bataglia fra el prefacto excellentissimo signor et el Turcho, pur per tenerlo suxo l'impresa li mandasemo el nobel homo Josaphat Barbaro cum prexenti e munition, el qual non ha mai per la via de la Sorìa potuto passar, et anchora se ritrova in Cypro cum tute le soprascripte prexenti e munition.
Zonto adonque in cospecto del soprascripto potentissimo signor, li presenterai le letere a lui directive che sono narrative de tuto questo proprio effecto, et in fine la credentiale in toa persona come nostro ambassador come per la copia la qual te havemo facto dar vedrai, et volemo che quelle te siano instruction e doctrina al suader el soprascripto ill.mo signor la ritornata et prosecution de la gloriosa impresa soa, dichiarandoli veramente per esse letere la singular fama et immortal gloria acquistata per lui per la mossa et magnanima imprexa soa predicta, la facilità de la oppression de lo inimicho, li singular et inenarabel beneficij lui ne ha a ricever, la necessità grande del proseguirla, et de accelerarla per non dar a lo inimicho de riposo et de reassumer le forze, perchè più duro e più difficile sarìa poi el vincerlo. Et cum tutte quelle raxon che in dicte letere se contien, da poi facte le conveniente salutation cum le parole e modi se serve cum tal signor, procurerai cum ogni tuo ingegno, studio e diligentia, chel prefato signor per ogni modo questo anno se movi e torni a l'imprexa, che impossibel è che l'inimicho se li opponi per esser stato da lui grandemente frachassato et morto el fior de la zente sue,[142] et impoverito et desperato tuto el suo paexe. La qual cossa cognoscendo tutti li principi christiani sono tuti erecti et aspectano la fama de la ritornata del soprascripto ill.mo signor a l'imprexa per spingerlo et opprimerlo ognuno dal canto suo, et a questo nui continuamente li tenimo inanemati et solicitati per nostri messi et ambassadori. Nui veramente cum l'armata nostra più instructa che mai, cum tute nostre munition et instrumenti bellici mandati l'anno passato et che da novo nui manderemo saremo molto per tempo a quelle marine o dove intenderemo drezarse el soprascripto illustrissimo signor, per poterli porzer non solamente in mare, ma anche in terra i favori nostri. Al qual etiam dichiarerai che cum i nostri presidii seranno anche quelli del serenissimo signor re Ferdinando nostro confederato, come dal suo ambassador quello intenderà, et similiter el summo pontefice et cum le proprie forze et cum el concitar e mover tutti cristiani in forma che non si po nè creder nè stimar altramente, ma che tranne lo inimicho per ogni modo habia ad esser preda et triumpho de quel sublime signor, a chi Dio per suo iusticia et singular bontà et virtù ha per ogni modo promissa questa glorioxa victoria in exaltation soa et in vendeta de tante tirannie, oppression et crudeltà commesse et che ogni dì commette el predicto inimicho. Tute queste cosse e de le altre più difuxamente narremo in dicte letere che in questa commission, tu le anderai amplificando a tuo proposito per persuadere et indur dicto potentissimo signor a l'imprexa. Questo è in effecto, quello nui desideremo et cerchemo come cossa sopra tutte altre salutar al soprascritto ill.mo signor et a nui, però tu niente lassa intentato et non cerchato dicto o facto, che per ti far sia possibile per obtener quanto di sopra te imponemo.
El serenissimo signor re Ferando nostro confederato manda anche lui el magnifico cavalier misser Lanciloto.... zentilomo napoletano, costumata e virtuoxa persona, suo ambassador al soprascripto signor illustrissimo, cum lo qual tu hai qui conferito, cercha la via e modo de lo securo e presto andar vostro o divixi per diverse vie, o in diversi zorni, o uniti parte, e parte divixi, che de questo lassamo a vui prender el miglior partito. Ma zonti ambidui cum la gratia de Dio in corte del soprascripto ill.mo signor conferirete insieme, et insieme tuto procurarete et farete unita et conformamente per nome de ambeduo i signori vostri, azò in ogni andamento vostro et opera apparati et siati conformi et uniti. E se tu zonzesti prima che lui, avixane el soprascripto illustrissimo signor de la venuta del soprascripto ambassador, e cusì cum lui intendeti de qui, che zonzendo lui[143] prima, ne avixi dicto signor de la toa venuta del compagno, el qual venuto moltiplichi poi l'instantia et efficacia de compagnia.
Et ex nunc captum sit quod presens commissio ante discessum oratoris ostendatur oratori regio, sicut de commissione ser Josaphat Barbaro factum fuit cum altero oratore regio et oratore summi pontificis.
Del nobel homo Catharin Zen el qual da poi partito da quello illustrissimo signor è zonto a Caffa niente più avemo sentito de lui, per el che non semo senza qualche dubio de la persona soa, impossibel è che tu per strada o non lo scontri se è sano e libero, o veramente in Polonia non senti da lui qualche cosa, o almancho in Caffa dove pur è zonto. Se tu lo scontri per ventura, informate da lui de ogni cossa necessaria perchè meglio sappi quanto tu hai a far per bona e votiva execution de i nostri comandamenti, et anche del tuo cammino qual quelo habi ad esser da Caffa in là, informati molto bene. E zonto al signor Usson dali avixo che al tuo partir decto ser Catarin non era zonto a nui e cusì havendo de lui sentito o non sentito cossa alguna, avixane la sua sublimità, perchè se forse non li respondesamo a qualche particularità commessa da esserne riferita per decto ser Catharin, essa celsitudine non prendi admiration o sdegno. Et anche avixa esso ill.mo signor, che algune lettere che da Caffa, el predecto ser Catharin ne scriveva mandate per lui per via de Costantinopoli a la mano del capitanio nostro zeneral da mar et per lui a nui, in mar sono perite cum el grippo, sì che nui semo rimasti senza desiderata information de quelle cosse.
El potria occorrer, che insieme cum ti se ritrovasse el nobel homo Josaphat Barbaro, et qualchun altro nostro zentiluomo mandato per la via de Sorìa, et anche Polo Ogniben che nui havemo intitulato nostro secretario. Ritrovandote cum questi o cum alguno de loro, conferite insieme et habiatevi ambassadori per ambassadori, et Polo in suo grado, et unitamente fate quello se convien, sì che tutti appariate como sete mandati da uno instesso signor et per una instessa cossa, per ben de la materia et per più honor nostro, et per quanto aveti chara la gratia nostra, non mostrate fra vui algun segno de discordantia. I messi anche che nui havemo mandati Martin Pin e uno Polo albanexe et altri mandati per el capitanio nostro zeneral cum letere de simel consonantia al soprascripto signor, habiatili e tractatili per nostri nuntii, et expediteli a nui cum vostre lettere, separati l'uno da l'altro et per diverse vie.
Oltra questi o se questi non fusseno capitati, spazatene de li altri[144] et siate solicitissimi in scriverne e de ogni successo distincto avixo per ogni via, e de Sorìa e de Charmania, et per ogni altra via, e non guardate a sparagno nè de persone nè di dinari, che ben sapete el desiderio nostro de esser cum diligentia et frequentia avixati de ogni deliberation et progresso del soprascritto excellentissimo signor.
Visiterai quando potrai anche quello excellentissimo signor la moglie la despina, la qual intendemo esser in gratia sopra ogni altra persona del soprascripto signor, et ha cauxa de esser implacabel inimicha del turco per la morte del padre e spoliation del sangue suo del suo stato et imperio de Trapexonda. E come nui intendiamo, che è optima christiana e sempre a nui ha mostrato benivolentia et amor, messedando tuti questi respecti et cauxe ad insieme, et presertim le proprie soe e le christiane, procura de inflamarla in questa opinion et voler chel soprascritto illustrissimo signor prosiegui la comenzata imprexa, et possi dir victoria soa, perchè reducto lo inimicho ne i termini presenti se li po ben dir esser vincto e superato.
I figlioli del soprascripto illustrissimo signor similiter visiterai, e dextra et acconzamente a chiascun de loro ricorda conforta e suadi chel signor suo padre proseguì l'imprexa soa, et dimostra anche a loro la facilità e certezza de la victoria, la necessità che li de' indur a cusì desiderar i fructi inenarabili non solamente cum amplication del stato e dominio che è guadagno, ma cum stabilimento de quello già possedono et dominano, che è segurtà e conservation del proprio imperio, che vivendo el Turco e rassumendo per riposo le forze, sempre sarà da lui insidiato e cercato de poner in periculo.
Cum el signor Caraman e cum quelli altri signori se ritroverano in corte de quel signor, cazati per lo Turcho fa anche assiduamente l'officio, inanimali e solicitali, che questa prexente occaxion non si perdi, mostrando anche a loro la facilità anzi certeza de la victoria.
Serenissimo autem domino regi Poloniae mittantur dono per eundem oratorem brachia XVI campi auri pulcherimi, ducat. circa X pro quolibet brachio, sicut melius fieri per deputandos ab collegio videbitur.
Spazata questa commission toa, l'è zonta una nave da Caffa per la qual havemo ricevuto le copie de le letere che quello illustrissimo signor ne scrive, e quelle lui scrive al papa e al re, et havemo intexo la cauxa de la indugia de Catarin in Caffa, el al soprascripto potentissimo signor havemo per più vie risposto a dicte[145] suo letere et per ti anche replichemo quelle instesse, et havemoti fato dar una copia per che ti anche oltra la letera exponi et operi quello medesimo. Et quello più oltra sentirai in camino de dicto Caterin, ne avixerai come de sopra havemo dicto el soprascripto excellentissimo signor.
De parte | 147 |
De non | 0 |
Non sincere | 0 |
Secreta XXVI. Cornet, op. cit.
1473. Die 11 Februarij.
Comissione segreta ad Ambrogio Contarini.
Ser Ambrosio Contareno
oratori ad illustrissimum dominum Ussonum Cassanum.
Per la patente tua commission te havemo imposto quello che generalmente rechiede la materia e che se convien a la comunication havrai a far cum l'ambassador regio. Qui nui te parleremo alquanto più particularmente cussì de la guerra come de la pace, et è nostra intention che tutto questo appresso de ti sia secretissimo per quella forma te sarà comandato, zoè che prima che tu parti de Italia, tu impari molto ben e tengi a memoria cum quelli contrasegni e zifre parerà a ti, questo foglio in tutto brusi et consumi, sì che mai possi esser veduto per alguno.
Existimando nui questo anno passato, che quello serenissimo signor fusse per intrar in la Natolia et venir a la extintion del Othoman, havevamo dato comandamento al capitanio nostro zeneral da mar, che cum tuta l'armata vigoroxamente intrasse nel Streto e penetrasse fino a Costantinopoli mettendo a focho e consumando tuto da l'una e dal altra ripa, per el che seria stata forza a lo inimico remandar[146] bona parte de le gente suo a difexa de la propria caxa et sedia soa, e tanto serìa stato mancho potente contra al potentissimo exercito de la soa sublimità, cum grandissima confusion et perturbation de tuto el stato suo, per la intersecation e division de ogni comodità sì de victuarie, come de ogni altra cossa de la Grecia in la Natolia, et cum certo sollevamento et rebellion de molte sue provincie e luoghi de la banda de la Grecia che poteria facilmente esser la ultima ruina de tuto el stato suo in l'una et in l'altra provincia.
Intexo dapoi per letere del nobel homo Catarin Zen nostro ambassador, quello excellentissimo signor haver facto altra deliberation e drizarsi ad altro cammino, aviassemo cum celerità verso le marine del Caraman le munition, artiglierie et homeni al manizarle experti, richiesti per soa celsitudine, le qual ancora se ritrovano in Cypro et ritrovase anche l'ambassador nostro cum i presenti che nui mandèmo per honorar sua illustrissima signoria.
El capitanio veramento nostro che come havemo dicto aspectava de intrar in Strecto, havendo da nui oltra el primo quello anche reservato et exceptivo comandamento de far in tuto e per tuto quanto comanderia quel potentissimo signor, havendo ricevuto lettere dal signor Caraman et cussì da ser Catarin Zen nostro ambassador, che dichiariva la intention et voler del soprascripto illustrissimo signor esser, che cum l'armada se conferisse a le marine del predecto signor Caraman et quello aiutasse a lo acquisto del suo stato, cussì fece conferendosi lì cum l'armata e tute munition, et acquistò et restituì a quel signor quelle castelle et luoghi sape (che sa) la sublimità sopradicta, aspectando sempre la venuta de quella o de la scorta per assegurarli et assignarli le artigliarie predicte, e lo ambassador nostro per venir a la presentia soa per honorar quello come desideriamo.
Successe, stando in questa expectatione, la battaglia fra la celsitudine soa et l'Othoman, per la qual è lo inimicho reducto in grandissimo extermio, licenziate le reliquie del suo esercito, le qual non ponno non confessar la loro extrema et incedibel strage e ruina, e ritrovase el paexe et dominio suo desperato et consumato et cum continua angossa e paura della ritornata a suo ultimo excidio del soprascripto illustrissimo signor.
Queste cosse volemo che tu dichiari a do fini: l'uno perchè questo passato anno dicto illustrissimo signor intendi et cognossi el vero successo de le cosse dal canto nostro e de la speranza conceputa per lui de i presidij nostri, se reputi satisfacto da nui et siane anche[147] certo in lo avenire per ogni imprexa che la soa subblimità deliberi prender.
L'è ben vero che per lo desiderio nostro vossamo (vorremmo) e judichemo sarìa più in proposito proseguir totis viribus contra l'Othoman, soa sublimità per terra, e nui nel Streto come de sopra havemo dicto, che come havemo già dicto è pessimamente conditionato, per non aspectar che cum el tempo si resumi e fortifichi, perchè vincto et estincto costui, niuna più difficultà resta ad esso eccellentissimo signor a la monarchia de tuta l'Asia. Ma quando pur sua celsitudine a la Sorìa più presto fosse disposta per parerli più facilitar et meglio disponer l'impresa nostra contra l'Othoman el qual per niente è da lassar in riposo, dichiarali anche che ad essa imprexa lui è per haver niente mancho l'armata, munition, favori et presidii nostri tuti, come de coloro che cum sua sublimità se reputemo conjuncti et uniti in partecipation de ogni fortuna.
De parte | 50 |
De non | 13 |
Non sincere | 6 |
Aggiunta proposta dai savi agli ordini.
Se per ventura tu ritrovassi el soprascripto illustrissimo signor suspexo e tardo al moversi et presertim contra l'Othoman, e le raxon già dicte de la facilità, utilità, gloria et necessità non lo persuadesse, et anche per se medesimo a l'imprexa de la Sorìa ti paresse star in dubio, perchè essendone per se incitado et volunteroxo basta che tu l'offerischi quanto de sopra havemo dicto, in tal caxo per persuaderlo e moverlo per qualche modo, facta ogni experientia de la Natolia, e non si movando, tu suadili la Sorìa reame di tante victualie, intrade e tute altre commodità inenarabile, al vincer veramente niuna difficultà, domata continuamente et desiderata per lo inimico, la qual unita ale forze del soprascripto illustrissimo signor insuperabile per se medesime, et havendo in sua disposizione el mare per mezo de l'armata nostra, per lo qual po' ricever soa sublimità ogni necessario favore e lo inimico ogni danno et ogni disconzo, come questi do superior anni per nui soli li avemo facto, cossa indubitatissima[148] è che l'Othoman in spacio brevissimo et senza difficultà convegni esser per se medesimo suppresso et extincto et quello excellentissimo signor libero dominator de tuto.
Queste cosse proponile, et sforzate de farle molto ben gustar et intender, che o per l'una o per l'altra de queste imprexe la sublimità predicta se movi, l'una vincta, l'altra è necessariamente obtenuta, e non può fallir che cussì non sia. Tutto consiste nel celere moto de quel signor, essendo tutte cosse al suo favor disposte più che mai fusseno o potesseno esser per le allegate raxon: si che venendo non gli è dubietà e difficultà alcuna, che soa celsitudine non abbia ad esser el secondo Alessandro, et lassar in simel stato la soa posterità.
De parte | 74. |
Secreta XXVI. Cornet, op. cit.
Altri punti segreti ad Ambrogio Contarini. — 1473, 11 Febbraio.
Capitulum distincte scribendum et imponendum oratori secretius una cum aliis secretioribus et non comunicandum cum regio oratore.
Se tu sentisti o nel tuo zorzer o da poi alguna practica tractamento o mention de pace o triegua fra el prefato illustrissimo signor et il signor Turcho, tu quella dessuadi et desturba quanto più tu poi, ricordando el pericolo che per tal pace e triegua po adevenir al stato del soprascripto illustrissimo signor, perchè per quelle si dà tempo e commodità a lo inimico de reassumer le forze al presente debilitate et exauste, e de offender et opprimer, dove hora po senza molta difficultà esser lui offeso et oppresso. Ricorda tuti i regni e provincie lui ha occupato, esser occupati per questi mezi de ritrovar condition de pace o triegua quando lui è stato da la parte del desavantazo come hora è, et instaurate le forze, non ha[149] servato mai fede ad alguno, et però non è da esserli dato tempo nè riposo. Ma questo è el tracto e la occasion de estinguerlo et assecurarse in perpetuo de sue avare et pericolose condition et voglie. Se veramente facta per ti ogni possibel experientia e conato de disuader et romper ogni simel practica, e te accorzesti l'animo del soprascripto illustrissimo signor inrevocabiliter a lo acordo esser disposto, in questo caxo perche semo certissimi che quello excellentissimo signor vorà dicto accordo cum ogni avantazo et segure condition et deturbation de la potentia de lo inimico e vorà che a lui sia restituito Trapesunda, et al Caraman et ad altri signori spogliati e cazati del stato loro, per nui tu anche ricorda e dimanda chel ne sia restituito Negroponte nostro et Argos, o almancho Negroponte non possendo obtenir tuti do, dechiarando a quello excellentissimo signor l'importantia de l'ixola predicta per le cosse da mar, la qual essendo in nostra podestà, sempre tute quelle forze maritime sono ad ogni proposito commodità et voglia de esso excellentissimo signor cum singular sua gloria et exaltation. Fa adunque quanto tu poi et sai, che venendosi a pace o accordo quello sia cum li soprascripti avantazi. Da poi facto ogni cossa, se pur pace o triegua hano necessariamente a seguir a chavo a chavo senza avantazi, procura anche che in quelle insieme cum el serenissimo signor re Ferando siamo nominati comprexi et inclusi per la parte del soprascripto exellentissimo signor, come suo confederati et partecipi cusì della guerra come de la pace e de ogni altra sorte d'acordo, insieme cum li adherenti e recomandati nostri e de chiaschun de nui. Ma questa sia l'ultima cossa che tu dimandi e cerchi, dapoi che tentato ogni cossa per ti non fosse possibel far altramente. Et se al tuo zonzer la pace per ventura fosse facta o triegua ne le qual de nuj doi non fosse sta facta mention, tu modestamente recorda la conjunction et union nostra e la nostra constantia et refuto facto de ogni pace offertane da lo inimicho e fede et speranza nostra in soa sublimità, a qual tu pregherai che in dicta pace o triegua ce vogli includer cum quanta miglior condition sia possibile, purchè cum soa sublimità in ogni condition o fortuna siamo uniti, insieme cum i nostri.
De parte | 147 |
De non | 0 |
Non sincere | 0 |
Secreta XXVI. Cornet, op. cit.
Carteggio del veneto segretario Giovanni Dario, spedito in Persia dal bailo a Costantinopoli, nel 1485.
Magnifice et generose Domine. Partecipo a Vostra Magnificenza, come ho già fatto con altra lettera che mandai al console nostro in Adrianopoli, che questa mattina fu fata porta solenne per accettar l'ambasciatore del soldano, e anche io andai per vedere cose nuove, e subito presentandomi in quel cerchio che era intorno li signori, per sua grazia mi fecero chiamare e sentare sopra uno scagno incontro di loro, arente i defterdari, e venne da mi un ambasciatore di questi Ungheri, che venne ultimamente con una bella compagnia alla quale mandarono un tappeto fuora del pavion. E poi per buon spazio cominciarono a venire li presenti del sultano, e fu in prima: un animale grande come un lion con varie macchie, negro del capo fino alla coda, che era una terribilità a vederlo; di poi vennero sei corsieri bellissimi, el primo con una sella e briglia d'oro e con barda di lame all'azimesca, e i altri corsieri poi disfornidi. Drio vennero tre cammelli corridori con tre selle e cossinelli di panno di seta, e coverte a lor modo; e drio di questi vennero presenti minudi: tre pappagalli bellissimi con gabbie, e quattro garzoni eunuchi neri, e due spade fornide e quattro disfornie. Doi mazze di ferro bellissime, doi accette con la cima un suo fornimento, elmi, brochieri di azzal, e drio questo furono molte selle, sanibaffi, centure, lizari, panni di seda che in verità a doi pezze per uomo erano più di ottanta per sorte che le portavano. Dietro li presenti venne l'ambasciatore con una berretta in testa e una veste damaschina verde e le maniche di ricamo d'oro, e tutta la sua schiena fino in terra era coperta di zibellini. E subito ch'el se appresentò in quel cerchio li signori uscirono dal pavione con loro seguito e li andarono incontro; dopo la salutatione lo menarono sotto il pavione, ed essendo di sotto il Daut bassà, ed in mezzo agli altri sentati, e ragionando per buon pezzo furono chiamati dal signore e andarono[151] li tre bassà con l'ambasciatore e quel suo dottor grande che venne di Costantinopoli. Et entradi dal signore, stettero manco de un quarto d'ora ed escirono fuori, e tornarono a sentare sotto il pavione, e portarono fuori un gran rotolo di scritture, le quali fecero tagliare, e le lesse il dottor grande, e fu lunghissima lettura.
Da poi letto, portarono il desinare e messe molte vivande davanti li bassà e altri che sentavano con loro. Da poi il desinare fu messo avanti li defterdari e da poi furono messi otto piatti di porcellana avanti di me con diverse cose. E chiamato lo ambasciatore unghero, sedette sotto di me e mangiassimo di quel che vi era cadauno. Levati i piatti vennero i deputati e dissero all'ambasciatore unghero ch'el tornasse fora al suo primo luogo, e così fece, ed ebbe del sole quanto ne ha voluto, ed io rimasi sopra il mio scagno, ed ogni uomo ha giudicato che la persona mia sia stata molto onorata in questa giornata alla corte. E Dio sia di tutto ringraziato.
Domani si dice che anderà l'ambasciatore d'India, ed io faccio conto di riposare. Ma Luca Sofrano, portadore di questa è stato alla presente solennitade. Di nuovo el sarà anche a quella di domani, e narrerà tutto alla Magnificenza Vostra e tuorrà a mi la fadiga de scriver, che in verità stando scomodo come sto, con grandissimo caldo sotto di questo padiglione non mi vien voglia di far niente di ben, nè mai in vita mia ho visto più strano solazzo di questo che non avevo pur aqua fresca da bere. Ricevo per altro grandissima cortesia, ma ritardi e struzi inesplicabili, avendo anche alle spalle gli ambasciatori di tre città e se ne aspettano degli altri, e ognuno vorria essere spacciato dal dire e fare le cose sue. E questa corte contrapesa, e con tanti ambasciatori è occupatissima. Io peno di mezzo, e in verità, come altre fiate ho scritto, non bisogneria metter tanta carne al fuoco, nè creder ad un giovine che non sa niente e che ha riferido cosa non vera e poste le cose nostre in pericolo. Prego Dio me dia grazia che possa riescir con onore e alla Magnificenza Vostra mi raccomando.
Dat. in Kasbin in Persia, li 10 luglio 1485.
Archivio Cicogna, cod. MDCCXCVI.
Magnifice et generose domine. Hieri scrissi a Vostra Magnificenza come l'ambasciator del soldano era andato alla corte, e le cosse seguite, e mandai la lettera al detto nostro console la quale credo l'averà ben recata. Questa mattina doveva andare l'ambasciatore d'India, e io desiderava di riposare e aveva anche tolto un poco de medicina, e temporeggiando così sul mio stramazzo sentii venire un chiaus el qual me domandò da parte da questi signori sultani che io andasse a questa solennità; e così mi vestii e andai alla Porta accompagnato da quel medesimo chiaus, e presentandomi davanti il loro pavione fui chiamato e introdotto sotto, e sentai in quel scagno preparatomi secondo usanza, e dietro de mi per tre o quattro passi fora del pavione erano sentati tre di quei signori ungheri, e dietro di loro due servitori, e avevano del sole quanto volevano. Dopo buon pezzo venne l'ambasciatore indiano, il quale fu accettato honoratamente e sentò sotto Daut in mezzo delli altri signori; e averte le casse delli presenti li sultani hanno voluto vedere el pugnal e la cima che venivano presentate al signore, e portate avanti di loro, mi chiamarono che anch'io andassi a vedere, e sentando avanti di loro, me fu messo in mano, et era la vagina tutta d'oro, e la guardia di fora di rubini, cioè in mezzo vi erano 22 grossi rubini, e dalle bande rubinetti piccoli, ed in alcuni luoghi qualche turchese, e nella cima della vaina una perla grossa; e mentre vedevo et esaminavo detto pugnale furono chiamati e andorno dal signore. E la corte e tutto quel campo erano pieni d'uomini, che portavano suoi presenti e sono 2600 lizari e porcellane, code di cavalli, lanze di canna, uno bellissimo papagallo rosso ed altre gentilezze indiane, e parve miracolo a vedere in un tratto tanti presenti. E li signori sultani sentando così e vedendo me mandarono a dire, che tenissi bene a mente per fare e simile anca mi verso il signore. Et io risposi che valeva più al loro signore il buon amore dei miei signori, che non valeva tutte le cose del mondo. E così se voltarono da mi tutti insieme, e mi fecero atto che avevo risposto molto bene. Fu portato il desinare e avanti de mi solo fu portate diverse bandigioni. E alli ongheri fu dato di fuora, e mangiando quei signori, me invitarono che mangiassi, ed io lor facevo dire, che anco volevo bevere; e mangiammo molto bene e[153] appetito e allegramente, e prometto alla Magnificenza Vostra che tra quelle bandigioni vi era una minestra con sugo de limone che mi ha saputo molto buona, e di questa sola ho desinato. E dicto pasto mi fu portato in piatti di porcellana, la vivanda era buona, ma mi averìa piuttosto bevuto una tazza di vino. Partito poi l'ambasciatore indiano anch'io tolsi licenza, e me ne venni al mio alloggiamento. Ed in tutto ciò è stato presente Luca Sofrano, e potrà ragionarle distintamente. Ne me accade altro che raccomandarmi alla Magnificenza Vostra.
dat. in Castris regis Persiarum 11 luglio 1485.
Giovanni Dario.
Archivio Cicogna, cod. MDCCXCVI.
Copia di una relatione facta per dom. Costantin Laschari, stato al Charaman per nome della Signorìa Nostra, narra delle cosse del Sophì, le quali furono lette in Collegio ed in Pregadi.
Ser.mo ed ill.mo principe, et excell.mi signori, post debitas comendationes io Costantin Laschari bon servidor di questa signorìa, per obedir a quella, che dovessi diponer in scriptura zercha ale cosse imposte per Vostra Serenità de le cose del sig. Caraman de inde del sig. Sophì el qual è principe de tuta la Persia, chel ser.mo imperador Uxon Cassan dominava: et prima zonto a Tarsus che fo adì 16 marzo, subito mandai uno messo a Tauris al sig. Caraman con letere di V. S. facendoli intender tanto quanto per questa signorìa me està imposto, de lo qual sig. ebbi aviso, siccome alla S. V. io ho scrito, et subito mi partii de Tarsus per andar a trovarme con el dito sig. el qual trovai in Astankief lontan da Tauris zornate 15 con circa cavalli 300; fate le debite revisitation da parte de Vostra Serenità narandoli quanto questa signoria era disposta a darli ogni favor et ajuto contro il Turco, azò potesse esser ritornato in suo stato, de che sua sig.ª ne ricevette grandissima consolation et insieme cavalchassemo in verso Aleppo, in la qual terra stessemo insieme zorni 5, et dapoi molti consulti e rasonamenti fatti insieme la sua sig.ª deliberò mandar uno ambassador in Cypro a le exellentie[154] de quelli rectori de V. S., i qual invero i ha fato bona acoglientia al dito amb. et della promessa fatta al suo signor de artelaria et galie, che ne altra cossa desiderava questo signor; et tanto più chel signor Sophì li comesse che dovesse vegnir verso la Caramania che etiam lui li veniva drieto per metterlo in signoria, lo qual sig. Caraman et da tuta la sua zente fu certificato aver cavalcato insieme col sig. Sophì tre zornade in verso alo paexe del Turco, con tuto lo suo exercito per esser el primo per discaziar quel signor, el qual è debilissimo e no po far 5000 combattenti gente inesperta et mal in ordine in arme, et poi quanto sera in Amasia fara deliberation per qual strada debba entrar in Caramania per esser tre et quattro passi; la potentia del qual signor Sophì, è de combattenti 80m. tra a cavalo e a piedi, zente persiana di gran experientia de guerra, ben armadi de armadure per loro e per li cavali, però chel fior de armadure che son al Cayro per li schiavi se trazeno de la Persia de una cità che se chiama Siras, de che Serenissimo Principe me ho voluto ben far certo non tanto del signor Caraman quanto de tute le sue gente come etiam d'altre persone venute da Persia, che tute si acordano de questa potentia et esser cussi ben in ordine, però che andava contro la casa ottomana come heretichi dalla fede macometana, et usurpatori del stato di molti signori macometani, et che se intendeva con quella ill.ma signoria, et per lui chel dito sig. Caraman narandoli quanto per vostra Serenità li avea dechiarito; praeterea el dito signor Sophì havanti che partisse de la Persia per ogni rispeto et per tolerse davanti li occhi tutti li sospetti che poteva haver, preseno con le sue forze tuti quelli signori che erano in la Persia di nº 80 in 90, et feceli tagliar la testa e a tuti i soi figlioli fin in terzo grado, la qual cosa piasete a tutti li popoli per le gran tirannie che fevano et mazimamente ali merchadanti insuper al signor Soldano del qual non hanno niun favor; et trovandomi in Aleppo ie le vidi tornar dal Cayro con 25 cavali e andar in verso Amasia per trovarse con quello altro signor molto mal contento; et quanto questi doi signori insieme zoè d'Amasia et de Tauris con tutti li favori che possano mai aver non porano far cavali 7 in 8m; ben è vero ser.mo principe chel Gran turco avea mandato nuovo fiolo con potente hoste, chi diceva di 30 mille, chi di 40 mille, in soccorso de questi do signori che per el parlar dil signor di Caramania et de altre zente che venivano de Persia el signor Sophì con lo suo exercito gera più potente di quello che se stimava, et ben in ordine e tanto più quanto[155] l'andava per la fede contra questi eretici ottomani di poca fede, usurpadori de molto stato, et che senza alcun dubio li teniva aver vitoria. Ser.mo Principe sopra tutte le altre cosse ho voluto aver bona information de questo sig. Sophì: esso è in ordine di danari, de che de cadaun me fu certifichato aver grandissima ricchezza, prima pel il gran paese che possiede preterea aver tolto gran facultà di questi signori che ha fato morir, et esser signor di gran justizia et liberal con tutti, homo de anni 20 in 22 molto prospero, ha uno suo fradello de anni 11 in 12 lassato a Tauris, et una sorella chel prometeva darla per mojer al sig. Caraman. Questo signor Sophì è molto afezionato a questa sua setta che è una certa religione catholica a lor modo, in discordantia de la opinion del suo propheta Macometto et Omar, che fo suo discipulo, et questo Sophì aderisse ala opinion de Alì che fu pure discipol del profeta. Tamen in articulo di loro fede erano dissidenti come se pol dir fosseno al tempo di san Piero et de altri pontifici gli Ariani, che benchè cristiani, tamen erano eretici; concludo Ser.mo Principe che a juditio mio se la persona del Gran turco con potentissima hoste et lui in persona non vien a scontrarse con questo Sophì vedo in pericolo esser discaziato de la Caramania et a tempo nuovo andar più oltra. Apresso ali altri favori di questo Sophì se atrova in lo paexe del Turcho gran copia di gente di la opinion di questo Sophì, che son certo che si acosteranno a lui. Ser.mo prencipe non voglio restar con ogni debita reverentia dir che atrovandomi in Tarsus a questo mio viazo, da molti et molti subditi del signor Caraman fui certificato veramente chel fiolo del Gran turco primogenito che si trova in Caramania in la terra de Cogno, havendo suo padre mandò per lui per averlo suspeto non volse andar, anzi quando el Caraman ala prima volta venne in quel paexe el fugì e abandonò el paexe et lassò chel Caraman fesse el suo corso; et dapoi chel Caraman, per non se poder mantegnir contra la gente ottomana, e fu ritornato a la Caramania del dito locho de Cogno, el al continuo ha scrito al sig. Caraman che debba vegnir che lui è contento chel toglia el paexe el se fassa signor, et etiam el fradelo che è in Amasia ha fato la experentia per metter le man addosso. Ser.mo prencipe se la Vostra Ser.tà parlando sempre reverentemente non desprezia questo mio parlar, perche io ho gran famigliarità con questo fiolo del Turco, che avanti questa guerra el mio exercitio jera de andar marchadante in quelle parte, e più volte parlando de la Vostra Signoria me motteggiò: che se questa signorìa di Venetia vorà me ne[156] anderò a trovarla perche congosco che mio padre e miei fradeli zercha de metterme la man adosso per farme morir, aziò che dapoi come primo genito non abia reame et qualche volta ho parlato di questo in Cypro ala bona memoria di ms. Marin Malipiero. È vero Ser.mo Prencipe che questo signor è homo forte, e mandava spesse volte in Cypro per toler porchi, che lui mangiava che è contra la fede macometana, et ultimamente suo padre feze impichar sei subaschi, et molti altri signori de la sua porta che consentiva questa cossa, suplicando di summa gratia che la vostra ser.tà me debia despazar presto a cazone che possa tornar in casa mia o veramente dove me comanda vostra ser.tà; et cussi me voglia aver per riccomandato et guardar me con l'occhio di la pietà a tanti pericoli che ho corso per quest'impresa per avanti, et maximamente in questo viazo, de perder la vita et esser scortigato, et son cargo di fioli, et per queste guerre in Turchia ho avuto gran danno et romaxi povero et mendico, ala gratia di la qual come bon servitor me raccomando (scrita adì 14 octob. 1502 in Venetia) humilissimo servitor di la Sig.ª Vostra, Costantino Lascari.
Diarj Sanudo. Codd. Marciani.
Copia de una altra depositione del ditto.
Ser.mo Prencipe et domino meo, post debitas comendationes etc. Avendo io Constantin Laschari data in scriptura ala Vostra Serenità circha le cosse del signor Caraman etc. etiam del signor Sophì, me pare de voler ajonger a questa altra scriptura e voler dechiarir questo signor Sophì inimico capital de la casa otumana, la qual inamicizia è ab antico et non principia a hora, de che essendo questa religion di Sophì dal principio de la fede macometana fin a hora nel paexe di la Persia, Caramania, Turchia et per Sorìa sempre porta gran odio a questa caxa otumana, et per tenirla come eretica di la fede, ne mai ha manchà che in ogni[157] tempo questa religion de Sophì ha fato guerra a questa caxa otumana ala parte de Trapesonda et brusò quella terra di Trapesonda dove hanno castelli et qualche cità non de gran conto, niente de manco per lo suo natural sono signori et di sangue de signori. Questo signor Sophì è nato di una neza de Usuncaxan, dove con questo parentà se ha fato signor in la Persia et fatose imperador, et non senza gran fondamento è mosso ad aquistar tanto paexe, deinde haver tanto seguito de li populi, sì per esser signor natural come etiam per la gran justitia et liberalitate sua, et per esser signor de gran ricchezza. — Serenissimo Prencipe, havendo visto in sì breve tempo questo signor haver tanto prosperado me pareva cosa incredibile, e de qui è processo che ho voluto cautamente domandar a Persiani et a molte altre nation in el paexe dove son stato fin a Astankief, e di tutti universalmente son sta certificato prima la sua progenie sempre è sta signori et fioli di signori, de inde son stati sempre persone de valor. Serenissimo Prencipe ho voluto far questa dechiaration perchè da molti e molti son interrogato se questo Sophì sia propheta et persona relevata parendo le cosse miracolose, et da quelle persone che m'ha parso di qualche ingenio, io li ho risposto esser signor natural et soi antecessori el parentato de imperio de Persia, el è vero che questo Sophì se tien intro la sua fede molto cattolico; non dirò altro che ali piedi di V. S. mi raccomando suplicandola che mi voglia presto expedir et averme per racomandato per esser povero gentiluomo da Costantinopoli de casa Delascari, habitante in Cypro circha anni XX in tra li boni parentadi di quel regno, et con mojer et cargo de fioli, adì 16 octobre 1502 in Venetia.
Humil servitor de la Serenità Vostra
Costantino Laschari.
Diarii Sanudo. Codd. Marciani.
Copia de una letera del signor Sophi, mandata al serenissimo principe nostro messer Leonardo Loredano doxe de Venezia, ricevuta in Zener 1505.
Ismail Sophi soldam, che Dio fazi el suo regno eterno: al soldam de' Venitiani grande amicho nostro, che Dio fazi el so dominio perpetuo. Le lingue non potriano exprimer, nè penna potria scriver, nè intelletto potria comprender lo amor che vi portemo. Havemo gran sete e gran desiderio de veder la signoril persona vostra, speremo nella misericordia de Dio, e in quello che apre e serra il tutto, che presto se vederemo e saremo boni amici. Ve avisemo che havemo conquistà tuto el paese della Azimia con gran prosperità, e speremo nella omnipotenza de Dio che perseveremo ogni dì in mazor vittoria, perchè Dio è onnipotente et misericordioso, et nella fortezza del suo brazo speremo che haveremo victoria contro li inimici nostri.
(Questa fu translatada cussi).
Diarii Sanudo, vol. VI. Codd. marciani.
1570, 27 ottobre.
Serenissimo et Excellentissimo Domino Sciah Thamasp filii Sciah Ismail Imperatori Persarum, Atribeigian, Sirvan, Hirach, Corasan, Ghilan, et aliorum regnorum, patri victoriarum, justitiae amatori, et Regi Regum Orientalium Invictissimo.
Aloysius Mocenigo Dei Gratia Dux Venetiarum etc. salutem et honoris ac gloriae felicia incrementa:
Per quella antiqua et candida amicitia, che ha sempre tenuta e tiene la signoria nostra con la imperiale Maestà Vostra, noi havemo deliberato di mandarle un nostro ambasciator per farle intender le cose che sono scritte qui a basso; ma il conoscer che le strade[159] tutte, per le quali si può venire alla Maestà Vostra, sono guardate con gran diligenza dei Turchi, ne ha fatto ritardare, ma non mancheremo di farlo se sarà possibile. Fra tanto il sig. Dio ne ha mandato avanti un altro mezzo, che è l'onorato chogia Alì di Tauris, suddito della Maestà Vostra, il quale si attrovava in questa città con un grossissimo cavedal (capitale) et fu intrattenuto con tutta la soa roba per causa della presente guerra mossane tanto ingiustamente dal sig. Turco; ma avendo noi inteso questo esser suddito fedele di Vostra Maestà, l'abbiamo fatto metter in libertà e rilassarli tutte le robe sue, per quel singolare amor e respetto che portiamo all'imperiale Maestà Vostra. Questo chogia Alì ne ha detto che desidera tornar a casa soa, et si è contentato di portar le presenti lettere nostre per Vostra Maestà: la quale saprà che essendo noi in pace col sig. sultan Soliman passato imperatore di Costantinopoli, conservata per molti anni, morto lui il presente sig. sultan Selim suo figliuolo la confirmò con solenissimo giuramento, ma da poi senza alcuna causa ne ha rotta la detta pace et mandato contro di noi la sua armata, quale è andata per far l'impresa del regno nostro de Cipro, et ha mandato anco le genti sue de terra in Dalmatia contro le nostre città. Ma noi con la gratia de Dio havemo fatto preparazione di una grande et potente armata et de gente de piè et de cavallo; et oltre delle nostre forze li principi christiani hanno fatto preparativi per congiungersi con noi contro questo comune inimico, tanto che l'anno presente et anco quelli che veniranno si farà animosamente la guerra, et non si vorrà più la pace con questo sig. poichè si vede che el non osserva la fede; e se la Maestà Vostra imperial la qual ha forze così grande et tremende alli Turchi, con questa occasione si moverà contro di questo suo inimico, il qual non le ha mai osservato cosa che li abbi promesso, si po tener per sicuro che combattendolo noi con li altri christiani da questa parte et la Maestà Vostra dalla sua, ella potrà ricuperar quel paese che esso le ha ingiustamente occupato, e romperli quei disegni che l'ha d'andar molestando et infestando ora un principe et ora l'altro senza conservar amicitia con alcuno, se non in quanto le serve per farli star quieti sino che el combatte con un altro. Vostra Maestà è piena di prudentia et valor, e siamo certissimi che non la lascerà passar questa occasione di batter questo suo inimico: il che oltra l'obbligo grandissimo che noi li averemo, apporterà immortal gloria al suo nome, ampliazone al suo impero, et una sicurtà perpetua che questo signor non sia in qualche tempo per darli molestia, secondo che[160] per molti effetti ha mostrato di haver in animo, se ben al presente simula, di voler star in amicizia con lei, ma non aspetta altro che tempo comodo a poterlo offender, cosa che non può far ora per la guerra che ha con la cristianità. Noi dunque la pregamo a muoversi con generoso animo contro di lui, et promettemo a Vostra Maestà in fede di vero principe, che noi con li altri cristiani dal canto nostro faremo ogni sforzo per batter in mare et in terra questo universale inimico di tutti. Non saremo più lunghi, perchè confidamo che Vostra Maestà coglierà la occasione che li manda il sig. Dio, il qual pregamo che li doni felice e longa vita.
Parti Secrete; fra i nostri Codd.
1570, 30 ottobre, in Zonta.
Che al fedelissimo nodar estraordinario della cancelleria nostra
Vincenzo di Alessandri sia commesso in questa forma:
Vincenzo! Sperando noi ricever da te ottimo servitio, per l'esperienza che hai delle cose turchesche e delli dispareri che sono tra il sig. Turco et il signor Sophì, abbiamo deliberato col Consiglio nostro dei X e Zonta, di mandarti in Persia a quel serenissimo signor con lettere nostre per eccitar Sua Maestà a muoversi contro il sig. Turco; però col nome de Dio ti metterai in cammino, sollecitandolo quanto ti sarà possibile, et giunto a quel signor, dopo presentate le nostre lettere, et facta certa Sua Maestà della sincera amicitia che tenemo con lei, le dirai che avemo voluto mandarti per darle conto della guerra che con tanta ingiustizia ne ha mossa il sig. Turco, contro la sua parola et giuramento, senza che da noi gli ne sia sta data alcuna causa, del che anco li avemo dato aviso con altre lettere nostre che li saranno portate da un suo suddito. Et così le narrerai il modo tenuto da quel signor in romperne la pace, et come con tutte le sue forze da mar e da terra è venuto contro di noi, talmente che ha abbandonato tutti quei paesi di là in arbitrio e poter di Sua Maestà se non vorrà perder l'occasione;[161] poi seguirai che noi gagliardemente se difendemo et per mar et per terra: e che li altri cristiani si congiungono con noi a' danni di questo comune inimico, et che siamo per continovar la guerra: di modo che tenendolo noi travagliato da questa parte, se Sua Maestà se muoverà dalla sua, farà quei maggiori progressi che possa desiderar, sì perchè ha potentissime forze come perchè li popoli sono devoti del suo nome; et li potrai dir che essendo tu stato per molti anni in Costantinopoli, li puoi far fede del mal animo che ha quel signor contro Sua Maestà, ma che al presente lo dissimula per causa della guerra che ha contro i cristiani, temendo che quando Sua Maestà si movesse contro di lui fosse con suo grandissimo danno; et qui li pondererai come per la guerra che detto sig. Turco fece ultimamente in Ungheria si sono molto debilitate le sue forze. Con queste et altre ragioni che el sig. Dio te metterà avanti, procurerai di eccittare Sua Maestà a rompere col sig. Turco, promettendoli sempre che noi da questa parte faremo gagliardemente la guerra insieme colli altri cristiani: e le dirai che ella non può aver maggior occasione di aquistarsi oltre la ampliazione del suo imperio un nome immortale, e di obbligarsi in perpetuo la Signoria Nostra con tutta la cristianità. Questo negotio se non potrai trattarlo con Sua Maestà, lo farai col suo primo ministro, facendogli intender che con prima occasione se mostreremo gratissimi del favor che ne haverà fatto Sua Maestà; e ne escuserai se non avemo mandato li onorati presenti che si convengono et a Sua Maestà Imp. et a Sua Magnificentia: perchè hai convenuto andar incognito et senza impedimento per poter liberamente passar per li paesi del sig. Turco, et procurerai di avere la resoluzione et risposta alle nostre lettere, con la quale te ne ritornerai a noi.
Ti abbiam fatto dar per le spese del viaggio de andata et ritorno ducati 1200 delli quali non sei obbligato mostrar conto alcuno.
De parte | 21 |
De non | 0 |
Non sinceri | 1 |
Parti secrete; ibid.
1570, 30 ottobre.
Al Serenissimo Imperator dei Persiani.
Sapendo noi quanto dispiaccia alla Maestà Vostra le cose ingiuste, e che un principe manchi di fede all'altro senza alcuna causa, havemo voluto con queste lettere e con la viva voce del fedelissimo secretario nostro Vincenzo de Alessandri apportatore di esse, far sapere a Vostra Maestà come il presente imperatore dei Turchi in Costantinopoli sultan Selim, havendo con solennissimo giuramento confirmata la pace che per molti anni ha avuta la signoria nostra con il signor suo padre: non havendo alcun rispetto de romper la sua parola, ne ha mossa la guerra con mandar la sua armata e molta gente da terra a combatter il regno nostro de Cipro, et altre genti in Albania et Dalmatia, contro le nostre città; et questo senza averne avuto pur una minima causa. Noi all'incontro havemo fatto una grande armata, e messe insieme genti da piedi e da cavallo per difendersi gagliardamente con l'ajuto di Dio, e li altri principi christiani ancora se preparano, et già il pontefice et il re di Spagna hanno congiunte le loro forze con le nostre talmente che si farà la guerra a questo comune inimico, qual non osserva fede ad alcuno; et tanto conserva l'amicitia con uno, quanto li torna a proposito per batter un altro, siccome fa al presente, che simula di esser amico di Vostra Maestà per poter combatter con noi christiani senza aver timor delle vittoriosissime armi di Vostra Maestà, ma l'animo suo è cattivo contro di lei, et quando non fosse travagliato dalle forze dei christiani cercheria di travagliar li sudditi di Vostra Maestà, la qual essendo prudentissima, et conoscendo molto bene l'animo che ha questo signor, de inimico, non manco contra di lei che contro di noi, saprà ben prender l'occasione, hora che detto signor è occupato con le sue forze in queste nostre bande, di far dalla sua parte quei acquisti che li saranno facilissimi, sì perchè il sig. Turco non potrà resistere alle potentissime forze di V. M., massimamente a questo tempo che è combattuto dalle armi christiane, sì perchè la maggior parte dei sudditi[163] di esso Turco sono devotissimi al nome della imperial Maestà Vostra. Noi con le forze degli altri principi christiani, faremo dal canto nostro una gagliarda guerra, in modo che movendosi anco la Maestà Vostra si pò esser certi da ogni parte aver vittoria, et che sarà con perpetua gloria del potentissimo suo nome, con grandezza et ampliatione del suo impero, et la Signorìa nostra insieme con tutta la cristianità resterà obbligatissima alla imperial Maestà Vostra, secondo che più ampiamente le narrerà il predetto fedelissimo secretario nostro, alle parole del qual la si degnerà prestar fede come farebbe a noi medesimi. Et li anni soi sieno longhi et felicissimi.
De parte | 21 |
De non | 0 |
Non sincere | 1 |
Parti secrete; ibid.
Serenissimo Principe, Ill.mi Signori,
A' 12 di novembre mi partii dalla corte del re di Persia, et sapendo non poter giunger in tempo di passar il mar Maggiore perchè l'inverno mi aveva sopragiunto; ed essendo informato che il Moscovita non concede il passo a niuno de lì per il suo paese che voglia passar in Polonia, nè trovandomi ben l'andar in Ormuz rispetto la lunga navigazione, ed il non esser solito di partir nave per il Portogallo prima che a mezzo marzo, resolsi fermarmi a Tauris per lasciar passare alquanto dell'inverno fin che fosse venuto tempo d'inviarmi per l'Armenia maggiore, et il paese dei Giorgiani, non potendo ritornare per la strada che io era andato, essendomi stato affermato che il bassà di Erzerum mandò dietro per me tre ciaus sino a Erivan nella Persia, li quali dimandarono a un mercante armeno se mi aveva veduto, dandogli segni dei vestimenti et persona; il qual disse non saper, ancorachè un giorno prima avesse parlato meco, nè mi conoscendo per cristiano, rispetto che nel passare d'Erzerum io era in[164] abito di armeno, et subito giunto ai confini di Persia mi vestii di altri panni alla turchesca, et ciò per correr manco pericolo di assassini da strada, i quali sono in quelle parti in grandissima quantità; in fine detto mercante mi trovò in Casbin, e mi raccontò come li ciaus si trattennero due giorni per aver qualche nuova, li quali dissero come un uomo che era al mio servigio si era trovato a Erzerum con alcuni suoi paesani, ed avendo bevuto più dell'ordinario, dissero alcune parole che diedero sospetto che io fossi italiano ed uomo pubblico; ma non essendo stati bene informati, facevano giudizio da per loro, et ragionando con altri di tal cosa dopo il mio partire fu riferito al subaschi, il quale li prese e condusse al bascià interrogandoli sopra quello che avevano ragionato. Negarono ogni cosa, furono posti in prigione, et con diligenza mandarono dietro per me, onde per fuggire così evidenti pericoli fui forzato passar per strade non usate e deserte, allontanandomi quanto più poteva da detti confini. Partii da Tauris alla fine di febbraio e passata l'Armenia maggiore entrai nelli confini dei Georgiani, mi trovai con gran quantità di soldati a cavallo che andavano ad Erivan, nel qual luoco essendomi pochi giorni trovato vidi che el sultan faceva gran preparation di genti da guerra per ordine del re; nè si sapeva così pubblicamente le cause sebben tutti dicevano esser contro Turchi.
Giunsi a Pazagan, terra dei Georgiani, nel qual loco vi era un gran moto, e si erano mezzo sollevati. Due giorni dappoi il sangiacco di Sasset sottoposto a sultan Selim mi fece chiamare e mi dimandò si sapeva in che parte l'esercito del re di Persia era per andare; io li dissi non sapere perocchè non veniva da Persia, ma dal proprio paese dei Georgiani.
Partitomi di là per condurmi al mar Maggior, entrai in deserte ed asprissime montagne, nelle quali passai estremi disagi di fame, avendomi convenuto per sei giorni nutrire di alcune radici di erbe, le quali sono come cardi selvatici, nè essendovi acque perchè erano agghiacciate, mi bisognava disfar la neve per bevere, ed aggiunto lo andar a piedi a tanti mali, et ciò perchè sopra dette non vi può passar cavalli, sì per l'altezza ed asprezza loro, come perchè non vi saria da nutrire li animali, oltre il pericolo di leoni, orsi ed altre fiere selvatiche che in esse vi sono. Giunsi coll'aiuto di Dio alla fine di marzo in Cogna città alle rive del mar Maggiore, nel qual luogo mi fermai per non essere alcun passaggio in pronto, et intesi che li christiani Circassi erano venuti con 24 vascelli, et avevano per 300 miglia di paese a marina, abbrucciato e depredato le ville e tagliate[165] le vigne dei Turchi ed ammazzato gran quantità di loro, e che avevano portate via le donne e putti e le robbe, per il che si dubitavano che bonacciato il mare non venissero sopra detta città.
Giunsero da Trebisonda sei galere armate per la guardia di quel loco, con ordine di sultan Selim di non si partire dal porto, ma guardar solamente la terra, perchè dubitava che detti Circassi non avessero cresciuto il numero di detti vascelli. Partitomi con una barca, a marina a marina giunsi a Rissa, nel qual luoco mi abbattei in un ciaus venuto da Samsum per canevi, il quale non ne avea potuto trovare per 600 miglia di paese che avea scorso più di 130 cantari, e li aveva pagati con 200 aspri il cantaro, che prima li aveva per 80, e mi disse che non era filo da poterne far per una gomena, et avea comandamento di andare in Georgia e Circassia, ma per dubio di quelli corsari, si ritornò.
Io imbarcatomi sopra il suo caramussali, mi condusse fino a Trebisonda, dal qual intesi le espedizioni e preparazioni fatte per nuova armata; disse che nella Grecia erano stati spediti ciaussi con comandamento che si facessero galere e si lavorassero a quelle scale, conforme a quello mi aveva detto il ciaus; dal qual luoco partitomi sopra una nave di Greci, giunto a Sinope, presi porto non avendo avuto vento da buttarmi al mare per passare in Europa, smontai e vidi 6 galere pronte alla vela le quali partirono due giorni dopo per Costantinopoli, essendone la settimana innanzi partitone 24 per quanto mi fu affermato dai Greci, vi erano anche due corpi di galere grosse nelle quali si lavorava, perchè nel principio non le erano state date le debite misure; essendo tirate lunghissime e datali tanta larghezza che per gran navi sarebbe stata troppa, però aspettavano da Costantinopoli un proto sì per tirar quelle a buona forma come per farne delle altre. Le maestranze sono state licenziate fino all'invernata acciò navicassero e conducessero oltracciò a Costantinopoli ed altri luochi quello bisognava, continuandosi però con ogni diligenza a condur legnami per l'anno venturo e già ne era preparata grandissima quantità; ed essendo li conduttori stentati nelle paghe, disse uno di loro all'emir che bisognava andare a farsi pagare dalli Franchi, perchè pigliando le galere ad istanza loro si affaticavano. Io innanzi al partir, per esser loro di qualche importanza, presi un poco di disegno del sito della città e del castello, e scandagliai l'acque, perchè in tre luochi vi sono porti, sei miglia lontano l'uno dall'altro, e l'uno mezzo miglio vicino alla città, nel qual si lavora le galere,[166] e li due lontani miglia cinque e mezzo. Il medesimo feci a Trebisonda avendosi due volte la nave allargata in mare per passare alle altre rive, essendo da venti contrarii ributtata, si risolse il padrone essendo sua la nave ed il carico che era vino, senza far motto ad alcuno, di tenersi a costa di terra e con buonissimo vento in tre giorni arrivammo alla bocca di Costantinopoli; nel qual luoco per buona sorte trovai nave che stava per andar al Danubio per formento, la qual si trattenne dieci giorni innanzi il partire. Li marinari andavano ogni giorno a Costantinopoli; dai quali intesi che Ulularli capitano di mare era per partire alli primi di giugno con 12 galere per guardia delli castelli, e che non aveva voluto levar spahi nè giannizzeri, ma uomini marittimi tutti con archibusi da sette spanne, perchè conosceva le forze far poco effetto contro gente armata. Non si faceva altro, giorno e notte, a Costantinopoli, che buttar di detti archibusi; nè resterò di dire alla Serenità Vostra un effetto grandissimo ed incredibile che per causa di una voce sparsa per tutte le rive del mar Maggiore, è successo: dico che sopra la moschea di S. Sofia e sopra quella di Sultaniè alla parte di Andernopoli sono comparse due croci le quali giorno e notte si vedono, per il che li cristiani da questi luochi cominciando fin a Costantinopoli tutti universalmente tengono questo per fermo, nè aspettano altro che piccola occasione per levarsi. Questa nuova è passata tanto innanzi che li Turchi medesimi la credono, esser il fine dell'impero ottomano, e che loro speran che passando ai Franchi il tributo li abbiano a lasciare nel paese.
Partitomi da Costantinopoli giunsi al Danubio, ed entrato per la bocca, chiamata san Giorgio, arrivai per mezzo la Bogdania, e dallo scrivan dell'emir intesi come Bogdan vaivoda si era ribellato, e che sultan Selim avea mandato Giano vaivoda per signor di quel paese, il quale ricercava che li sangiacchi di Silistria, Bendir e di Achirman andassero in suo ajuto perchè Bogdan era per entrar nel paese dei Polacchi. Gli fu risposto che detto soccorso non gli si poteva dare, perchè il sangiacco di Silistria avea ordine di cavalcar verso Adrianopoli e li altri di guardar li loro confini. Entrato che fu nella Bogdania vidde l'esercito di quel signore il qual poteva essere di 20m. uomini a cavallo, tutti contadini disarmati d'ogni sorta di arme da difesa con spade, mannerini, e pochi con lance, li cavalli non da guerra ma ronzini.[167]
Il giorno che giunsi a Yassy terra ove il signor fa residenza fu tagliata la testa in publico a sette gentiluomini della fazion di Bogdan vaivoda, i quali volevano la notte seguente ammazzar Giano vaivoda: però vive con gran timore, rispetto che nè da gentiluomini nè dal popolo è amato, e questo per la troppa tirannide che usa ai popoli; per il che il primo signor è al presente da ognuno desiderato, il quale se bene è qui in Polonia, si trova a sua instantia in Bogdania la fortezza di Cottin, castello in detto paese nel confine della Polonia, nè aspetta altro per entrar di nuovo contro il detto Giano che il tempo del raccolto, convenendo li villani in detto tempo levarsi dal campo per andare a tagliare i grani e far i loro altri affari. In Leopoli si faranno preparazioni grandi di guerra, e già sono ridotti infiniti signori e gentiluomini, ne si sa per che parti; et in buona grazia della Serenità Vostra mi raccomando.
Di Cracovia a XXV luglio MDLXXII.
Di Vostra Serenità
Humilissimo servitor
Vincenzo di Alessandri.
Archivio Cicogna, cod. 1762.
Relazione presentata al Consiglio dei Dieci il 24 settembre 1572 e letta l'11 ottobre da Vincenzo Alessandri, veneto legato a Thamasp re di Persia.
Dovendo io, secondo il comandamento fattomi ultimamente da Vostre Signorìe Eccellentissime, mettere in scrittura tutto quello che (oltre quanto per mie lettere ho scritto nel corso di ventun mesi passati, dal dì ch'io mi partii dai piedi di Vostra Serenità per andare in Persia, fino al mio ritorno) ho diligentemente osservato; non bisogna che s'aspettino da me, poco atto in tal professione, nè quella maniera di dire, nè quell'ordine che per avventura ricercheriano le cose che narrerò; ma che si contentino che, come meglio io potrò, e secondo che mi verranno a memoria, io le[168] esplichi in carta: essendo per dar conto delli paesi e regni che si trovano nella Persia, dell'abbondanza e mancamento di essi, della natura dei popoli, della persona del re e qualità dell'animo suo, de' suoi figliuoli, del governo, della corte, del modo ed ordinamento di consigliare e risolvere le cose di stato e d'amministrar giustizia, delle entrate e spese del regno, del numero e qualità di quei sultani, che non vuol dir altro che signori principali della milizia, ed in somma di tutto quello che mi ricorderò, o che giudicherò degno della sua notizia, rendendo certe le Signorìe Vostre Illustrissime ch'io non dirò cosa che non abbia veduta, o che da relazione di diversi uomini degni di fede non mi sia stata detta con verità.
E per cominciare dal re di Persia, Elle hanno da sapere, come questo re, nominato Tamasp, viene per linea retta da Alì, genero che fu di Maometto profeta. Fu figliolo d'Ismaele I, il padre del quale si addimandava Caider, uomo di gran bontà e dottrina, e da loro tenuto per santo, dicendo aver predetto molti anni innanzi come il figlio doveva esser re, sebbene esso Ismaele s'impadronì del regno con poco timor di Dio facendo tagliar la testa al figlio del suo re; in che sebben la fortuna gli fu favorevole e prospera, ebbe però nel corso degli anni del suo regnare molti travagli dagli imperatori Ottomani, quali al suo tempo cominciarono a metter piede nelle fortezze principali del suo regno, come fece sultano Selim padre che fu di sultano Solimano, il quale s'impadronì di Carahemit, città di grandissima importanza e abbondante di tutte le cose necessarie, popolatissima e piena di molti artefici, e posta in bellissimo sito, sì che dove prima per natura era forte, ora per industria degli Ottomani è fatta fortissima: nella quale vi si tiene un bascià di grande importanza, dependendo da detto luogo molte terre e castelli, i quali erano tutti di detto Ismaele nel paese chiamato Diarbech. Ebbe Ismaele, oltre il presente re, che fu il primogenito, tre figli, cioè Elias Mirza, Janus Mirza e Bairan Mirza. Elias fu uomo di gran valore e di grande ardire, e nel tempo che si trovò in pace col re, prese Baracan, re di Servan, e le sue città e paesi, il qual regno è grande e d'importanza, ed è alle rive del mar Caspio. Restò questo regno tutto nelle mani del re suo fratello, il qual non avendo fatto niuna grata dimostrazione per l'acquisto di tanto paese verso di lui, fu causa che se gli inimicò, e si congiunse con gli Ottomani, e con grandissimo esercito levò sultan Solimano a danni del fratello, prendendogli molti paesi e principalmente la città di Irun, allora principal fortezza di Persia, lontana da Tauris sei giornate; per la[169] qual cosa il detto re lo fece ammazzare, come fece anco di Janus Mirza, secondo fratello, dubitando che ancor egli non si sollevasse, essendo il terzo per innanzi morto di morte naturale: del quale è solo restato un figlio, il quale ha il suo stato in India; e desiderando il re dargli una delle sue figliuole, il fece chiamare; ma li popoli non vollero mai acconsentire che andasse a Casbin, dubitando che ad esso ancora non si facesse qualche dispiacere.
Li figliuoli di esso re Tamasp in tutti sono undici maschi e tre femmine, generati con diverse donne. Il primo si addimanda Codabend Mirza, di anni quarantatrè, buono, di natura quieta, nè si cura molto delle cose del mondo, contentandosi di un piccolo stato datogli dal re nel regno di Corassan; ed ha tre figli, il maggior dei quali è di età di quattordici anni, di bellissimo aspetto e di alto spirito e caramente amato dal re, sì per le sue virtù, sì per non aver dai figli altro nipote che questo. Ismael, secondo figlio, è di età di anni quaranta, di natura robusto, di altissimo animo, di gran cuore e desideroso di guerra, avendo in molte occasioni dimostrato il valor suo contro gli Ottomani, e particolarmente contra il bascià di Erzerum, poichè con poco numero di cavalli ruppe l'esercito di esso bascià, ch'era in gran numero, e se presto non si fosse ritirato, si sarebbe anco impadronito della città; e questa ritirata fu poichè Mirza Bech, primo consigliere del re, ed inimicissimo d'Ismaele, disse al re che conosceva essere nella mente di questo giovine troppo alti pensieri, avendo senza la licenza del principe radunato esercito, ed essendo entrato nel paese degli Ottomani: in tempo di pace, parendogli questi segni di poca obbedienza, mostrando anche al re alcune lettere mandate alli sultani per le provincie, invitandoli a sollevarsi alla guerra contro detti Ottomani, per il che si risolse il re, a persuasione di costui, di metterlo in castello con guardia di sultani e molti soldati, onde è già 13 anni e più che si trova prigione, e sebbene quest'anno se gli sono levate le guardie, non è però licenziato lui. Il re più volte, per gratificarlo, gli ha mandato donne bellissime, acciò che si trattenga, nè mai ha voluto assentire, dicendo che lui con pazienza sopporta l'esser prigione del principe, ma che gli saria stato di troppo gran peso vedere anco li figliuoli suoi prigioni, e che a schiavi non si convengono donne.
È il detto Ismaele sopra modo amato dal principe; ma il timore è grande vedendo esser lui ardentissimamente desiderato per signore da tutto il popolo, ancorchè li sultani mostrino essi ancora di temerlo molto per la sua troppo fiera natura. Per il che si fa giudizio,[170] che succedendo al regno, egli potria riformare gran parte dei capi della milizia, e levarsi dinanzi tanto numero di fratelli, che gli hanno occupato gran parte del regno.
Sultan Caidar Mirza, terzo figlio del principe, è di età d'anni sedici, di piccola persona, ma di bellissima faccia e franco sì nel parlare come nel conversare, e nel vestire e cavalcare attillatissimo, e soprammodo amato dal padre. Si diletta di sentir ragionare di guerra, ancorchè mostri non esser molto atto a tale esercizio, per la troppo delicata e quasi femminile sua complessione. Fa prova d'ammazzare animali colle sue proprie mani, e molte volte, ancorchè le spade siano di eccellente lama, non gli può passar la pelle, avendolo io veduto a fare di simili prove e di poi restare pieno di vergogna, ed arrossire e prendere scusa, ora che le spade non tagliavano, ora che per compassione non gli ammazzava. È di buon intelletto, e per quell'età è assai grave: mostra intendere le cose di governo, e sapere come si reggono gli altri principi del mondo. Sultan Mustafà, Emirkhan, e Gemet Mirza, sono tutti tre tra li quattordici e quindici anni: sono di buona indole, e mostrano grande ingegno; gli altri sono fra li dieci e undici anni, e stanno a Corassan ad imparar lettere, da un piccolo in poi di età di quattro anni, il quale è appresso il re, per esser secondo quell'età, accorto e molto piacevole. Le figliuole sono tutte maritate in parenti con dote di gran stati.
Il re è in età di sessantaquattro anni, e del suo imperio cinquantuno, essendo stato eletto di tredici anni. È di statura mediocre, ben formato di corpo, di faccia alquanto scura, di gran labbri e barba, ma non molto canuto, di complessione piuttosto malinconica che altrimenti, conoscendosi ciò per molti segni, ma principalmente per non essere uscito del palazzo in dieci anni pur una volta, nè a caccia, nè ad altra sorte di piaceri, il che è di molto mala soddisfazione al popolo, il quale secondo l'uso di quel paese non vedendo il suo re, non può se non con estrema difficoltà dire i suoi gravami, nè possono esser suffragati nelle cose di giustizia: per il che, giorno e notte gridano ad alta voce dinanzi alle porte del palazzo, quando cento e quando mille alla volta, che gli sia fatto giustizia, ed il re sentendo le voci comanda per l'ordinario che siano licenziati, dicendo esser nel paese li giudici deputati che faranno giustizia, non considerando che quelle querele sono contro li giudici tiranni e contro li sultani, i quali per l'ordinario stanno alla strada ad assassinare la gente, come per molti casi da me veduti e uditi mi sono accertato; e come la Serenità Vostra è per intendere.[171]
Nella città di Massinuan furono presi alcuni assassini, i quali avevano ammazzati alcuni mercanti, e toltogli le robe; i presi furono menati alla giustizia. Il giudice, venuto in luce del tradimento, si fece portare il furto, poi licenziò li delinquenti, tenendo una parte delle robe per lui, e l'altra mandando a Casbin ad alcuni sultani in presenza dei padroni di esse robe. E andando io alla corte ogni giorno, li vedevo a stracciarsi i panni, montar gridando per le mura del palazzo e dire ad alta voce al re che cosa egli faceva, e da che causavasi che egli non volesse rimediare a tanta ingiustizia. Per il che furono molte volte ben bastonati, e con le pietre fatti saltar giù dalle mura, nè mai fu loro possibile essere uditi. Oltre di questo, nella città di Tauris, sedici ladri armati con archibusi scalarono di notte il principal fondaco di quella città, il quale si chiama Kan del signore, dove vi erano da quaranta mercatanti; e sapendo i ladri che tra gli altri, Achmet celebre mercante d'Algeri si trovava buona quantità di danari contanti, ruppero le porte della camera del detto Achmet, e lo ammazzarono, pigliando trenta tomani, che fanno sei mila scudi, oltre alcune verghe d'argento e altre robe; ed essendosi mossi li mercanti per la difesa del fondaco, furono colle archibugiate fatti ritirare nelle stanze. Pochi giorni dopo, vicino alla casa dove io ero, fu dalli medesimi ladri, la notte con lanterne, assaltata la casa di un Armeno, e toltigli quattro colli di seta, e per quello si disse fu veduta la detta seta in casa del sultano di Tauris; e sebbene di tutte queste cose se ne siano fatte querele alla corte e trovati li ladri, non si è perciò proceduto per via di giustizia contra di loro, mostrando il re di non curarsene punto. Oltre di questo, un mercante Turco, chiamato Kara Seraferin, usato anco a venire in Venezia, essendo in Casbin in un fondaco, ed avendo inteso i Kurdi, i quali sono quelli che guardano la persona del re, essere detto mercante ricchissimo, presero occasione di fargli un pasto, e trattenerlo tanto, che li compagni, li quali aveano tolta una bottega affitto contigua a detto fondaco, ruppero il muro, ed entrorno dentro, e gli rubarono dodici mila ducati contanti. Il detto mercante tornato alla stanza subito si avvide del fatto, ed andò alla porta del palazzo, ed avendo amicizia di molti sultani, fu introdotto dal re; e querelando i detti Kurdi che lo avevano invitato, come consapevoli di questo fatto, il re fece chiamar li Kurdi, li quali negorno; ed instando il mercante che fossero messi in prigione, e preso il loro costituto separatamente, il re disse che l'averia fatto per contentarlo, ma caso che detti colpevoli non avessero confessato,[172] avria poi fatto tagliar la testa a lui; il quale, di ciò dubitando, non volle altrimenti continuare l'espedizione della causa. Ma pochi giorni dopo, coll'occasione di un giovine avendo scoperto come detti Kurdi avevano fatto il furto, fece il mercante esaminare li testimoni per il giudice della città di Casbin, e presentò il loro detto al re con quattrocento ducati di dono, acciò fosse spedito presto da sua maestà. Il re mandò per li detti Kurdi, ai quali furono trovati li danari avendone spesi pochi, e comandò che detto denaro fosse posto nel tesoro, ordinando che il detto Cara Seraferin non gli fosse più introdotto innanzi. Questo fatto diede grandissima occasione a tutte le genti di ragionare, e di dolersi della poca giustizia del re, benchè ogni dì si veda seguire di simili effetti, curandosi egli poco di sentire i suoi sudditi per tal causa lamentarsi; ed un giorno il re disse ad un vecchio Kurdo suo buffone, quale dormiva nell'anticamera, d'aver quella notte dormito assai bene, avendolo sentito cantare; al che il buffone rispose che non sapeva che il suo canto avesse forza di addormentare sua maestà, perchè quando l'avesse saputo non averia mai aperto la bocca, acciocchè anche ella stesse svegliata a sentire li pianti e li lamenti che tutta la notte facevano li poveri suoi sudditi, per cagione degli assassinamenti fattigli per le strade e per le terre proprie, dicendo che nel libro delle querele da otto anni in qua vi eran scritte più di diecimila persone, ch'erano state ammazzate. Questo dispiacque molto al re, il quale con alterazione d'animo disse, che bisognava prima fare appiccar lui e li suoi compagni, dalli quali venivano tutti li mali, intendendo delli Kurdi; e ciò non è maraviglia perchè non gli dando le loro paghe, sono forzati andare alla strada, e fare di simili altri effetti, tanto più quanto che vedono che in materia delle cose di giustizia, come ho detto, il re non prende alcuna cura, o pensiero. Da ciò avviene che per tutto quel regno sono mal sicure le strade, e nelle case si corra anco di gran pericoli, e li giudici quasi tutti dalla forza del denaro si lasciano vincere.
Con verità si può anche dire, che mai questo re abbia avuto inclinazione alle cose della guerra, ancorchè secondo il loro termine ne discorra con eccellenza, essendo uomo di pochissimo cuore; e se pure in qualche occasione si è mostrato di entrare in campagna, non lo ha fatto perchè la natura lo invitasse, ma sforzatamente, non essendo mai stato ardito di mostrar la faccia all'inimico, anzi con infinito suo biasmo ha perso in suo tempo tanti luoghi, che fariano assai ad un gran principe. Ma quello che sopra tutto gli è piaciuto,[173] e piace al presente, sono le donne e li danari, le quali donne hanno messo tanto possesso nell'animo di questo re, che molti, non sapendo altro dire, affermano che l'abbiano affatturato, stando la maggior parte del tempo con esse ragionando, e consigliandosi con esse anche delle cose di stato, buttando figure di chiromanzia sopra le cose del mondo, scrivendo eziandio li sogni, e quando taluni vengono ad effetto, le donne gli ricordano, ch'egli è profeta di Dio; delle quali adulazioni egli ne sente grandissima contentezza, e sebbene è per natura avaro, con queste donne si può dire che sia prodigo, donandole di gioie, danari, e altre cose in gran quantità. Sogliono però esse donne, con licenza del re, alle volte uscire del serraglio, quelle però che hanno figliuoli, sotto pretesto di andarli a vedere in caso di malattia: ed io vidi uscire la madre di sultan Mustafà Mirza, il quale era alquanto indisposto, poco dopo mezzogiorno, col capo coperto con un caffetano di panno negro, cavalcando come fanno gli uomini, accompagnata da quattro schiavi e sei uomini a piedi.
Usa esso re molti elettuarj per fomentar la lussuria, ed a questo tiene gente apposta, ed a quelli che li fanno migliori dà gran premj. Suole anche dare in serbo le schiave donzelle alle sultane per non ci spendere intorno, e quando comanda che siano menate a lui, esse le ornano con gioie, ed altri ricchi ornamenti.
Ora sebbene dalle cose dette chiaramente si può conoscere l'avarizia di questo re, pure non resterò di dire alla Serenità Vostra alcuni particolari, li quali daranno maggior certezza di questo.
Manda esso re nel paese di Konducar per turbanti e boraccini, in Corassan per velluti, rasi ed altri panni di seta, ed in Aleppo per panni di lana; e di tutte queste robe fa far drappi, che dà in pagamento alli soldati, ponendogli a conto quel che vale uno, dieci. Piglia ogni sorte di presenti per piccoli che siano, nè all'incontro si cura di corrispondere; ed io vidi un vassallo del Turco venuto di Aleppo, con intenzione di farsi Persiano, il qual baciò il piede al re, e gli presentò un mulo e dodici ducati d'oro. Tolse il re li dodici ducati, e gli disse che gli restituiva il mulo, prendendo il suo nome in nota, come si suol far di quelli che vengono dal paese degli Ottomani, e mostrano tener conto de' Persi.
Di più si racconta quanto appresso: un soldato prese in tempo di guerra un figlio di un signore Usbech, uno dei maggiori nemici di questo re, il quale è di tanto seguito nei confini di Corassan, che il re è forzato di dargli quaranta tomani all'anno, che fanno ottomila ducati,[174] acciocchè non dia molestia alle carovane che vengono dalle Indie: e volendo un altro soldato donare al predetto soldato per causa di tal prigionia, un villaggio e mille ducati, che glielo desse, esso volle presentarlo al re pensando di aver maggior premio; ma egli non gli donò altro che un cavallo in ricompensa di così gran prigione.
Mostra egli è vero questo re grandissima liberalità nel dar provvisione a molti, sebbene faccia l'assegnazione in luoghi che non vengono mai pagate, se non hanno gran favori, o non fanno donativi. Libera ogni giorno per l'anima sua molte terre dalli tributi ed angarìe, ma per il più passati due o tre anni li vuol poi tutti in una volta, come ha fatto nel tempo che io mi trovava alla corte nella terra di Tulfa, abitata tutta da uomini, i quali erano stati esenti per sei anni dal tributo, ed in una volta il volse tutto del tempo passato con danno e rovina di quei poveri cristiani, oltra lo aver mandato Cariambeg maestro di casa di sultan Caidar Mirza, luogotenente del re, a riscuoter detti danari con venticinque some di drappi e scarpe da vendere: usando esso re, ogni giorno mutarsi cinque volte di vestimenti i quali sono distribuiti a quei popoli, ponendogli a conto quel che vale uno, dieci, non bisognando però che alcuno si mostri renitente a pigliare dette robe, anzi aver per grazia grande il poterne avere. Il medesimo fu fatto nel paese di Alingria, abitato tutto da Latini, sebben non usino altra lingua che turca, persiana, ed armena; i quali oggi dalli Persiani sono chiamati Franchi.
L'arcivescovo di quel luogo si chiama l'arcivescovo di Erivan, il quale due volte è venuto qui a Venezia, come dalle patenti fatteli, l'una sotto il serenissimo Girolamo Priuli di febbraio 1561, l'altra sotto il serenissimo Loredan 1569, avendole io vedute e lette per essere stato in quel luogo quarantacinque giorni, per fuggir di essere perseguitato dalli ciaussi che dal bascià di Erzerum mi furono mandati dietro.
Vende esso re spesso gioje ed altre mercanzie, comprando e vendendo con quella sottilità che faria un mediocre mercante. Egli è vero, che già sei anni egli ha fatto un effetto piuttosto magnanimo che altrimenti, avendo levato ogni sorte di dazj che si trovano nel suo regno, i quali erano i maggiori che fossero in tutto il mondo: poichè di mercanzia, od altro, di sette parti ne pigliava una, oltre quello che li ministri toglievano. Vien però affermato che di ciò furono causa alcune visioni che gli vennero in sogno, dicendo che gli[175] angioli l'avevano preso pel collo e dimandatogli se ad un re che ha nome di giusto, e che viene dalla casa di Alì, si conveniva con rovina di tante povere genti comportar dazj sì crudeli, e che però gli comandavano di liberare le genti. Si svegliò esso re pieno di paura, e comandò che per tutti li paesi del suo regno fossero levati li dazj. Ma di questo fatto si comprende chiaramente dagli effetti, che di giorno in giorno egli pare esserne pentito, e desiderare di accumular danari con mille e mille operazioni indegne di uomo, non che di re; le quali non racconterò così particolarmente alla Serenità Vostra per non l'attediare con la lunghezza loro, sapendo che le cose antecedentemente narrate, basteranno per far conoscere l'animo suo.
Passerò perciò a parlare della sua corte, la quale è divisa veramente sotto due capi; cioè il servizio del re, e il consiglio di stato.
Il servizio del re è diviso in tre sorte di gente; in donne, in figliuoli di sultani, e in schiavi comprati dal re o avuti in doni dal caramè, che così da loro è chiamato il serraglio dove stanno le donne. È da esse servito quando dorme di dentro, e sono tutte schiave circasse e georgiane; quando dorme di fuori è servito nelli servizi bassi, come nel vestirsi e dispogliarsi, dagli schiavi, de' quali ne ha da quaranta o cinquanta. Questi tengono anche all'ordine le cose di dispensa. La terza sorte di gente che lo servono, sono nobili figli di sultani, i quali non stanno nel palazzo regio, ma vengono mattina e sera dalle loro case al servizio, e sono ora più, ora meno, ma per l'ordinario sono al numero di cento. Vien servito a vicenda da loro nel dare l'acqua alle mani, nel presentargli le scarpe, e nello andargli dietro quando cammina per li giardini.
La ricompensa che il detto re dà agli schiavi che lo servono, da quindici sino all'età di venticinque in trenta anni, sempre con le barbe rase, è l'imprestar loro, a chi trenta, a chi cinquantamila ducati, al venti per cento, a chi per dieci, ed a chi per venti anni, ricercandone egli però il frutto d'anno in anno. Essi poi prestano a sessanta e ottanta per cento ai signori della corte che stanno in aspettazione di aver dal re gradi e governi, con buone cauzioni di possessioni e stabili, e caso che quelli che hanno preso il denaro nel fine dell'anno non si compongano con quelli che l'hanno dato del capitale o del prò, senza altro protesto gli vendono le case o possessioni, nè vi è altro rimedio a riaverle.
La ricompensa del servizio de' nobili sono i gradi della corte,[176] come centurioni e capitani alla guardia del re, e sultanati che s'intendono essere governi delle provincie. Questo è quanto appartiene al servizio della persona del re.
Il consiglio veramente è un solo nel quale non vi è altro presidente che esso re, con intervento di dodici sultani, uomini di esperienza e d'intelligenza nelle cose e governo di stato; sebbene questo numero è alternato da quei sultani che di tanto in tanto vengono alla corte, ed entrano tutti in consiglio ogni giorno, eccetto quando il re va al bagno e quando si taglia le unghie. L'ora del ridursi, sì l'estate, come lo inverno, è dalle ventidue ore in poi, e stanno ridotti secondo le materie che si trattano, fin tre, quattro, cinque, sei, e sette ore di notte. Siede il re sopra un divano non molto alto da terra, e dietro alle sue spalle siedono li figliuoli quando si trovano alla corte, alla quale ordinariamente interviene sultan Caidar Mirza, che è come luogotenente del re, nè si parte da esso. All'incontro della faccia di esso re, siedono li sultani consiglieri per età, e dalla parte destra e sinistra siedono li quattro grandi consiglieri da loro chiamati visiri. Il re propone le materie e sopra esse discorre, dimandando il parere dei sultani ad uno ad uno, e secondo che dicono le loro opinioni si levano dal loro luogo, e vengono appresso il re, e siedono, parlando con voce alta, di modo che possino essere intesi dagli altri sultani, e nel corso del ragionamento, il re, se sente qualche ragione che gli piaccia, la fa notare alli gran consiglieri e molte volte la nota di mano propria; e così a mano a mano secondo che il re chiami i Sultani vengono a dire le loro opinioni. Il re ora risolve le cose del primo consiglio, quando non ha dubbio delle materie che si trattano, ora si fa portare le ragioni di tutto il consiglio, e da lui le considera e poi si risolve. Nel numero di questi sultani del consiglio entra anco il capitano della guardia del re, che sebbene non è sultano, è però nobile, ed uscendo di quel grado entra sultano. Li gran consiglieri non hanno voce, nè ricordano cosa alcuna, se dal re non sian dimandati; li quali sebben sono onoratissimi e molto stimati, non possono però ascendere al grado di sultani, nè di altri servizj pertinenti alla guerra ancorchè fossero nobilmente nati. La carica veramente è piuttosto di genere virtuosa che nobile. Mentre che il consiglio sta ridotto ogni notte, vi stanno anco le guardie di trecento Kurdi armati, li quali, licenziato il consiglio, non si partono, ma dormono lì per guardia del re.
Parendomi aver sin qui detto a sufficienza della corte di questo[177] re, parlerò ora della grandezza del suo stato, e qual sia il modo del governo delle provincie e regni che in esso si trovano, considerando le metropoli, e come è amato esso re dai popoli abitanti nel suo paese. Confina il paese posseduto dal re di Persia da levante con l'India, ch'è tra il fiume Gange e Indo; da ponente col fiume Tigri, che divide la Persia della Mesopotamia, ora detta Diarbech, il qual fiume correndo sino alli confini di Babilonia, entra nell'Eufrate, ed uno istesso alveo corrono tutti due per Bassora, e sboccano nel mar Persico verso il mezzodì; da tramontana col mar Caspio e colla Tartaria del gran Khan del Catai.
Nel detto paese vi sono numero cinquantadue città, e le principali di esse sono: Tauris, metropoli di tutto il regno, Casbin, Erivan ed altre, le quali ad una ad una non nominerò, ma dirò solo che non ve n'è pur una in tutto il regno che sia murata, ma tutte sono aperte; le fabbriche sono bruttissime, e le case tutte di loto, cioè fango e paglia tagliata mescolata insieme, nè vi sono moschee nè altro che possa render vaghe dette città, ancorchè per l'ordinario i siti siano bellissimi. Le strade sono brutte per la quantità della polvere, e malamente vi si può andare, e conseguentemente l'inverno vi sono fanghi estremi.
Vi è grandissima abbondanza di grani per l'ordinario, ancorchè non piova se non rare volte; ma usano di condur l'acqua a bagnare i campi una settimana in una parte, ed una settimana in un'altra; ed a questo modo vengono a dar tant'acqua alle biade e vigne quanto basta. E nelle ascese, ed altri luoghi, dove le acque non ponno esser tirate, se ne servono di prateria. Vi è anco quantità grande di carnaggi, e sopra tutto di castrati, e di tutta grassezza, ed io ho veduto in Tauris più volte pesar le loro cosce dieci buttuarie, che sariano quaranta delle nostre libbre. Contuttociò sono assai care rispetto alla quantità grande che ve n'è incredibile, e tale che non pare che debba mai spedirsi, eppure si vende; e ciò avviene perchè non credo che sia nel mondo nazione che mangi più delli Persiani: essendo ordinario che tutti i vecchi non che li giovani, mangino quattro volte al giorno, e ciò per causa dell'acque, che essendo perfettissime, ajutano la digestione.
Sono li Persiani piuttosto genti povere che altrimenti. Nelle città e ville non usano molti adornamenti. Dorme ognuno in terra, e quelli che sono in qualche condizione usano lo stramazzo sopra tappeti, gli altri un feltro semplice. Le donne sono per l'ordinario tutte brutte, ma di bellissimi lineamenti e nobili cere, sebbene i loro[178] abiti non sono così attillati come quelli delle Turche. Usano però di vestire di seta, portando in testa il caffetano, lasciandosi veder la faccia a chi esse vogliono, e a chi non vogliono l'ascondono, e portano sopra la testa perle ed altre gioje; e di qui avviene, che le perle sono in gran prezzo anco a quelle parti, non essendo molto tempo che si sono cominciate ad usare.
La riverenza e l'amore che da tutto il popolo di questo regno vien portato al re, non ostante le cose già dette per le quali pare dovrebbe essere odiato, è incredibil cosa: perchè essi, non come un re, ma come Dio lo adorano, e ciò procede perch'egli viene dalla linea di Alì, loro santo principale; e quelli che si trovano in malattia o altra disgrazia, non chiamano tanto in ajuto il nome di Dio, quanto fanno il nome del re, facendo voti, o di portargli qualche dono o di venire a baciar la porta del suo palazzo, e si tien felice quella casa che può aver qualche drappo o scarpe di esso re, dell'acqua dove esso si è lavato le mani, usandola contro la febbre; per tacere altre infinite cose che si potriano dire in questo proposito. Dirò bene che non pure li popoli, ma li figliuoli stessi e sultani ordinariamente quando parlano con lui, parendogli non poter tenere epiteti convenienti a tanta altezza, gli dicono: tu sei la nostra fede, e in te crediamo. Così si osserva nelle città vicine sino a questo segno di riverenza; ma nelle ville e luoghi più lontani molti tengono che egli, oltre avere lo spirito profetico, risusciti i morti, e faccia di altri simili miracoli, dicendo che siccome Alì loro santo principale ebbe undici figli maschi, che così anco questo re ha avuto dalla maestà di Dio la medesima grazia di undici figli come Alì.
Vero è che nella città di Tauris non vi è tanta venerazione come negli altri luoghi, e per questo si dice ch'egli si sia partito di là e andato a stare a Casbin, vedendo di non essere secondo il genio suo stimato, per rispetto che la detta città è divisa in due parti, le quali si chiamano, una Kamitai, e l'altra Ermicai; nelle quali fazioni sono nove capi di sestieri, cinque in una e quattro nell'altra, dai quali dipendono tutti li cittadini. Queste fazioni per il passato erano molto discordi, ed ogni giorno si ammazzavano, nè bastava al re ed altri il rimediarvi, per esser fra esse parti discordia, ed odio antico di più di trecento anni, e certo si può dire che piuttosto essi capi di sestieri siano signori di detta città, che il re proprio. Ora sono in pace e uniti; ed a questo proposito non voglio lasciar di dire alla Serenità Vostra, che essendo nel principio della loro quaresima montate le carni un poco più del prezzo ordinario, andorno questi capi[179] al palazzo del sultano, ed ammazzorno tutti li ministri, e se il sultano avesse fatto moto alcuno, sarebbe anch'egli stato ammazzato, e per quei ministri che non si trovorno presenti, andorno li sollevati alle case loro, gettando le porte a terra, e gli ammazzarono e portorno le teste sopra il palazzo, non curando far questa operazione più di giorno che di notte, nè a ciò si può rimediare rispetto all'umor loro. Vero è che da essi non si è mai sentito che sia nata alcuna cosa inonesta contro il particolare; e solo per il passato hanno ammazzati delli sultani, per conservare una certa loro libertà ed alcuni loro privilegi antichi. E per esser detta città, come ho detto, metropoli di tutto il regno, parmi di dire alcuna altra cosa di essa.
È posta essa città per dir il tutto della medesima, sopra una gran pianura, poco lontana da alcuni monticelli, essendogli vicino un colle dove anticamente vi era un castello, come si vede dalle ruine che vi sono al circuito. Questa città ancorchè non abbia muraglia, è di quindici miglia e più, ed è in forma lunga, onde che da un luogo che si addimanda Nassar fino all'uscir della città verso Casbin, vi è quasi una piccola giornata di cammino e vi sono però infiniti giardini, e luoghi vacui. Le contrade sono quarantuna e per ogni contrada vi è un bazaro, di modo che si può dire che in ogni contrada vi sia una piccola terra abbondantissima, ma sopra tutto di cose magnative. L'aere è felicissimo, sì d'inverno come di estate. Li frutti superano di bontà e di bellezza quelli di qualsivoglia altro paese. La città è mercantile, concorrendo in essa le merci e caravane d'ogni parte del regno; ma ora il negozio della mercanzia patisce molto, rispetto alle cose della guerra che la Serenità Vostra ha con il Turco, perchè dove due colli di seta, della quale il paese è abbondantissimo, valevano quattrocento e più zecchini, si vendono meno di duegento. Le spezie che vengono per via di Ormuz, non vi è persona che le guardi, perchè il suo corso ordinario era in Aleppo; ora non vi essendo in che contrattarre, restano abbandonate da qualche parte in poi, che vengono condotte a Costantinopoli stessa, e di là in Bogdania, spargendosi per la Polonia, e di là in Danimarca, Svezia ed altri luoghi; ma sono tanto grandi le spese, che li guadagni riescono piccolissimi, se però non vi si perde; avendone fatta la prova alcuni Armeni ch'io vidi in Tauris; e tanto più si verranno a raffreddare tutti i negozi, quanto che un gentiluomo inglese addimandato il signore Tommaso da Londra, venuto in detta città con molte facoltà di pannina per via di Moscovia,[180] sotto nome di ambasciatore della regina, essendo venuto a morte, il sultano di Shirvan gl'intertenne tutte le robe, per il che li compagni ch'erano con lui convennero spendere gran quantità di danari per riaverle, sicchè per questa causa non si deve sperare che da quelle parti le faccende abbiano a continuare. Nel regno di Corassan si lavora di panni di seta, e specialmente di velluti, li quali possono stare al paragone delli genovesi e d'altri luoghi. Lavorano delli rasi e damaschi con quella bellezza e polizia che si sogliono fare in Italia e sono a buon mercato.
Nel detto paese di Persia non vi sono merci d'oro, nè d'argento, nè di rame, ma solamente di ferro; però quelli che conducono argenti di Turchia in Persia guadagnano venti per cento, e dell'oro da quaranta in cinquanta per cento, e delli rami, quando dieci e quando venti e più per cento. Vero è che vi sono gravi spese per esser proibito il portar dei metalli nel predetto paese.
Ora venendo alle forze di questo re, parmi considerar prima e principalmente l'entrate.
Ha questo re come cosa principale, contra l'ordinario di tutti li regni che sogliono cavar l'entrate loro dalli dazi, il costume di prendersi una parte delli frumenti, biade ed altre cose che produce la terra, e delle vigne e praterie si paga d'ogni mille, il valore di sessanta archi, che sono alcune loro misure, che dieci fariano la misura di un campo; di tasse, dalle case de' cristiani cava cinque per cento di tributo; in alcune parti cinque ducati per casa, e in alcune altre, sette e otto secondo la fertilità e bontà del paese. Degli animali, per ogni quaranta pecore quindici bisti all'anno, che sono tre ducati di nostra moneta, e per ogni vacca dieci bisti all'anno, che degli animali maschi non si paga. E questi sono li dazi del re e le sue entrate; le quali dicono al presente che ascendono alla somma di tre milioni d'oro.
Le spese poi ch'escono dal tesoro di sua maestà sono veramente pochissime per quanto si vede; perchè esso re non è in obbligo di pagare altro che cinquemila soldati, chiamati da loro Kurdi, che sono la guardia della sua persona, scelti fra la miglior gente e la più bella che sia in tutto quello stato; nè manco a questi dà paga in contante, ma in quel cambio dà loro vestimenta e anelli, ponendoli a quel prezzo che gli pare. Vero è che ha undici figliuoli come ho detto, e che ognuno di loro tien corte separata ed onorevole; ma non si sa quello dia loro.
Di sultani, come si è detto, sonvene da cinquanta, de' quali si[181] forma tutta la milizia di questo re, tenendo diviso in cinquanta parti lo stato suo, oltra quello che tiene lui e li suoi figliuoli, il quale non è sottoposto a cura di nessun altro. Detti sultani hanno in condotta da cinquecento fino a trecento uomini a cavallo per ciascuno, i quali separatamente cavano dalle regioni a loro assegnate, tanta entrata che possono mantenere dette genti e cavalli, e far fare le mostre spesse volte; sicchè in occasione di guerra non ha altro pensiero, che spedire alli sultani un corriere uno o due mesi innanzi, che, per esser sempre all'ordine, vengono senza difficoltà dove sono chiamati, e possono ascendere in tutti al numero di sessantamila, benchè la voce sia di molti più. Sono genti per l'ordinario di bello aspetto, robuste e ben formate, e di gran cuore, e desiderose di guerra.
Usano costoro per armi da difesa la corazza e la targa, e vi sono anco molti elmi, e da offesa la freccia e gli archibusi, il quale non vi è soldato che non l'usi; ed è ridotta quest'arte in tanta eccellenza, che quanto alla perfezione superano i loro archibusi quelli di ogni altro luogo, ed anco quanto alla tempra eccellente che gli danno: sono le canne di detti archibusi per l'ordinario sette spanne di lunghezza, e portano poco manco di tre oncie di palla, gli usano con tanta facilità, che non li impedisce punto la spada, la quale tengono attaccata all'arcione del cavallo per adoprarla quando bisogna. L'archibuso se lo accomodano dietro la schiena con tanta facilità, che l'una cosa non impedisce l'altra.
Li cavalli sono ridotti in tanta eccellenza di bellezza e di bontà che non han più bisogno di farne condur da altre parti, e questo dalla morte di sultan Bajazet in qua, perchè detto signore venne in Persia con bellissimi cavalli caramani, e cavalle arabe eccellenti, i quali furono donati nel passare; e di poi che dal presente re fu fatto ammazzare, gli restorno dieci mila tra cavalli e cavalle dalle quali è riuscita al presente una razza così bella, che gli Ottomani non ne hanno una tale. Restarono poi anche di detto Bajazet trenta pezzi di artiglieria, oltre li danari ed altre spoglie.
Oltre le forze dette, ha il re di Persia quella di aver fatto disertare li paesi verso li confini del Turco da ogni parte per sei e sette giornate di cammino, e rovinar quei castelli che v'erano, per assicurarsi sempre più da detti Ottomani, che non gli venga volontà d'impadronirsene e tenerseli.
Parendomi avere abbastanza detto a Vostra Serenità delle fortezze di questo re, parlerò ora delle pertinenze ed intelligenze che ha con gli altri principi vicini.[182]
Ha esso re pretensioni sopra li paesi toltigli dall'imperatore Ottomano, cominciando dal fiume Eufrate da quella banda sino a Babilonia, e verso ponente sopra il paese di Diarbek e Armenia minore. Ha esso re intelligenza, e da lui dipende un principe cristiano, signore de' Giorgiani, ed è suo tributario di venti mila ducati all'anno, ed ha il suo stato vicino al mar Caspio; il qual principe in occasione di guerra contra Ottomani potrebbe servire con dieci mila uomini a cavallo, tutta gente florida e valorosa.
Vi sono anco alcuni signorotti turchi, Kurdi, quali stanno sopra certe montagne tra l'Armenia minore (verso quella parte dei Giorgiani, che è posseduta dal Turco) e il mar Maggiore, sopra le quali montagne essendo io passato, ed avendo veduto io in Erivan preparazioni di genti, detti signori tenevano per fermo che fosse contra sultano Selim, onde mostravano di sentir grandissima contentezza, e facevano preparazioni per mettersi all'ordine alla guerra; ed essi tutti uniti potriano fare tre in quattro mila cavalli di rara bontà.
Ora non mi pare di dovere più tediare Vostra Serenità, massimamente avendole io con mie lettere dato conto di mano in mano del mio negoziato e del mio viaggio. Nel qual viaggio fui crudelmente battuto sotto la pianta dei piedi in Erzerum, e mille volte a pericolo di crudelissima morte, cercato da tre ciaussi di Alì pascià, di Erzerum, che mi aveva per spia; e dopo essere scampato dalle loro mani, corso in infiniti altri pericoli e disagi. In premio di che non addimando alla Serenità Vostra altro che la sua buona grazia, ed occasioni di poterla sempre servire.
L'originale fu di recente scoperto nell'archivio dei Frari dal signor Pasini. Colla scorta di quello si potè riscontrare la presente relazione, già pubblicata dall'Albèri, nel vol. II, serie III, Relazioni venete.
Dopo molte onorate et degne salutationi, che a così gran signori se li conviene, li desideramo stato felice fino al finimento del mondo. Si fa sapere all'Altezze Vostre per bocca di khan Mehemet e di Emirissè sultan nostri buoni e cari amici, come siamo pronti a quanto ne invitaste per lo passato, e più che mai continuiamo nel medesimo[183] volere, però se ancor voi siete dello stesso parere lo farete intendere. Chogia Mehemet è nostro, el quale per aver avuto amicizia in Venezia con Vincenzo che fu in Tauris, è stato introdotto in questo negotio con il mezzo di chogia Cabibulà: al quale Mehemet abbiamo commesso che con gran prestezza si debba trasferire a voi, e darvi conto che siamo in campagna con 200 mille persone, se incaminiamo verso le parti di Babilonia. Però di gratia espedirete il detto chogia Mehemet, et sano lo inviarete dandoli boni avvisi, facendo passare con segretezza.
Espositioni Principi 1580.
1580 al 1º di maggio.
Essendo tornato il Serenissimo Principe dal Gran Consiglio et ridotto nella sua anticamera, con li clarissimi messer Zuane Donato consigliere e messer Alvise Foscari capo dell'Illustrissimo Consiglio dei X, secondo l'ordine posto nell'eccellentissimo collegio, comparve il fedelissimo Vincenzo de Alessandri, nodaro ordinario della cancelleria ducal, et con lui un persiano huomo di età d'intorno alli ottanta anni, il quale appresentatosi molto humilmente a S. Serenità espose la sua ambasciata, e diede due lettere una scritta in persiano e l'altra in turco, la prima fu letta da esso persiano, la seconda dal predetto Alessandri, et perchè nelle espositione e nelle lettere erano molti particolari che difficilmente si sariano potuti raccordare per poterli mettere in scrittura comodamente, fu posto ordine che questo si facesse in casa del predetto Alessandri, dove si poteva andare sicuramente, per essere la sua casa posta in tale luogo che non si saria veduto da alcuno; et così alli tre del medesimo ridotti noi Antonio Milledonne, e Domenico Vico segretari et humilissimi servitori di Vostra Serenità alla casa suddetta alle ore 10, ritrovassimo il suddetto persiano che aspettava, al quale facessimo dire per il detto Alessandri che S. Serenità gli faceva intendere che se aveva bisogno di qualche favore, se lo faria prontamente; qual rispose « come haverei io ardimento di dimandare alcuna cosa, essendo suo schiavo? » Si passò poi a dire che[184] essendo stato grato a S. Serenità quanto esso le aveva esposto, et però desiderando di averlo in scrittura eravamo venuti qui per udirlo un'altra volta da lui medesimo, che però fosse contento di dirlo a parte perchè si scriveria il tutto; il qual rispose « volontieri sta ben » et disse:
Che essendo il re di Persia in Kasbin, già sei mesi circa disse alli suoi sultani del sangue: che già qualche anno, fu a suo padre un huomo mandato da' Venetiani, et dimandò se vi fosse qualcuno che si ricordasse di quel fatto, perchè lui a quel tempo se trovava in Korassan: che però vorria, che se non lo si sapeva da loro, si mandasse in Tauris da Mehemet khan, che è principal sultan et del sangue per intendere da lui come passò la cosa. Et così fu mandato in Tauris, et Mehemet khan mandò a chiamare chogia Cabibulà che è un vecchio ed onorato mercante, che è stato altre volte a Venezia insieme a chogia Succurlà che è visir, il qual secondo il costume del regno, quando bolla le lettere le bolla con tre bolli, che è quanto il bollo del re, perchè gli altri sultani bollano con un bollo solo.
Il predetto chogia Cabibulà, essendo chiamato, portò a presentare (secondo l'uso del paese, che ognuno che è chiamato da' sultani del sangue, porta presenti) una vesta di panno, una fessa da testa, ed un gottonin, et andò al detto Mehemet khan et disse quello che il comandava. Gli domandò il sultan: se conosceva quelli che furono mandati da Venetia al re vecchio; lui rispose: cognosco. Gli dimandarno del nome, disse che non sapeva il suo nome, ma bensì che erano venuti, et che si trovava in Tauris chogia Mehemet il quale in Venezia aveva avuta cortesia da quello che fu in Tauris, che forse sapria dir il nome; et così mandarno a chiamar me che sono il sopradetto chogia Mehemet.
Io andai insieme con chogia Cabibulà, et narrai come fui preso al tempo della guerra dalla galea Trevisana, che mi tolsero in fallo per turco, se ben aveva patente del Zaguri console in Ragusa e da quei signori di Ragusa, e toltami la roba; ma che li signori venetiani mi liberarono, et fecero restituir la roba; et fu causa di questo favor, quell'huomo che fu in Tauris, et che il collegio di Venetia viste le patenti mi fece espedire. Chogia Cabibulà mi disse: che lui aveva visto quell'huomo, et che el ghe aveva insegnà la strada de ritornar a Venezia, ma che el no saveva el so nome; et che il sultan ghe lo domandava; che però se 'l savesse ghe 'l dovessi dir. Io risposi ch'el saveva, et che l'aveva nome Vincenzo, et così tolsero il nome in nota. Io trovandomi alla presentia dei sultani sopradetti, mi dissero: dapoi[185] che tu conosci quel Vincenzo e che sei stato altre volte a Venezia, volemo che tu vi torni a portarvi alcune lettere. Io dissi che sono vecchio di 78 anni, come vuol sua signorìa che vada? Non ardii di dir altro alli sultani, ma ritirato con chogia Cabibulà, mi escusai che non avria possuto per la mia età far questo viaggio; ma lui mi disse: non dir così, perchè bisogna far quello che comanda l'imperatore, e questo è il suo comandamento.
Intendendo li sultani la mia escusazione, per consolarmi et acciò potessi fare il viaggio mi concessero 20 case di una villa con li suoi terreni, et mi fecero e bollarono la patente della concession et della esenzione. Io non potei mancare di adempire il comandamento del re dettomi dalli sultani; mi messi in ordine per partire: et fu detto che dovessi fare il servizio secretissimamente.
Da poi fui chiamato et mi diedero due lettere, et mi dissero che dovessi dire alli signori di Venetia, che loro stavano nel medesimo proposito, che li mandarno a dire; ma che allora non si potè effettuar perchè viveva il re vecchio il quale haveva molte indispositioni; ma che tutti li sultani aveano giurato per Alì, che al presente non volevano deponer le armi per anni 15, fino a che non debellavano i Turchi ovvero non erano essi debellati; et che dovessi aggiungere che se li signori Veneziani, haveranno il medesimo proposito, che si continuerà ancor più lungo tempo la guerra; ma che se li mandi un segno della sua volontà: perchè noi non volemo da loro suoi eserciti, ma solamente la volontà, et che nelle sue chiese secondo la forma della sua religione faccino dire delle oration per noi; et che il re del Portogallo che comanda in Ormuz dove sta un persiano, come saria a dir bailo, aveva dato ordine che siano mandati in Persia 20000 zecchini et quel più che facesse bisogno per la guerra. Che i Turchi avevano mossa questa guerra ingiustamente, senza causa, come credono che si sappia; et però loro aveano posti in ordine li suoi eserciti, et che si erano ridotti insieme alcuni re del sangue, che sono verso la India, nominati Bairam Mirza fiol d'un fratello di Thamasp re vecchio, Sciam Mirza, Eleas Mirza, Siringuineat Mirza et sultan Caidar; che questi fanno un consiglio creato di nuovo, e che così il re li chiamò tutti e li disse: sono tre anni che questi infedeli ne molestano, bisogna far una buona risoluzione che o noi li vinciamo loro o essi ne vinca noi; et essi sultani risposero che era ben onesto, perchè li Turchi li avevano tolti molti paesi, che era vergogna che li tenessero, però bisogna armarsi e ricuperarli, perchè i Turchi avevano mancato della fede e rotti li capitoli, et che non temevano Dio, ma che osservavano[186] li loro giuramenti quanto solamente lor metteva conto. Che li sopradetti re messero insieme per aiuto del re di Persia 70 mila persone, li quali vennero per la parte delle Indie che si chiama Konducar. Che il re di Persia oltre questi, ha 80 mila persone delle sue. Che el re di Lar, qual è tributario del re di Persia e gli paga 5000 tomani (che un toman è da circa 20 scudi), questi gli ha dato 15 mila uomini a cavallo armati. Che Sanabat re dalla parte di Ghilan, ancor esso tributario, ha dato 10 mila archibusieri. Che el re di Ghilan nominato Sciempsi khan, ha dato 10 mila uomini tutti a cavallo armati; che el re di Persia ha tolto per donna una figliuola di Abdulà khan re dei Tartari. Che dei signori Georgiani fratelli, nominati uno Simon e l'altro Davit, che cristiani loro sono, il re di Persia conoscendoli valorosi ha data a Simon una sua figliuola, et lui s'è fatto persiano, restando il suo fratello cristiano; questi li danno 20 mila gentiluomini, che sono tutti cristiani.
Domandato come sapeva questi particolari, rispose: questa cosa è pubblica in Tauris, ma li sultani me l'hanno detto di bocca propria, perchè lo riferisca alli signori Venetiani, et mi hanno anco detto come è distribuito l'esercito; et poi disse da se: mi meraviglio che tu mi dimandi queste cose, perchè l'armata che è a Venezia no se sala a Padova e in tutte queste bande? Questo non è un pomo che se tegna ascoso. Gli fu detto che non si meravigliasse se ghe vien domandato qualche cosa, perchè si fa per poter chiarir meglio il tutto, e non perchè non si creda quello che lui dice; rispose che questo non importava niente, e gli fu detto che dicesse la divisione dell'esercito.
Disse che 50 mila persone erano sotto la custodia di Bairam Mirza, verso la parte di Babilonia, il quale è andato per guardar et rovinar quel paese: che altri 50 mila erano sotto la custodia del fiol di Sciam Mirza, el quale è andato nel paese di Soresul et ha preso quel bascià et ammazzato con ruina di quelle genti de' quali ne furono menati da 300 vivi a Kasbin. Che Beram Mirza, con 50 mila ancor esso è andato contro Ustret bascià verso Van; et che el resto dell'esercito è rimasto col re; dicendo che el se haveva scordato dire che el fiol del re nominato Emir khan Mirza con Jocmat sultan, et gran parte delle genti erano all'incontro de Mustafà. Che quel fiol del re è generale dell'esercito, et quello che sostenta la guerra. Dimandato del nome del re di Persia rispose: Koda-Bendè. Dimandato se questo successe immediato al padre, ovvero altri prima. Rispose. Morto Schà Thamasp una parte voleva per re sultan Caidar Mirza, che era terzo figliuolo che governava al tempo del padre, ma la maggior parte voleva[187] Ismaìl el secondo; onde si attacarno insieme; ma presto si sciolsero, poichè fu morto Caidar et electo Ismaìl, qual fece tagliar la testa a molti sultani, che gli erano stati contrari, onde ancor lui fu assassinato. Successe poi questo che regna che è il primo figliuolo, e si trovava a Korassan, il quale è huomo di 47 anni in circa, che non si parte mai da Kasbin; ha avuto mal de occhi, ma li medici lo hanno guarito; et soggiunse: io ho pur assai cose scritte nel cuore delli successi della guerra et specialmente di Shirvan, de onde Mustafà partì nudo; ma ho paura de attediar, se volete che dica, dirò. Gli fu detto che el dica, el disse:
Che quando se intese la partita di Mustafà con l'esercito dì Costantinopoli ognuno si meravigliò per esser lui uomo vecchio, e massimamente Tocmat sultan il quale lo conosceva molto bene per essere stati ambidue a Costantinopoli. De che sorte fosse l'esercito turco non lo starò a dire perchè voi lo sapete bene; ma essendo lui partito da Esdrun verso la Persia fino ad un luogo che si chiama il Cars, il che inteso da sultan Tocmat, mandò a presentargli 160 some di risi, di meloni et altri rinfrescamenti, et li mandò un uomo suo a domandare a che effetto era venuto tanto avanti nel paese persiano, Mustafà mandò a rispondere per un suo uomo, con presente di 10 cavalli, vesti di seta, e rinfrescamenti: che l'era venuto per sottometter li Georgiani li quali erano soliti per avanti a dar tributo al sig. Turco, e par che Tocmat sultan le aveva fatto dire che el paese di Cars era il confin, et che se l'era venuto per prender quel paese, sopra ogni sasso si lasceria una testa dicendo: Cars è un luogo rovinato che divide el paese del Turco dai Persiani. Mustafà rispose che Dio guarda, ma che l'era venuto per Georgiani come di sopra. Che sultan Tocmat li fece anco dire, che lui non credeva che fosse mente del suo signor di romper li capitoli che erano fatti; perchè li giuramenti passano da un re all'altro, che questo saria con danno dell'anima dei morti, ed anco di quei che vivono; et che se lui veniva per fabbricar Cars che lo rifabbricherieno con tante teste dei Turchi.
Che lui Mustafà in Persia non poteva far cosa alcuna, ma ben che loro Persiani, passeriano nel paese dei Turchi fino a Tokat, tagliando ed abbruciando di tutto, che saria con danno non delli grandi, ma delli piccoli; che però non volevano questo cargo sull'anima; ma cha lui era servitore del suo re e Mustafà del suo, che però tra loro due combattessero e definissero le querele. Mustafà rispose con inganno el falsità, che non era venuto per il paese di Persia, onde sultan Tocmat li diede il passo, ma ben sempre tenendo[188] gli occhi aperti, et essendosi spinto avanti Mustafà fino a certa acqua che si chiama Canacaburi, che è la strada certa di andar nel Shirvan, vedendo sultan Tocmat che era ingannato, disse costui ne inganna, et esortò le sue genti et diede alla coda dell'esercito, e ne tagliò fino a 30 mille, et li tolsero parte delli cariaggi e quasi tutti i danari che aveva con lui; ma li sopraggiunsero altre genti: onde Tocmat si ritirò colla preda e Mustafà passò allo Shirvan. Tocmat sultan mandò la preda al re, et li fece intendere che Turchi avevano rotta la fede e che li sariano addosso, et che però si mettesse all'ordine. Mustafà frattanto penetrò nel paese del Shirvan, fino ad una terra che si domanda Aras, e la prese e si fermò in quel luogo 28 giorni, et per il cattivissimo aere che vi è si ammalò l'esercito, ond'ebbe maggior danno dalle infermità che non aveva avuto dalla spada. Mustafà in questo tempo mandò spioni per il paese ad intender quello che facevano i Persiani, parte dei quali spioni furono presi, et da loro intesero Persiani, che Mustafà era in Aras con parte dell'esercito, con la mortalità che ho detto di sopra, e che Osman bassà con un'altra parte era ad un'acqua in un certo sito forte. Quei spioni che non furono presi tornarono a Mustafà e li dissero che Persiani erano all'ordine per darli adosso. Onde esso consigliò Iman ed altri bassà, e disse che avendo la infermità che veniva dal cielo non si potevano effettuare i suoi disegni, che bisognava far meglio che si poteva per non perder quel paese che avevano acquistato con tanta fatica e spesa; che però Osman si valesse di 30m. persone per guardar Samachi, che è la metropoli di quel paese, e lo fece serraschiere che vuol dir capitanio-generale, et fece anco sotto di lui altri bascià, perchè l'aveva questa libertà dal gran signore di così fare; et lui se ne fuggì per la parte dei Georgiani, per un paese detto Seventberg, e per la fuga così presta davano cinque gambelli per due pani, et in questa fuga ebbero grandissimo danno dai Georgiani cristiani, non essendo ancor giunti li Persiani; e che con poche genti che non credo arrivassero a 20,000 persone si ritirò in Erzerum; che partido Mustafà sopraggiunsero Persiani, e la prima cosa che facessero ricuperarono Aras dove i Turchi avevano fatto un castello di frasche e fango, et postovi l'artilleria; ammazzarono il bassà detto Caidar e le genti et tolsero l'artilleria in numero di 200 pezzi, e la mandorno al re, poi andarono a Samachi e lo circumdarono tutto, ma sopraggiunse in aiuto dei Turchi 8000 tartari per via di Caffa, il che intendendo i Persiani, una parte si levò dall'assedio et andò ad incontrarli;[189] ed in questo tempo Osman bassa, fuggì da Samachi; i Tartari furono tutti tagliati a pezzi, ed esso Osman si salvò in un castello dei Circassi detto Derbent, dopo la fuga del quale i sultani entrarono per tutte terre a man salva et ritornarono in tutti li suoi governi, avendo ritrovato anco in Samachi artiglieria, e preso tutto l'aver di Osman; et questo fu al fin dell'anno. L'anno seguente Mustafà rinforzò l'esercito al numero per quanto si diceva di 250 mille persone, e conoscendo il danno che aveva avuto in Persia, cercò di ricuperare in qualche modo, e si avviò a Cars per fabbricarlo, dove venne anco l'esercito dei Persiani, et combatterono con grande effusione di sangue da una parte e dall'altra, tanto che appena è credibile; pur Mustafà restò superiore e fabbricò il Cars. Fra questo tempo li Tartari, che sapevano che Osman era in quel castello, lo andorno a levare et si ridussero in campagna da una parte del paese di Shirvan, i quali erano al numero di 30,000. I Persiani si risolsero di mandare una parte contro li sopradetti Tartari, e l'altra parte si ritirò da Cars, et così Mustafà lo fabbricò; ma sopraggiunto l'inverno, che è molto aspro in quelle parti lo lasciò presidiato e si ritirò in Erzerum, licenziando parte dell'esercito, qual era mal satisfatto et Mustafà anco molto afflitto. Li Tartari, et li Persiani che si erano all'incontro, stavano caduno dalla sua parte sopra l'avvantaggio, fino a che venne l'inverno, il quale sopraggiunto, li Tartari che sono mezzi nudi convennero ritirarsi, con la quale occasione i Persiani ne tagliarono molti a pezzi, et Osman bassà convenne tornare a salvarsi nel castello sopradetto di Derbent. I Persiani poi, che sono più atti alla fatica che Turchi, e che non hanno bisogno di tante comodità, perchè bene spesso stanno 40 giorni con una camisa, et menano sempre con loro un caval vodo quando vanno in fazion, per averlo sempre fresco, tornarono a Cars, ma non avendo artigliere da batter, perchè quella che presero l'haveano disfatta, et fatto bagattini, non la avendo loro, nè avendo il modo di adoperarla, non potendo però prender Cars, hanno rovinato il paese intorno, che non vi è restata appena la herba, onde se vogliono soccorso bisogna lo aspettino da Erzerum, perchè adesso vi sono delle munizioni che vi lasciò Mustafà, stando tuttavia assediati dai Persiani.
Dimandato in che modo vien mantenuto tanto tempo così grande esercito, rispose: l'imperatore è molto grande ed ha tesori; ma l'esercito si vale dell'abbondanza del paese, et delli danni che fanno ai Turchi, et delli tesori che si hanno guadagnati; e poi anco quando[190] tutto manca se ne tuol ad imprestito, et quei re che ho detto di sopra tutti aiutano; et come ho detto questo è il terzo anno che li sultani hanno giurato di continuar la guerra et di non lasciar la spada per 15 anni. Dimandato quello che si intende di Mustafà, rispose che si diceva che il sig. Turco li aveva mandato sei capigi, perchè el voleva che el rendesse conto che avendogli lui persuasa la guerra et partitosi con un esercito così florido e con tanti tesori et tanta artilleria, quello che ha fatto et in che modo ha impiantato Osman bassà in quel paese di Circassia. Che Mustafà avendo inteso oltre questo che el suo signor voleva mandar un altro in luogo suo disse: che quanto alli tesori se sono andati, saranno andati del suo; et perchè l'era chiamato a Costantinopoli pregava ch'el si lasciasse ancora un anno perchè el non voleva morir d'altra spada che de' Persiani. Dimandato se in questi tempi è stata mai trattazione alcuna de pace, rispose: che essendo stato persuaso al re di Persia da Mustafà a mandar persone per trattare la pace, mandò un suo uomo in quel tempo che successe la morte di Mehemet bassà, il quale arrivò a Scutari, et fece intendere ad Achmet bassà, che el suo re a richiesta de Mustafà l'aveva mandato a dirgli, che li pareva cosa ingiusta continuare a spander tanto sangue di monsulmani: che però quando gli fosse restituito il suo passo esso leveria le offese; et questo huomo fu scacciato via dai Turchi, et che lo volevano anco offendere, et che Achmet disse che ambasciator no porta pena, onde fu scacciato via.
Fo data la lettera scritta in persiano ad esso chogia Mehemet et li fu detto che el dica chi scrive questa lettera. Rispose: Emir khan che un signore in Tauris come saria a dir vicerè, signata dal suo segretario. Gli fu poi detto che la traducesse in turco, così presala e lettala cominciò a dire:
« Molti saluti a voi, gran signori di Venetia. Quello che fu mandato da vostre altezze, chogia Cabibulà lo ha conosciuto, così noi abbiamo mandato alla vostra felicità chogia Mehemet per significarvi, come noi continuiamo nelle promesse et nella fede che dessimo, così desideramo che ancor da voi ne venga un segnale; piacendo alla Maestà di Dio, solo signor del mondo, speramo di castigar quei scellerati, nè li lasceremo per il corso di 20 anni fuori delle nostre mani, et con lasciarvi con perpetue salutazioni ».
Dimandato che el dia el giorno della lettera, rispose: che può essere da sei mesi, ma che nella lettera non si trova il tempo. La lettera in turco fu lasciata all'Alessandri, che la traduca con comodità[191][173] per esser ormai l'ora tardissima. Et fu domandato il detto Mehemet del modo con il quale aveva portate dette lettere rispose: Dopo che io baciai le mani a quei signori che mi diedero le lettere, mi messi in una carovana di 200 persone, et feci la via di Van, havendo legato le lettere nei mazzi di seta. Venni a Tokat, e da Tokat in Brussa, dove giunto trovai che le sete valevano assai, et però io le vendetti là et salvai il solo collo che aveva le lettere, et tornai a cavallo con diligenza a prenderne delle altre. Et dimandato perchè si messe a pericolo di discompiacer al re col perder tanto tempo rispose: l'ho fatto perchè li miei compagni tutti vendevano, et se non l'havessi fatto avriano detto: che vuol dir che costui non le vende, potendo avanzar tanto; e poteva entrar sospetto. Io incontrai altri che venivano per il medesimo viaggio, et comperai da loro le sete, con le quali sono venuto a Gallipoli, et da Gallipoli passato per la via di Narenta a Venezia; et disse che a Sarnizza furono aperte alquante balle di seta della carovana, per vedere se vi era alcuna cosa dentro, et non li trovarono alcuna cosa, et non havendo trovato niente gli mangiorno 20 talleri. Interrogato se ha compagni con lui, rispose che ha un figliuolo di suo fratello, et che sono 5 uomini computato il servitore; ma che nessuno nè anco suo nipote sa alcuna cosa perchè li va la sua testa. Dimandato dove sono alloggiati rispose in una corte a san Zuanne Novo nelle case di cha Zen. Dimandato se essendo la guerra in Persia lasciano andar le mercanzie su e giù rispose: a' mercanti da nessuna delle parti viene facta ingiuria nè nelle persone, nè nelle robe; et vedendo che erimo per licenziarsi si levò in piedi et fece oration, secondo il suo uso, et disse: Io son venuto qua per servitio del mio re, et prego Dio per la sua felicità et anco per la vostra; al che gli fu risposto, che se gli useria in questa città ogni cortesia et favore; et esso ringratiò che el se avesse fatto venir in questo luoco secretissimo « perchè essendo condotto in palazzo alla presentia del principe a dir quelle poche parole che dissi, me tremava le gambe ».
Espositioni Ambasciatori 1580-83.
1600, 8 giugno.
Avendo il Nores dragomano della lingua turca, fatto sapere che era giunto in questa città un Persiano con sei ovvero otto in compagnia, soggetto di stima e di molta grazia appresso quel re, e che desiderava far riverenza a S. S.tà fu dato ordine che per oggi fosse introdotto nell'ecc. Collegio dove venuto fu fatto sedere sopra gli ill.mi sig. Savj di Terraferma; ed interpretando lo stesso Nores disse il persiano: che il suo potentissimo re lo aveva mandato in questa nobilissima gran città, e commessogli di presentar le lettere sue e baciar la mano a S. S., la qual inteso questo tanto rispose: che la sua persona era ben veduta e che si sentiva piacere del suo salvo arrivo dopo così lungo viaggio, e che le lettere si riceverieno con gratissimo animo, desiderandosi ogni bene al suo signore. Replicò il Persiano che rendeva molte grazie della amorevole volontà che se gli mostrava, e che essendo il nome veneziano non solo amato, ma riverito grandemente nel suo paese, abbracciandosi e favorendosi in tutte le cose li mercanti che vi capitano, desiderava il suo signore che continuassero ad andarvi, e che all'incontro fossero protetti e favoriti quelli che venissero di là. Disse S. S. che si era ben certi dell'ottima volontà del suo re verso le cose della Repubblica, che se ne teneva molto conto con una perfetta corrispondenza e con vivo desiderio di ogni sua prosperità, onde poteva ognuno rendersi sicurissimo che li sudditi di sua maestà saranno sempre ben veduti. Allora il Persiano soggiunse: che essendo venuto con diverse robe del suo re, per contrattarne e comperarne altre in questa città, come quello che ha la cura principale di provvedere le molte cose per servigio della casa sua, desiderava due grazie: l'una che avendo bisogno per lo stesso servizio di far tingere certi panni di alcuni colori che si usano in Persia, e per quanto intende sono proibiti in Venezia, supplicava gli fosse concesso di farli tingere a modo suo, e l'altra che avendo fatta elezione di due senseri per smaltire le suddette sue robe e comprarne d'altre, desiderava che[193] questi fossero chiamati, ed ordinatoli che procedessero con diligenza e sincerità affinchè egli potesse spedirsi presto.
Il ser.mo gli rispose che desiderava fargli cosa grata, e che questi signori secondo la forma del governo sarebbero insieme, per dargli risoluzione sopra di ciò con la risposta alle lettere del suo re.
Mostrò il Persiano di restar soddisfatto, e disse che non avendo altro il suo signore da mandar in segno dell'amore che porta a questa serenissima Repubblica, le mandava a donare un panno tessuto d'oro e di velluto con figure, fatto far apposta per questo effetto.
Di che essendo stato ringraziato da Sua Serenità, egli prese licenza e partì.
Espositioni Ambasciatori.
1600, 8 giugno.
Al famoso e celeberrimo principe e signore d'alta e felice prosapia, dominatore di paesi e di provincie, amministratore della giustizia, fondatore del vero modo e forma di governo, singolare fra i principi della nazione cristiana, ornato di virtù, valor e potenza, pieno di pompe, maestà, grandezze, il famosissimo giudice e signore di Venezia, il cui fine sia prospero e felice.
Dopo li molti ed onorati saluti che si convengono alla sua dignità e grandezza, i quali se ne vengono accompagnati dalla sincera amicizia ed amore che derivano dall'intima parte dell'animo nostro desideroso di ogni suo bene, se gli fa colla presente regal lettera amichevolmente sapere: che essendo nostro desiderio e principale oggetto di conservare sempre sincera amicizia e confederata unione colli principi famosi e gran signori cristiani, ed essendo il solito dei gran re e principi per confermazione e stabilimento dell'amore ed amicizia, rinnovare bene spesso tra di essi la memoria dell'affezione e benevolenza, et visitarsi l'uno con l'altro per via di amorevoli ed amichevoli lettere, mentre che non si possi fare ciò presenzialmente[194] e colle proprie persone, valendosi anco uno dell'altro nelle sue occasioni ed occorrenze, come noi desideriamo che Ella se ne vagli di noi e conservi la nostra amicizia in quello stesso modo che conserviamo noi la sua; pertanto coll'occasione della venuta del valoroso e fidelissimo nostro uomo Efet beg agente e negoziatore della riverita nostra corte, il quale è stato spedito e mandato in quella parte per alcuni servigi della propria nostra regal persona, non abbiamo voluto restare con la presente nostra gioconda lettera di dare una mossa e scorlo alla catena che tiene fra di noi congiunto e catenato l'amore e l'amicizia, e per dar anco occasione a lei di seguitare lo stesso uso, tenendo sempre aperta la porta agli uffici e complimenti et alla comune pratica e commercio. Onde giunto che sarà il suddetto nostro onorato e stimato uomo, desideriamo che Ella sia contenta di commettere alli suoi ministri ed agenti pubblici, che dovendo egli fare alcuni servigi in quella parte di ordine e commissione nostra, vogliano detti suoi ministri ed agenti prestare ogni suo favore ed aiuto nelle sue occorrenze, acciocchè possa egli con il mezzo della protezione ed aiuto loro, spedirsi tosto delli suoi negozi, ed adempiere quel tanto che gli è stato commesso per poter poi quanto prima fare ritorno a questo paese, nel quale se occorrerà alla sua felice persona cosa alcuna, ne la farà liberamente e senza alcun rispetto sapere, che dalla benignità e munificenza nostra sarà volontieri adempito ogni suo desiderio e richiesta.
Del resto desideriamo che la felicità, grandezza e potenza sue sieno perpetue e senza fine.
Senza data. — La sottoscrizione in stampa dentro del bollo regio, con il quale è solito di bollarsi solamente le lettere che si scrive alli re e principi posta abbasso nel fine della lettera, dice prima nel capo del bollo: Dio, Maometto et Alì, et poi più abbasso in mezzo del bollo dice: serenissimo Shàh Abbas re di Persia.
E nel principo della lettera in alto è scritto con lettere d'oro; Iddio puro et altissimo.
Tradotta per me Giacomo de Nores interprete pubblico.
Filza 11, Esposizioni Principi.
1600, giugno.
Al serenissimo re di Persia.
Le lettere di V. M. portateci dal valoroso Efet beg, ne sono state per ogni rispetto molto care, e gratissimo tutto ciò che ella si è compiaciuta di significarci, per espressioni del suo cortese animo verso la nostra Repubblica, la quale avendo conservata sempre antica e sincera amicizia colla sereniss. sua corona, riceve al presente singolare contento, che dalla M. V. le sia corrisposta con queste dimostrazioni amorevoli, da noi largamente meritate, per il desiderio che tenemo di darle maggiormente a conoscere che la stessa buona amicizia resterà in ogni tempo dal nostro canto fermamente stabilita sopra un sincerissimo affetto verso di lei, et accresciuta dall'amorevole protezione dei sudditi suoi che capitano in questa città, dove sogliono essere così ben veduti e trattati, che possono loro medesimi renderle indubitato testimonio, quanto riesca a noi di consolazione, che li nostri siano all'incontro favoriti da lei, onde il commercio abbia ad ampliarsi a maggior benefizio dei comuni sudditi; ed a perfetto stabilimento della nostra buona amicizia ed intelligenza, la quale siccome già vedemo conservarsi dalla M. V. perchè con abbondanza del suo affetto chiaramente espresso in esse lettere, ha voluto complir ad un tratto a tutti gli uffici, che per la distanza del paese non possono esser tra noi molto frequenti: così la pregamo di esser certa di non dover in alcun tempo mai desiderare migliore, nè più ben disposta volontà di quella, che avremo di comprobarle in tutte le occorrenze la ottima corrispondenza del nostro sincerissimo animo; e gli anni di lei siano molti, accompagnati da continue prosperità e da ogni altro felice avvenimento.
Nella Miscellanea atti turcheschi. Arch. Gen.
Traduzione fatta da me Giacomo de Nores interprete della ser. Rep. di una lettera scritta in lingua persiana da Shàh Abbas re di Persia, portata da Fethy bei suo agente e servo. Di sopra della lettera è scritto con oro:
Dio immacolato e altissimo.
Et poi comincia di sotto.
Al famoso ed eccelso principe, e signore di alto stato, dominatore di paesi e di provincie, amministratore della giustizia, osservatore del vero modo di governo, eletto tra i principi grandi della nazione cristiana, unico tra i potenti della generazione credente il Messia, ornato di gloria onor e potenza, pieno di pompe prosperità e grandezze, il famoso ed eccelso principe di Venezia le sue grandezze durino sempre.
Dopo li onorati e sinceri saluti, che procedono dalla buona amicizia, amore ed unione d'animo, che è fra di noi, le si fa colla presente nostra real lettera amichevolmente sapere, che essendo costume del nostro reale animo di augurare sempre prosperità e grandezze alli nostri buoni amici, prima d'ogni altra cosa, preghiamo con questa nostra che le sue azioni sieno conformi alla volontà di Dio, e che abbino buon e felice fine. Da poi le dicemo che per l'inclinazione e desiderio che noi abbiamo di stabilire l'amicizia ed amore con tutti li principi grandi e signori della cristianità, ed in particolare colla sua eccelsa persona come principe famoso e potente, tenemo sempre le porte aperte a tutti quelli che vengono da quei loro paesi e massime da Venezia, i quali sono da noi ben veduti e favoriti, ed ognuno se ne ritorna contento e soddisfatto della reale cortesia e buoni trattamenti che gli si usa.
Ora dunque confidando noi che all'incontro lei ancora per la stima che fa della nostra amicizia sincera ed amore, debba fare il medesimo con li nostri, acciò che si continui tanto maggiormente la pratica ed il commercio fra li mercanti dell'una e l'altra parte, abbiamo voluto mandare ora a quel paese l'onorato agente nostro e servo nominato Fethy bei per alcune cose necessarie al nostro real servigio e specialmente per provvedere di alcune armi archibusi e zacchi fini che gli abbiamo commesso per servizio proprio[197] ed uso della nostra real corte. Pertanto desideriamo dalla sua eccelsa persona, che per amor nostro egli sia visto con occhio benigno e protetto in ogni sua occorrenza e bisogno, commettendo inoltre alli suoi onorati ministri e servi, che dovendo il suddetto Fethy bei nostro onorato servo ed agente comperare le suddette armi archibusi e zacchi di nostra commissione, debbano essi ministri prestargli ogni favore ed aiuto per trovare cose che sieno onorate e degne della nostra real persona, acciocchè ben servito di ogni cosa se ne possa egli ritornare presto alla nostra felice corte. E se all'incontro occorrerà alla sua eccelsa persona cosa alcuna, delle cose preziose che si trovano in questi paesi, ne la farà come buoni amici sapere confidentemente, che sarà adempito ogni suo desiderio e mandato tutto quello le farà di bisogno. Del resto desideriamo che osservando le condizioni dell'amicizia, voglia esser contenta di visitarci qualche volta con sue onorate lettere come faremo ancor noi colle nostre. E per fine preghiamo che le sue grandezze e prosperità e onori sieno perpetui, e con lo aiuto celeste si termini in bene ogni suo desiderio.
Senza data.
In luogo della sottoscrizione è posto al fine della lettera il sigillo grande del re qual dice: Shàh Abbas servo del miracoloso uomo Alì protettore del regno.
Iscrizioni veneziane, del Cicogna.
Tradutione della Nota del presente del re di Persia, bollata con il suo proprio bollo.
Nota del presente che si manda da parte di S. M. potentissima, al famoso et eccelso principe di Venetia con Fethy bei suo honorato servo et agente.
Un manto tessuto d'oro
Un tappeto di velluto tessuto con oro, et argento
Un panno di velluto tessuto in oro, con figure di Cristo et di sua madre Maria
Tre cavezzi tessuti in oro
Tre schietti tessuti con seta.
Esp. Principi.
1603, 6 marzo in Pregadi.
Essendo a proposito deliberare cosa alcuna intorno li strati che il serenissimo re di Persia ha mandato a donar a Sua Serenità l'anderà parte:
Che il suddetto strato qual sarà qui sottosegnato sia juxta la legge mandato alla chiesa di S. Marco. E da mo, sia commesso alli procuratori di detta chiesa che debbano far convertire le vesti in tante pianete e paramenti come loro piacerà meglio; et il tappeto sia conservato in detta chiesa da essere nei giorni solenni quando il serenissimo principe va in cappella accomodato su lo sgabello dove se inginocchia Sua Serenità:
Un manto tessuto d'oro
Un tappeto di seda tessuto d'oro, lungo braccia 4 alto 3
Un panno di seta ed oro a figure, lungo 3 braccia circa con 14 figure
Tre veste di seta ed oro a figure, lunghe braccia 2
Tre altre veste di panni di seta senza oro o figure, di lunghezza braccia 3,7 circa.
Et da mo che delli danari della Ser. Rep. siano spesi fino alla somma di ducati 100 in tanti rinfrescamenti, come parerà al collegio nostro, per presentarli parte a parte al persiano che ha portato il suddetto presente.
De si | 173 |
No | 2 |
Non sinceri | 10 |
Commemoriale XXVI.
1603, 2. settembre in Pregadi.
Al Serenissimo re di Persia.
Se ne ritorna al presente a V. M. l'onorato e valoroso agente suo Fethy Bei, espedito intieramente di tutti li negozii, per i quali fu egli inviato da lei in questa città, essendo stato gratamente veduto ed accarezzato da noi, e favorito ancora in tutto quello che ricercava il bisogno, coll'aver in particolare comandato ai nostri ministri di indirizzarlo in maniera che nella provvisione delle armi, zacchi ed archibugi a lui concessa, et a noi dalla Maestà vostra con sue lettere officiosissime raccomandata, egli ne riportasse, come fa, cose onorate et degne della sua real persona. Et ci è riescita gratissima sopramodo questa sua amorevole confidenza, la quale conosciamo derivar da una sincera affezione che vostra Maestà porta alla Repubblica nostra, per la occasione che ci ha prestata di dimostrare nella persona di questo agente l'ottima disposizione dell'animo nostro verso di Lei; il che non tralasciamo in alcun tempo di manifestare al mondo con veri effetti, usando ogni amorevole trattamento a tutti li sudditi di V. M. che capitano in questa città nostra, per corrisponder a quei cortesi termini che lei conforme alla grandezza del real animo suo usa verso li sudditi e mercanti nostri, che se ne vengono in quelle parti. Il qual mezzo è sopra ogni altro altissimo, non solo per stabilire ma stringere et augumentare maggiormente a beneficio del comune commercio quella perfetta amicizia et ottima corrispondenza, che per lunghissimo e continuato corso d'anni si è mantenuta tra quella potentissima corona e la Repubblica nostra, e che dal canto nostro sarà conservata con ogni termine di ufficio verso la serenissima sua persona. Alla quale auguriamo accrescimento di grandezza con perpetuo corso di gloria e felicità.
Et da mo: sia preso che per corrispondere all'onoratissimo presente mandato dal re di Persia per il predetto agente suo alla signoria nostra, sieno spesi delli danari del deposito per le occorrentie, dalli officiali nostri alle rason vecchie fra ducati 1300 in quelle robe[200] e gentilezze che parerà al collegio nostro per mandar a quella Maestà, insieme colle lettere pubbliche da esser consignate al predetto agente suo. Al qual sieno parimenti donate in nome della signorìa nostra tante vesti di seta di quella sorte che parerà ad esso collegio per il valor di ducati 200; ed alli 8 uomini che sono in sua compagnia sia dato una veste di panno scarlatto per cadaun, da esser dette vesti pagate colli medesimi danari del deposito per le occorrentie.
De si | 133. |
De no | 2. |
Non sinceri | 9. |
Cicogna Iscrizioni, e Delib. Senato, Arch. gen.
Al famoso ed eccelso fra i principi della nazione cristiana, eletto fra i potenti e grandi signori che vivono nella legge del Messia, dominatore di paesi e di provincie, administratore della giustizia, ornato di virtù valor e prudenza, il potentissimo Doge di Venezia, a cui il Signor Iddio aumenti lo stato e la potenza.
Dopo molti onorati saluti che si convengono alla sua dignità e grandezza, ed alla buona amicizia et amor che è fra noi, le si fa colla presente nostra real lettera amichevolmente sapere: che essendo nostro particolar desiderio di continuar sempre nella buona amicizia ed unione con tutti li principi famosi della cristianità, ed in particolare colla sua alta e felice persona, come principe giusto, savio e potente, abbiamo voluto con questa nostra regal lettera visitarla e salutarla ora di nuovo, certificandole detta buona volontà ed affezion che portiamo alle sue alte persone ed a tutta la sua eccelsa repubblica; e perchè lei sa la contesa e la guerra che vertisce ora tra noi ed il re dei Turchi, il quale facendo per ciò prender a Costantinopoli ed altrove tutti li mercanti nostri sudditi e dipendenti ha fatto confiscare le robe ed ogni altra cosa che essi portavano per uso e servizio della nostra real corte; onde essendoci levata l'occasione di poter mandare costì delli nostri proprii uomini di corte,[201] per esser impedito e vietato il passo, abbiamo determinato di mandar ora costì l'onorato fra i pari e simili suoi chogia Chieos mercante cristiano zulfatino, così per fare questo complimento a lei, come anco per fornirsi di là di alcune robe e merci che fanno bisogno per uso della nostra real corte; però desideriamo che sia da lei commesso ed ordinato alli suoi onorati ministri ed agenti che voglino per amor nostro favorirlo ed ajutarlo in ogni sua occorrenza, affinchè egli possa spedirsi presto e bene delle sue faccende, e ritornarsene qui quanto prima può con le robe che gli sono state da noi commesse ed ordinate. Con questa occasione non resteremo anco di pregarla di darci qualche avviso di questi nostri agenti che vennero già costì per nostro servizio, ed anco delle loro robbe ed effetti quello ne è successo; desiderando noi che siano da lei per pietà ajutati e favoriti in ogni luoco per amor nostro; e se all'incontro avrà bisogno anche lei di cosa alcuna in queste nostre parti ne le faccia con sue lettere confidentemente sapere come si conviene tra buoni e veri amici, che sarà da noi eseguito prontamente il suo desiderio in tutto quello che le sarà qui di bisogno; e per fine desideriamo che le sue forze e grandezze siano sempre in aumento.
Senza data — In luogo di sottoscrizione è posto nel rovescio della lettera il bollo regale che dice: Shàh Abbas servo di Alì protettore del regno.
Filza Atti turcheschi.
Serenissimo Principe,
Havendo il ser.mo re di Persia date in diversi tempi a diverse persone sete da vender quì, è avvenuto, parte pel mal governo di coloro che le avevano, e parte per altri accidenti, che si sia perduta quasi ogni cosa. Ha perciò la maestà sua espedito chogia Seffer armeno portator di queste per la ricuperazione di quanto si ritroverà di sua ragione in codeste parti. In raccomandazione di questo, ho avuto lettere efficacissime da due miei corrispondenti che si trovano in Persia, e principalmente da uno chiamato Giacomo Nava di Salò,[202] il quale viene trattenuto dal re come pieggio di un Angelo Gradenigo figliuolo di un ebreo fatto cristiano, che ebbe da S. M. circa 50 balle di seta; e qui ancora il padre di esso chogia Seffer, che è sensale nostro di casa mi ha con indicibile affetto raccomandato questo negozio, perchè dal buon esito di questo dipende tutto l'esser e la fortuna del suo figliuolo e tutta la sua. Io nondimeno ad istanza di questo non intendo molestar la Serenità Vostra, ben mi persuado che per rispetto di chi lo manda, sia per accarezzarlo e favorirlo quanto più sarà possibile, in modo che il re conosca la stima che ella fa della M. S. la quale all'incontro è tanto inclinata al nome veneziano, che qualunque dei nostri il quale si trasferisca alla sua corte ancorchè di bassissima condizione, tratta seco con tanta famigliarità e riceve tanti comodi e cortesie che più non è possibile a credere; non pure essendo egli quel gran re che è, ma ancora se fosse solamente conte di un piccol castello: onde potrebbe essere che egli si persuadesse che lo stesso dovesse fare con questo suo agente la Serenità Vostra, alla quale riverentemente ho voluto far saper questo, non perchè creda che si convenghi a lei far soverchio onore a questo chogia Seffer (il quale manco è atto a discernere e conoscere certi termini), ma solo perchè se gli mostri molto affettuosa e amorevole verso i suoi negozi; ond'egli possi ancora far testimonianza alla M. S. di avere da lei ricevuto favori e cortesie molto apparenti.
Questo re presume di se stesso molto, ben sì per la corona che egli ha della Persia, ma più ancora per gli acquisti fatti da lei, avendo sottomessi li re del Ghilan e di Lar ed impadronitosi del regno loro, e quasi del tutto disfatti li Tartari Usbecchi, ai quali ha preso la grandissima provincia del Korassan, oltre il paese ricuperato dalle mani dei Turchi fino sotto Van, e avendo ridotto alla sua devozione li principi Georgiani e buona parte dei Kurdi: crede perciò dover essere stimato dal mondo molto più dei suoi predecessori.
Per questi rispetti adunque, io per la parte mia non ho mancato ricevere con allegra fronte esso chogia Seffer ed usargli tutte le cortesie che ho saputo, ed in particolare gli ho prestati 200 e più zecchini con mio incomodo e danno, essendomi contentato di riceverli da lui costì senza niun beneficio di cambio, ancorchè egli me lo abbia offerto maggiore del corso ordinario; e di più molto prontamente ho dato ordine che sieno condotti in questa città e consegnati a suo padre e ad un altro persiano di conto, alcuni cassoni di[203] vetri che in Alessandretta si ritrovavano consegnati in cancelleria di ragione del suo re, in modo che essendo rimasti tutti questi soddisfattissimi di tanta mia prontezza, hanno fatta in Persia un'amplissima informazione della cortesia ricevuta dal console di Venezia, e della speranza che ho loro data che costì chogia Seffer sia per ricevere da Vostra Serenità molta maggiore grazia, ecc.
In Aleppo 2 settembre 1609.
Gio. Francesco Sagredo.
Presentata nel collegio il 22 gennaio 1610 da chogia Seffer colle lettere del re persiano.
Esp. Principi, Filza 18.
1609 (1610) 30 gennaio.
Venne li giorni passati il fedelissimo Giacomo Nores interprete pubblico, alle porte dell'ecc. Collegio, a dar conto dell'arrivo in questa città di un armeno suddito del serenissimo re di Persia, e della istanza che questo li aveva mandato a fare per alcuni della sua nazione, acciò lo andasse a trovare al suo alloggiamento a' ss. Apostoli in camera locante; ma non aver voluto il detto Nores muoversi senza saputa et comandamento di Sua Serenità, dalla quale disse che attenderebbe quell'ordine che le fosse piaciuto darle, che tanto egli avria puntualmente eseguito.
Li fu commesso di andare da detto armeno, e come da se, intendere ogni particolare del suo viaggio, e notar la causa della venuta sua in questa città, e di riferir poi il tutto all'ecc. Collegio.
Ritornato il Nores riferì in questa sostanza:
Io sono stato all'alloggiamento dell'armeno in ordine a quanto mi fu commesso, e mi sono abboccato con lui. Questo è giovane di 32 anni in circa, parla bene, e nelli suoi ragionamenti si mostra molto sensato e discreto; disse essere stato alquanto da figliuolo in corte del re, ed esser al presente cameriere di S. M. Che sono 10 mesi che manca di Persia; che è capitato in cristianità per via di Sorìa, dove si imbarcò sopra un vascello francese che lo condusse a Marsiglia; di là passò a Genova, a Livorno, a Fiorenza, di dove s'è poi[204] condotto in questa città. Ha lettere del re per la Serenità Vostra, e me le ha mostrate e sono senza borsa e senza sigillo, la contenenza delle quali per una breve scorsa che io ne feci è la buona amicizia di quella corona con questa Serenissima Repubblica ed il desiderio e pronta disposizione di continuarla dal canto di S. M., e che si mandò de lì questo chogia Seffer nominato suo agente, per la recuperazion di quelle robe che si trovano in questa città riportate da Sorìa, che furono condotte in quelle parti dall'agente di quel re che fu qui nelli anni passati e che nel ritorno fu dilapidato da' Turchi. Io presa occasione dalla qualità del negozio suo, giudicai a proposito, come da me considerargli, che il proprio luoco era di indirizzare le sue trattazioni non con Vostra Serenità, ma cogli ill.mi signori V Savj alla mercanzia, che è un magistrato di senatori principali al quale sono raccomandati tutti gli affari di quelle parti orientali, pertinenti ai mercanti. A che egli rispose che farebbe quanto fosse consigliato; ed aggiunse, che fornito qui il suo negozio ritornerà a Firenze, poi a Roma, quindi in Spagna, per ritornarsene in Persia da quella parte; che tiene lettere del suo re per quei principi, colle quali li esorta a muoversi contro il Turco. Ho veduto anco una lettera diretta al signor Bartolomeo del Calese scrittagli da un Giacomo Nava che si trova in Persia ed al presente è tenuto come prigione per pieggio di quell'Anzolo Gradenigo che gli anni passati ebbe una quantità di sete di ragione di quella Maestà, per contrattarle in Venezia, ed ha malmenato il capitale.
Ho anco veduto un piego di lettere dirette a questo monsignor Nuncio del Pontefice, scritte per quanto mi ha narrato esso armeno da un certo frate scalzo, che dice risiedere in Persia presso il suo re, spendendo nome e titolo di ambassadore di S. Santità, e due altre lettere scritte dal medesimo frate una al padre generale dei Carmelitani, l'altra ad un segretario del pontefice. Questi dice che al partir suo dalla corte, lasciò il re con tutti tre i suoi figliuoli a Tauris, che aveva diviso il suo esercito in due parti, e mandatane una sotto Van, con quel numero di ribelli che s'erano accostati a S. M., e si intendeva aver preso un castello vicino a Van in sito molto forte, di dove stringevano talmente quella fortezza che speravano doverle capitar presto nelle mani: che l'altra parte dell'esercito aveva il re mandato alla impresa di Babilonia, sotto il comando di un valorosissimo capitano. E questo è quanto ho potuto sottrarre del suo viaggio e del suo negozio; avendomi inoltre narrato i molti favori e cortesie che ha egli ricevuti in Aleppo dal console di Vostra Serenità, delle quali mi disse aver dato conto con sue lettere particolari alla[205] maestà del suo re, lodandosi sopra modo dei buoni trattamenti che gli erano stati usati dal predetto console.
Fu consigliato sopra la relazione del Nores nell'ecc. Collegio, e commessogli, che andato di nuovo all'armeno lo ricercasse come da se della risoluzione che aveva preso intorno il presentar la lettera del suo re, o nell'ecc. Collegio, o nel magistrato dei V Savj alla mercanzia, perchè sarebbe stato nell'una o nell'altra via gratificato.
Ed avendo il Nores fatto l'ufficio riportò questa risposta: che esso armeno avrebbe desiderato presentar la lettera a Sua Serenità, perchè altrimenti facendo, crederia commettere grande errore e mancamento, ed essere grandemente ripreso da ognuno, che essendo stato mandato in questa città con lettera del suo re, fosse egli partito senza vedere la faccia di Sua Serenità, alla quale vorria presentare esse lettere per essere da lei raccomandato alli signori V Savj.
Onde fu stabilito di deputargli l'audienza per venerdì 22 del presente e farlo seder sopra gli ill.mi signori savj di Terraferma.
Di più disse il Nores, che ragionando esso armeno, del suo viaggio gli ha narrato che l'intenzione sua era di passare da Sorìa addiritura in questa città, ma il mancamento dei passaggi lo aveva necessitato ad imbarcarsi in un vascello francese che lo condusse a Marsiglia dove prese una barca con animo di venire in questa città; ma perchè a Nizza ed a Monaco si ebbe sospetto che fosse spia, fu necessitato palesarsi essere agente del re, per non essere offeso; e continuando li tempi cattivi, fece risoluzione di licenziare la barca ed andar per terra a Genova, essendo stato accarezzato e molto ben veduto da quei signori: che di là si transferì a Livorno per barca, e da quel governatore, per sospetto pure che fosse spia, fu mandato a Fiorenza: che il segretario Vinta fu a vederlo, al quale diede conto di se e del suo viaggio, e per farsi conoscere agente del re procurò di essere ammesso alla udienza del signor granduca, ma non volendo S. A. darle audienza e riceverlo nel pubblico palazzo, gli fu fatto sapere, che dovesse in una mattina ritrovarsi in una chiesa a messa dove saria stata anche la A. S., siccome egli fece, e le diede la lettera del suo re che portava per S. A., benchè avesse disegnato di presentarla solo al suo ritorno da questa città.
Averle detto inoltre esso armeno, che li signori ambasciatori di Francia e di Spagna ed anco monsignor Nunzio, gli hanno mandato a dire che desiderano vederlo, ma che egli si è scusato per ora colle sue molte occupazioni.
Venerdì mattina venne esso chogia Seffer armeno, con quattro servitori[206] vestiti alla persiana nell'ecc. Collegio, e seduto sopra li signori savi di Terraferma, parlò in questa sostanza così interpretando il Nores:
Ringrazio l'Altissimo Iddio, che mi ha fatto degno di vederla faccia di Vostra Serenità principe giusto, savio e potentissimo, il cui nome è onorato e celelebrato per tutto l'universo, ed in particolare alla corte del mio re, il quale ama, stima ed onora per questi rispetti grandemente Vostra Serenità; e desiderando continuar nella buona amicizia amore et union di animi con questa eccelsa Repubblica, è parso a S. M. mandar me suo umile servo con una sua regal lettera, per significar a Vostra Serenità, questa buona volontà, e l'affezione grande che ab antiquo porta a questo felicissimo e potentissimo dominio.
Rispose sua Serenità: che era da rallegrarsi del giunger suo sano e salvo in questa città da così lungo viaggio: che si vedeva volontieri la persona sua per rispetto del suo potentissimo e valorosissimo re, da S. Ser. e da tutta la Repubblica grandemente amato ed osservato, col quale si conserva quella sincera amicizia e benevolenza, che per il passato si ha tenuto con quella corona; che avendo lettere di S. M. le poteva presentare, perchè si farieno leggere, ed intesa la continentia di quella, si potria forse darle a bocca qualche risposta.
Ciò detto, si levò l'armeno da sedere e accostatosi alla sedia di Sua Serenità le baciò la veste, e presentò in mano propria una lettera del clarissimo console in Aleppo, ed immediate uno dei suoi uomini presentò una scatola lunga, coperta di panno di Bursa, involta in un fazzoletto vergado, nel qual era una lettera posta in due borse una di raso sguardo, e l'altro di velluto verde, involta in un altro fazzoletto.
Ed il Nores spiegata essa lettera, la lesse ad alta voce, poi la interpretò con gran prontezza e con piena soddisfazione di tutto l'eccellentissimo Collegio.
Dopo letta essa lettera, il Serenissimo Principe ringraziò S. M. del suo amorevole ufficio, e della ottima volontà sua verso la Repubblica, dalla quale è ricambiato di vera affezione ed osservanza. Quanto al negozio disse non aver a memoria se siano venute di Sorìa in questa città robe di quell'agente di S. M., che nondimeno si chiameranno i Magistrati, e da loro si prenderà informazione, ed essendovi cosa alcuna non si mancherà di dar ordine che gli sia consegnata.
E l'armeno non replicando altro prese licenzia, accompagnato a casa dal medesimo Nores che lo aveva levato ed accompagnato al palazzo.
Registro Esp. Principi, pag. 135.
Alli famosi e celeberrimi fra i principi e signori grandi della nazione cristiana, eletti fra i più savi e nobili della generazione credente al Messia, dominatori di paesi e di province, amatori di giustizia, ornati di virtù, valor e prudenza, e pieni di gravità e di grandezza: li signori di Venezia, ai quali il sig. Dio augmenti le forze e la potenza.
Dopo molti amorevoli ed onorevoli saluti, che si convengono alla loro dignità e grandezza, ed alla buona amicizia, amor et unione d'animo che è tra noi, le si fa amichevolmente sapere, che desiderando noi di continuare con tutti li principi e signori grandi della cristianità, ed in particolare colle vostre eccelse persone, nella buona intelligenza ed unione d'animo abbiamo voluto visitarle e salutarle ora, colla presente nostra regal lettera, significandole l'amore e la affezion grande che le portiamo ed il desiderio che abbiamo di vedere le cose loro in buono e felice stato, come di signori savi, giusti e prudenti: ai quali non si resterà con questa occasione di dire anco, che avendo noi mandato già a Venezia uno delli nostri onorevoli agenti nominato chogia Fethy bei per comperare alcune cose necessarie alla nostra regal corte, il quale ritornando qui da noi con molte e diverse robe di valore, giunto che fu in Sorìa, avendo trovata la guerra principiata fra noi e il re dei Turchi, furono da quelle genti inumane dilapidate e malmenate tutte quelle robe che egli portava, eccettuando una parte di esse che fu di nuovo ritornata e rimandata a Venezia, e che si ritrova al presente siccome abbiamo inteso custodita e conservata interamente, come si conviene alla buona amicizia et amore che è fra noi. Però venendo ora costì, con questa nostra regal lettera, l'onorato fra pari e simili suoi chogia Seffer figliuolo di chogia Iadigar cristiano zulfatino, nostro fidato agente, desideramo dalle loro eccelse persone, che sieno contenti di fare consegnare tutte quelle robe che ritrovano costì di nostra ragione al suddetto chogia Seffer nostro agente, bollate ed inventariate per mano delli loro onorati ministri ed agenti, acciocchè vengano da lui condotte qui sane e sicure, insieme con tutti quelli mercanti nostri sudditi che saranno ricoverati nei loro paesi; et pertanto le pregamo a voler prestar per amor nostro ogni favore et aiuto al nostro inviato[208] nelle sue occorrenze; e se all'incontro avranno bisogno ancor essi di cosa alcuna qui nel nostro paese, ce lo faranno con loro lettere confidentemente sapere, che si adempierà volontieri il desiderio loro; e di più l'esortiamo a scriverci e visitarci spesso colle loro lettere, come si conviene a buoni e veri amici; acciocchè rinnovandosi tra noi sempre più l'amore e l'affetione, si stabilisca tanto maggiormente il fondamento della nostra amicizia.
Senza data, et senza sottoscrizione; ma nel rovescio della lettera è posto il bollo del re, qual dice: Shàh Abbas servo del miracoloso uomo Alì protettore del regno.
Tradotta per me Giacomo de Nores interprete della Serenissima Signorìa.
Esp. Principi, Filza 18.
1609 (1610) a' 17 febbraio.
Ricevo io chogia Seffer figliuolo di chogia Iadigar, armeno zulfatino, agente del serenissimo re di Persia, dall'ufficio degli eccellentissimi Cinque savi sopra la mercanzia, tutte le robe, vestimenta e merci, contenute nel seguente inventario, a cao per cao, sorte per sorte, insieme con la cassella d'argento legata con cristalli di montagna, il bacil d'argento col suo ramino, un'armatura intiera, arcobusi, zacchi et altro; come è particolarmente dichiarato nel presente inventario, et di più in contanti lire 521,12.
Io Giacomo Nores fui presente alla consignation come sopra.
Io Ismail zulfatino, testimonio della detta ricevuta.
Io Codis armeno, testimonio come sopra.
L'inventario descrive partitamente vari oggetti di vestiario, bacili, rasoi, spille, ventagli, pugnali, coltelli, forbici ed altri ferri, carta, luci di cristallo con e senza foglia, e nove quadri ad olio così indicati:
Un presepio.
Una Madonna.
Un Salvador.
Una donna nuda, che si mette la camisa.[209]
La Maddalena in ordine.
La Maddalena nuda.
La regina di Cipro.
Una donna veneziana.
Una donna a lunghi capelli, o Cassandra.
Esp. Amb. Filza 19.
1609 (1610), 30 gennaro, in Pregadì.
Al Serenissimo re di Persia.
Ci sono state per ogni rispetto molto care le lettere di V. M. portateci dall'honorato chogia Seffer armeno agente suo; et gratissimo tutto ciò che ella si è compiaciuta di significarne per espressione del suo cortese animo verso la Repubblica Nostra, la quale riceve ora singolare contento di vedere dal canto della M. V. così amorevol corrispondenza, all'antica et perfetta amicizia che tenemo con quella corona.
Et siccome ci siamo grandemente compiaciuti della presente occasione, che ci ha data V. M. di rinnovare nella sua memoria l'ottima disposizione del suo sincerissimo animo verso di lei, così in maggior dichiarazione di essa, abbiamo commesso che sieno prontamente consignate al detto chogia Seffer, il quale è stato da noi gratamente veduto ed accarezzato, quelle poche robe che furono ritornate in questa città colle nostre navi gli anni passati, quando seguì all'agente di V. M. chogia Fethy bei il mal incontro nella Sorìa, et sono state conservate esse robe di ordine nostro dal magistrato che ne ha la cura, per consegnarle a chi le poteva legittimamente ricevere per nome di V. M. La quale desideriamo che resti persuasa della prontezza che sarà sempre in noi di conservare et aumentare maggiormente con ogni termine di ufficio quella sincera amicizia et ottima corrispondenza, che per lunghissimo corso d'anni si è mantenuta tra quella potentissima corona e la Repubblica Nostra. Con che auguriamo alla valorosissima persona di V. M. accrescimento di grandezza, con perpetuo corso di gloria e di felicità.
Arch. Donà Miscell.
Il regno è di Dio.
Al famoso ed eccelso fra i principi e signori grandi della nazione cristiana, eletto fra i più sublimi e potenti della generazione vivente nella legge del Messia, dominator di paesi e di provincie, amministratore della giustizia, ornato di virtù valor e prudenza, pieno di gravità e di grandezza, il principe di Venezia, al quale l'Altissimo Dio sia propizio e favorevole.
Dopo molti onorati e sinceri saluti che si convengono alla sua dignità e grandezza, ed all'amore, amicizia ed unione d'animo che è tra noi, le si fa con questa nostra real lettera amichevolmente sapere che per grazia dell'altissimo Iddio le cose nostre passano fin quì prosperamente mediante le orazioni dei nostri buoni e sinceri amici, che con puro e sincero animo desiderano l'aumento della nostra felicità e grandezza, ed in questo onorato numero crediamo fermamente che siano tutti li principi cristiani, ed in particolare la vostra magnanima ed eccelsa persona: onde abbiamo determinato nel nostro puro e real animo che a guisa del sole non riceve in se nè macchia nè menda di cattivi pensieri, di continuar con tutti i principi ed in particolare colla sua onorata e felice persona, come principe grande, potente e giusto, nella solita buona amicizia ed unione d'animo, e tanto maggiormente quanto che per relazione di tutti li nostri agenti e dipendenti che sono stati in quelle parti e che sono ritornati qui a salvamento abbiamo con soddisfazion dell'animo nostro intesa la stima e conto che si fa in tutto il suo stato e paese della nazione e del nome persiano per amor nostro, ed anco delli buoni trattamenti e cortesie che sono stati usati così da lei come dalli ministri della sua eccelsa ed onorata corte, alli suddetti nostri agenti, i quali sono perciò ritornati alla nostra felice corte contenti e soddisfatti laudando molto la sua buona ed onorata giustizia e l'amor grande che ella ci porta: e però desiderando noi che per maggiore confermazione di essa amicizia, che siano sempre tra noi aperte le porte ai negozi e pratiche, e che tra li sudditi dell'una e dell'altra parte si continui amichevolmente nel commercio e traffico come si faceva prima che succedessero questi ultimi moti di guerra, abbiamo voluto[211] destinar ora costì alcuni nostri agenti, così per provvedersi di alcune cose necessarie alla nostra real corte, come anco per rinnovar la pratica ed il commercio e per dar animo ed esempio alli mercanti del suo paese di far il medesimo. Però giunti che saranno essi a salvamento, desideriamo che sieno da lei raccomandati alli suoi onorati ministri, acciò che siano da loro protetti e favoriti nelle loro occorrenze e massime nel contrattare e comperare quelle cose che le sono state da noi espressamente ordinate, ed in particolare delli zacchi di maglia che sieno di somma bontà ed eccellenza, perchè ne fanno grandemente di bisogno per essere noi quasi sempre in guerra ed in contesa, con li ostinati e temerari, che cercano di contrapporsi a noi e alle nostre forze e di perturbare il nostro reale animo. Insomma desideriamo che per amor nostro gli sia dato ogni aiuto e indirizzo necessario acciocchè eseguendo essi bene le nostre commissioni possano ritornare qui con buona espedizione delli loro negozi.
E se li mercanti cristiani delle sue città e paesi si disponeranno di venire qui per traffico, la assicuriamo che saranno da noi ben veduti e ben trattati, dandoli autorità di fornirsi di tutte quelle robe e mercanzie che le faranno bisogno, e si partiranno tutti di qui contenti e consolati. Non permettendo noi che siano essi molestati d'alcuno, over danneggiati per quanto importa un minimo capello della testa; e oltre di ciò occorrendo particolarmente cosa alcuna qui per uso o servizio della sua felice persona, ne la facci sapere che sarà da noi adempito ogni suo desiderio; e sopra il tutto la esortiamo a scriverci e visitarci spesso con sue lettere come che faremo anche noi; acciocchè rinnovandosi tra noi sempre più l'amore e la benevolenza si stabilisca tanto più il fondamento della nostra amicizia; e per fine desideriamo che le sue grandezze sieno perpetue.
Senza data; in luogo della sottoscrizione il sigillo.
Filza atti turcheschi.
1621, 1º febbraio.
Venuti questa mattina nell'eccell. Collegio alcuni persiani ultimamente capitati in questa città con le galere di mercanzia, uno di essi che è il principale chiamato Sassuar disse che aveva lettere del suo re da presentar a S. S., come agente suo per negozi mercantili era capitato in queste parti, il che avendo esposto il dragomanno Nores, fu il sopradetto fatto sedere sopra gli ill.mi sig. savj di terraferma e presentata la lettera che fu data al Nores da tradurre, disse in sostanza:
Che il felicissimo e potentissimo Abbas re di Persia suo signore mandava molte affettuose ed onorevoli salutazioni a S. S. ed a tutti gli altri signori del governo, che aveva espressa commission di Sua Maestà di significare a viva voce la buona volontà ed affezione che portava a questa eccelsa Repubblica, e la stima grande che fa di essa per la fama che nel mondo era sparsa della sua buona e retta giustizia, della prudentissima et esemplar maniera del suo ottimo governo, commendato grandemente da S. M. ed ammirato da tutta la nation persiana. Che il suo re amava tutti li cristiani, ma particolarmente portava grandissima affezione a quelli della nazion veneziana. Che quando capitano in Persia sudditi veneti erano dal suo re accarezzati, ed usato verso di loro ogni buon e cortese termine, non inferiore a quello che ben sapeva usarsi verso la nazion persiana in questa città.
Rispose l'ill.mo signor Benetto de ca Taiapiera, consigliere di maggior età in absenza di S. S., che si riceveva con particolare contento da cadauno di questi SS. EE. le lettere che egli aveva portate per nome del serenissimo re di Persia, amato dalla Repubblica e tenuto in quella stima che conveniva al suo gran merito e degnissime condizioni di principe così grande come era la M. S.; che si aveva ricevuta soddisfazione grande del loro venire in questa città, nè si avrìa tralasciato cosa che avesse potuto comprobare cogli effetti quella buona volontà che si portava a tutta la nazion persiana, e che si avrìa dato ordine al magistrato dei V savj alla mercanzia, acciocchè dove li occorresse il bisogno, fossero giustamente favorite le cose loro.[213]
Rese umilissime grazie il persiano suddetto delle cortesi esibizioni che li erano fatte, delle quali nelle occorrenze si sarebbe valso: disse poi che il suo signore aveva voluto accompagnare la sua onorata lettera con un nobil presente a S. S., et fece introdurre alcuni persiani, quattro dei quali avevano un tappeto per cadauno, e due altri l'uno con 25 pezze di giurini, l'altro con 25 lizari d'India, e soggiunse che uno dei sopradetti tappeti era stato donato dal suo re da quello di Magor, e che S. M. lo aveva stimato degno di Sua Serenità.
Fu dall'ill.mo sig. consigliere de ca Taiapiera suddetto ringraziata la M. S. di così cortese dono, e detto che si avrìa tenuto dalla serenissima Repubblica e conservato per degna ed onorata memoria del cortese affetto di S. M. verso di lei; e dopo alcune parole di reciproco complimento, si levò il persiano ed unito con dei suoi principali volse far reverenza a cadauno degli ecc.mi signori cons., capi dei XL, savi del Consiglio, savj di T. F. e savj agli ordini, e sceso i scalini del tribunale disse che si teneva obbligato riferire e ringraziare di Sua Serenità del buon trattamento che aveva ricevuto a Spalato per lo spazio di 5 mesi tra il far la contumacia ed aspettar le galee, che era seguito per così lunga dimora con molto patimento, nel quale era stato sollevato da quell'ill.mo sig. console con infiniti comodi e cortesie, onde perciò li restava grandemente obbligato, ed il medesimo le era stato fatto nella città di Zara da quelli ill.mi sig. rettori, ed anco nel viaggio di mare dall'ill.mo sig. capitano delle galee che hanno accompagnato quelle di mercanzia; e che con questa occasione non voleva restar di dire per l'amore e riverenza che portava a questa ser.ma Repubblica che sarìa di molto comodo ai mercanti e maggiormente frequentata quella scala, e condottevi da lontanissime parti mercanzie di gran rilievo, se le galere che vi sono destinate andassero più sollecitamente a quel viaggio e con maggior comodo dei mercanti, senza dubio sarìa se una sola vi andasse e l'altra ritornasse, per accomodar di questo modo così quei mercanti che vengono in questa città come quelli che partono di quà per le case loro; ed essendogli detto che si averia avuto considerazione a questo suo prudente ed amorevole raccordo, licenziati partirono li persiani sopradetti.
Commemoriale XXVIII.
In nome di Dio vero re e imperator del mondo.
Al famoso ed eccelso re di Venezia, dominator di paesi e di provincie, osservator della buona e retta regola di governo, ornato di bontà, gravità, e grandezza, pieno di equità, giustizia e clemenza, a cui lo Altissimo Dio sia sempre propizio e favorevole.
Dopo molti onorevoli e sinceri saluti che si convengono all'amore ed amicizia ed alla buona intelligenza unione e corrispondenza d'animo che è tra noi, le si fa colla presente nostra real lettera amichevolmente sapere, che essendo sempre stato nostro real costume di conservar buona sincera amicizia con li re e principi grandi della cristianità, ed in particolare colli re e signori di Venezia, antichi amici ed amatori di questo nostro felicissimo regno, avendo perciò noi sempre tenute le porte aperte alle ambascerie ed alli traffici e mezzi mercantili, concedendo libera pratica alli loro sudditi e vassalli in ogni luogo del nostro amplissimo regno, abbiamo voluto ora, che sono aperte le strade, mandar costà uno delli nostri onorati agenti chiamato Sassuar in compagnia di agi Aivas da Tauris, ed altri nostri sudditi, così per confirmare la buona amicizia con la sua eccelsa persona, e rinnovare la pratica ed il commercio colli sudditi dell'una e l'altra parte, come per fornirsi anco di diverse cose necessarie per uso e servizio della nostra real corte.
Però giunti che saranno essi a salvamento, desideriamo che sieno da lei raccomandati con ogni efficacia alli suoi onorati ministri, acciocchè mediante la loro protezione ed ajuto, eseguendo la nostra volontà e commissione, debitamente possino ritornare qui quanto prima; e medesimamente occorrendo cosa alcuna qui nel nostro stato per uso e servizio della sua felice persona la preghiamo ad accennarci confidentemente, che sarà prontamente adempito ed effettuato ogni suo desiderio.
Del resto desideriamo che le sue grandezze sieno sempre in aumento.
Senza data.
In luogo di sottoscrizione è posto a tergo della lettera il bollo regale che dice:
Servo del re dei re Shàh Abbas.
(Espositioni Principi).
1621, 4 febbraio, in Pregadì.
Che li quattro tappeti portati a donar alla S. N. per nome del serenissimo re di Persia dai persiani ultimamente stati nel Collegio nostro, e le 25 pezze di giurini e le altre 25 dei lizari d'India sieno fatti consegnare alli Proc. de supra perchè se ne abbino a valere ad onore del Signor Dio, nella chiesa nostra di S. Marco e nelle pubbliche cerimonie. E ne sieno fatte le note, dove e come sarà di bisogno.
Delib. Senato.
Serenissimo Principe,
Mentre io Domenico de Santi q.m Luca suddito e servo umilissimo della Serenità Vostra, era pronto per imbarcarmi sopra la nave Tomaso Bonaventura inglese per Sorìa, ed indi per andarmene in Persia, con lettere del sommo pontefice, della sacra M. Cesarea, della maestà di Polonia e dell'altezza ser.ma di Toscana, tutte dirette al re di Persia, per occasione dei presenti moti della cristianità, e con certa istruzione del pontefice al padre maestro Paolo Pietromali dominicano assistente in Persia per detti principi, fui fatto chiamare nell'ecc.mo Collegio, e poi subito fatto uscire con ordine che prima di partire dovessi farne motivo alle E.E. V.V. Ma più non avendo avuto chi mi introduca ed essendo frattanto la predetta nave partita, ora che si trova lesta la nave Margarita Costante per fare fra 4 giorni il medesimo viaggio, colla quale disegno imbarcarmi, vengo conforme all'ordine predetto e alla mia riveritissima[216] osservanza verso la Ser. Vostra a darle notizia di ciò, prontissimo di eseguire ogni cenno che mi sarà dato con l'ossequio ben dovuto alla mia fedelissima devozione.
1646, 26 giugno.
Che sia rimessa ai Savi dell'una e l'altra mano.
6 Cons. | ||
Pisani | Pier Corner | |
Antonio Venier | Ser.º Dolfin | |
Benedetto Polani | Lorenzo Draghi |
Fran. Verdizotti Segretario.
Filza secr. 1646, pag. 97.
1645, 2 decembre.
Al re di Persia.
Grandemente sempre ha incontrate la Repubblica le occasioni di rendere veri segni a vostra Maestà ed a' potentissimi precessori suoi di affetto e di stima. Nella stessa valida sincera costituzione d'animo se le confermeranno in ogni tempo avvenire colle opere le nostre ottime intenzioni. Già saranno pervenute alla Maestà vostra le gravissime emergenze che passano, le quali meritano il riflesso di ogni principe, potendo gli incendj delle armi turchesche coll'ardire e coi progressi molto diffondersi e turbare ogni confine. In questo stato di cose li generosi concetti di vostra maestà saranno dricciati alle più degne risoluzioni a comune profitto. Ed intanto preghiamo il Signor Dio guardi vostra Maestà con continui incrementi di felicità e di salute.
Voti Affermativi | 109. |
Negativi | 0. |
Non sinceri | 2. |
Valerio Antelmi Segretario.
Senato Corti.
1646, 17 luglio.
Al Re di Persia.
Sarà a quest'ora pervenuto all'orecchio di V. M. l'ostilità ingiustamente ed in sprezzo di parola e di fede promossa a' Stati della nostra Repubblica dall'impero Ottomano. Proviene il motivo del Turco da sete inestinguibile di rapire or all'una or all'altra parte l'altrui, e dilatando la sua grandezza rendersi infine oppugnatore e dominatore dell'universo. Così a danno dei potentissimi predecessori di V. M. ha mosse più volte l'armi, e col manto di amicizia e di pace agevolatisi furtivamente i più notabili acquisti. Come vasta e formidabile sempre più si va formando quella potenza, deve comunemente svegliare i riflessi ed accrescere le gelosie. Se dalla riconoscenza del fatto e dalle prudentissime massime dei progenitori è eccitata V. M. alla depressione di quell'orgoglio, altrettanto l'invita ad imprese gloriose l'opportunità della presente occupazione di quelle armi da questo canto, e la certezza di essere secondata e seguitata dagli altri principi.
Costantissima è la Repubblica di conservarsi e difendersi col petto esposto dei cittadini e con la profusione dei tesori, di già dai nostri vascelli datosi il buon principio della presente campagna, assalita ed in gran parte dannificata vicino ai Dardanelli l'armata dell'inimico.
Valeranno però le presenti a testimonio non meno di confidenza, che dell'affetto e nostra osservanza sempre sincera verso la M. V., e del pubblico desiderio ardentissimo di vederla con i dovuti riacquisti coronata di nuove glorie, ed a V. M. auguriamo in fine lunghissimi e felicissimi gli anni.
Affermativi | 102 |
Negativi | 0 |
Non sinceri | 0 |
Fran. Verdizotti seg.º
Senato Corti 1646.
Iddio immacolato. Iddio eccelso.
Al comandante dello Stato Veneto, che S. D. M. gli conservi ed esalti il dominio con prosperità e felicità, prestate le salutazioni e benedizioni che provengono da stima e vagliono per segni di onore e di pregio, offerte da una pura sincerità al possessore della magnificenza e signorìa, vigilante nell'amministrazion di giustizia, scelto fra i signori imperanti, stimato fra i potentati retti nella religione del Messia, e principe fra cristiani di alto stato e condizione sublime, il cui fine Iddio termini in bene, con le benedizioni del cielo, ed accresci in grandezza ed augumento il suo posto reale con disposizioni del cielo adattate ad una prosperità: quello però che se le porta a cognizione è che la lettera inviataci con amichevole contenuto, per la quale resta innovato il vincolo di amicizia e di amorevolezza, è stata come si conviene aggradita e corrisposta con termini di osservanza amichevole dovuti a' Principi grandi e potentati di cristianità, che pure anco in avvenire saranno d'impulso alla continuazione per discendenza e apriranno l'adito alla comunicanza di lettere.
Nel resto, continua esaltazione etc.
Commemoriale XXIX.
1649, 28 marzo.
Questa mattina ritornato il padre domenicano all'ecc. Collegio, e fatto introdurre, disse essersi partito di Persia già un anno in circa, aver avuto da quel re la lettera presentata, e parimenti da Domenico Santi che colà si ritrovava un'altra che consegnò; e dimandatogli da Sua Serenità alcune particolarità rispose nel tenore appunto che si contiene nella scrittura che poi ha dato, ed è la seguente:
Serenissimo Principe,
Desiderando io l'esaltazione della santa Fede Cristiana e di questa Serenissima Repubblica, che con tanto valore tanti anni sono si[219] impiega combattendo contro il comune nemico, non ho perdonato a fatica alcuna nell'andar da Polonia in Persia e venire di Persia a Venezia, a portare lettere di quel re di Persia a Vostra Serenità; e per obbedire ai suoi comandamenti di por in carta alcuna relazione di quello che ho potuto fare, dirò a Vostra Serenità tre cose:
Primo: il viaggio in Persia e come si può ivi per la più breve e facile via andare, e li onori che nel viaggio come ambassadore dei Cristiani mi furono fatti.
Secondo: quello che ho trattato col re di Persia.
Terzo: quello che si può sperare da quel re in nostro aiuto.
Io mi ritrovavo in Polonia nel tempo che ivi era il signor Tiepolo Giovanni ambasciatore a quella corona, il quale oltre a quello che aveva negoziato con quel re e fattolo armare, ha anche fatto che inviasse un ambasciatore al re di Persia, e subito egli spedì uno che si dimandò Slich nobile polacco, per invitarlo a muover la guerra contro i Turchi, e destinò ed elesse S. M. me per suo compagno nella ambasceria, e ci furono date dall'ill.mo Giovanni Tiepolo lettere di Vostra Serenità al suddetto re di Persia.
Si inviassimo dunque con 25 nobili polacchi a quella volta. Li 2 ottobre 1646 partii da Varsavia, per compagno del detto ambasciatore e giunsimo a 20 decembre in Mosca città metropoli e residenza di quel granduca. Ricevuti con grandissimo onore ed affetto, li 23 fossimo introdotti alla udienza pubblica.
Li 12 gennaro partissimo provvisti di cavalli, soldati ed ogni altra cosa necessaria dal suddetto granduca pel nostro viaggio in Persia. Li 18 giunsimo a Vladimiria città anticamente sedia delli granduchi di Moscovia. Li 21 a Murom, li 24 a Nisni Novogorod città bellissima e grande.
Il primo di febbraio a Cosma e Damiano, li 12 giunsimo in Cazan città bella e mercantile, dove siamo svernati per li gran freddi che vi erano e li pericoli delli tartari calmuchi.
Li 3 di maggio provvisti di barche e di uomini ed ogni altra cosa necessaria per la navigazione, ci imbarcassimo per la Volga fiume grandissimo, e li 22 giunsimo in Astracan città bella e grande, ben munita di presidio, ove stassimo fino alli 7 di giugno che si imbarcassimo, provvisti di comitiva e di ogni cosa necessaria dal granduca per il mar Caspio, nel quale fossimo un mese con grandissimi pericoli.
Li 4 di luglio sbarcassimo in Nizova, spiaggia di Persia, li 22 partissimo di là per Sciamachia, città capitale della provincia di[220] Schirvan. Li 25 giunsimo colà ove fossimo ricevuti con grandissimo onore dal Khan di quella città.
Li 3 agosto partimmo per Ardebilla città bella e grande onorata dal sepolcro del re Saladino quale tengono per gran santo. Vi è quivi un ospitale fondato dal detto re che sostenta ogni giorno 500 persone.
Li 18 partimmo da questa città e giunsimo in Zenghian città, e di là a Sultaniè, da Sultaniè a Com città molto bella, e quivi si ammalò il signor ambasciatore. Di Com addì 5 settembre giunsimo in Cascian città bellissima e ricca dove si lavorano molto belli panni di seta.
Li 10 partimmo e li 15 giunsimo in Ispahan sedia e residenza di S. M. di Persia. Fossimo incontrati da molti cortigiani e signori spediti da S. M. per introdurci dentro la città, i quali ci condussero ad un bellissimo palazzo preparato per nostro alloggio, la sera S. M. ci mandò la cena preparata in piatti d'oro ed altri vasi.
Poco si passò che s'ammalò il signor ambasciatore gravemente e non gli fu possibile di andare all'udienza; crescendo il male, fece chiamare uno dei principali cortigiani di S. M. al quale disse:
Giacchè così piace al signor Iddio di chiamarmi ad altra vita, e che non posso pienamente adempire la volontà del re e della serenissima Repubblica veneta in questa ambasceria; questo presente signor padre, datomi dal mio re per compagno dell'ambasciata, soddisferà intieramente a quella. Perciò in presenza dello stesso signor persiano mi consegnò l'istruzione, le lettere ed ogni cosa, e li 7 di ottobre, munito dei nostri ss. Sacramenti, rese l'anima sua al creatore, e fu sepolto il giorno seguente con gran pompa nella chiesa dei padri M. R. Carmelitani scalzi.
Li 17 io fui introdotto all'udienza pubblica del re, accompagnato da molti sì persiani come franchi, e salutato che ebbi S. M. da parte del serenissimo re di Polonia ed anco da parte della serenissima Repubblica di Venezia, gli resi le lettere. S. M. mi fece sedere e per molto tempo mi trattenne interrogandomi della salute e stato delli serenissimi re e principi cristiani: io risposi conforme a quello stato che avevo saputo nella mia partenza.
Li 31 io fui invitato da parte di S. M. alla loro pasqua che chiamano Bairan: risposi che molto volontieri avrei servito S. M. mentre ciò non seguisse in mio pregiudizio col cedere il luogo ad altri ambasciatori che si ritrovassero ivi, mi risposero che per certo non[221] mi sarebbe fatto pregiudizio nè torto veruno. Il dì seguente vennero a levarmi con cavalli di S. M. per me e per tutta la mia gente.
Giunto a palazzo feci riverenza a S. M. e mi fu dato luogo conveniente.
Durarono i giuochi ben due ore dove si videro diversi combattimenti; quindi si fece un banchetto, nel quale S. M. e tutti mangiarono in terra ed io ad una tavoletta alta un piede sedendo sopra una seggiola bassa. Finito il pranzo mi ritirai all'alloggiamento nostro. Il giorno dopo mandò S. M. un principal della sua corte da me a dirmi, che mettessi in carta in lingua persiana, come usasi colà, quanto desiderava il serenissimo re di Polonia e la serenissima Repubblica di Venezia. Io subito mandai a chiamare li padri carmelitani scalzi che mi tradussero in lingua persiana e scrissero li punti seguenti:
1. Universo mundo bene est notum turcarum imperatores precipue presentem esse fidei fracturam, nulliq. regi convicino, non solum non tenere iuramentum viro sub amicitiae pretexta ferro, igneq. occupare dictiones.
2. Cuius sacramenti fragium, non volentes christiani reges sustinere: volenterque eius tantam superbiam reprimere, Christi invocato auxilio, omnes suas vires ac potentiam terra mariq. converterunt.
3. Et quia serenissimi regis nostri, Reipublicaeq. venetorum dictiones, confinibus illius sunt viciniores ob idque gravius sentiunt eius insultus; quam alii monarchae christiani, quibus pro muro quodam modo sunt, per Dei voluntatem serenissimum regem nostrum pro supremo duce suo, omnes unanimi consensu delegerunt.
4. Qui huic tam sancto operi lubens humeros submisit, desiderans, et alios monarchas quibus cum ab antiquis saeculis amicitia fuit ad tollendum tam comunem inimicum ad similia vota excitare, me ad regiam maiestatem tuam expedivit.
5. Quoniam vero contra hunc inimicum uter non solum antecessores maiestatis tuae, verum etiam ipsa tua maiestas, magnam causam sustinet, non sibi persuadet serenissimus rex noster nec non omnes alii reges ac principes christiani maiestatem tuam hanc occasionem, otio praetermissuram. Cuius gratia antecessores maiestatis tuae, tanta sanguinis effusione plura possederunt.
6. Hoc itaque regia maiestas tua, iusta ponderando non parcat ancipiti gladio ne antecessorum suorum tantorum heroum, qui[222] etiam in florente sua aetate nullis laboribus pepercerunt, alte impressa vestigia properantur ac tot tantiq. reges et principes spe sua in tuae maiestatis persona fraudentur, nec hoc cum gratia legato ad ipsos destinato comitari dignetur.
I quali punti presentai a S. M., e lettili rispose che molto volontieri avrebbe soddisfatto alla amicizia dei principi cristiani.
In quel tempo ivi era un ambasciatore del Gran Mogol, il quale era stato trattenuto due anni per alcune lettere quali avea scritto al suo re e furono intercette.
Scriveva che il serenissimo re di Persia era ancor giovinetto e non poteva trattar con esso, e quando chiedeva audienza dal re se gli rispondeva, che il re era ancor troppo giovane e che aspettasse il tempo. S. M. il re di Persia era d'anni 18 quando giunsimo noi in Persia, giovane grazioso affabile, e come era detto da tutti era per riescire un altro shàh Abbas suo avo, continuamente a cavallo e nelli esercizii militari; la sua ava moglie del detto shàh Abbas reggeva e governava, ma ora lui essendo d'anni 19 governava lui stesso. Ha per moglie una senza figliuoli ma si diceva che era gravida. La moglie è figlia di un certo Surcolano qual abita in Daghestand, benchè di donne ne abbia molte, quella è la principale.
Il suo cancelliere gran Visir si chiama Dauleto, uomo molto osservante della sua legge, e non troppo amico dei cristiani; ha per moglie una sorella del re di Persia, ha 5 figliuoli ed a tutti gli fece cavar gli occhi, acciò non si sollevassero arrivati che fossero in età.
S. M. mandò un corriere a Costantinopoli per sapere se i principi cristiani facevano guerra, e per questa occasione ci trattenne 11 settimane, sin tanto che il corriere ritornasse da Costantinopoli, e quando cercavo l'espedizione mi rispondevano che mi riposassi che quanto prima ci spedirebbe.
Il 16 novembre il serenissimo re mi mandò le vesti, quali è solito dare agli ambasciatori, ed il giorno seguente fui chiamato di nuovo all'udienza ove mi diede l'espedizione, cioè lettere per il serenissimo re di Polonia e per la serenissima Repubblica di Venezia, di sua propria mano, salutandoli e pregandoli felicissimi successi, promettendo di soddisfare alla amicizia.
Di là ad alcuni giorni partii d'Ispahan e per il nostro ritorno accompagnato da 25 soldati persiani, e provvisti di cavalli e d'ogni cosa necessaria pel viaggio, ritornassimo per la istessa strada che eravamo venuti.
Li 20 gennaio giunsimo in Sciamachia città principale della provincia[223] di Schirvan, come ho detto di sopra, furono mandati dallo stesso Khan molti persiani per incontrarci e condurci al nostro alloggio ove fossimo benissimo trattati da esso, ed ivi ci fermassimo sino alli 29 di aprile.
Più volte ci invitò il Khan nel suo palazzo e particolarmente una volta, che fu il giorno di S. Tomaso d'Aquino, li 7 di marzo: molte cose allora ci riferì particolarmente dell'armata veneta che faceva grandissimi progressi contro l'armata turchesca, delle galere che erano state fracassate dalla armata veneziana di Smirne e di Scio e minutissimamente di ogni cosa. Di più disseci che di Babilonia erano fuggiti 200 turchi spahi in Persia, e promettevano al serenissimo re di Persia, che se volesse inviare solo 12 mille uomini la città si sarebbe resa, perchè era sprovveduta di presidio, e la miglior soldatesca era stata levata dal Gran Signore, e li più peggiori gente inesperta era restata. Di più disse che il serenissimo re aveva ordinato che il Khan Solimano qual sta non molto lontano di Babilonia, stesse apparecchiato, e lo stesso a quello di Erivan, di Tauris, di Sciamachia ed altri che stassero lesti. Disse di più che il gran Signore scrisse al serenissimo re di Persia, per genti, ma la S. M. non si contentò. Ogni di ci mandava a riferire minutissimamente quanto faceva la serenissima Repubblica.
Di più il Khan ci disse che S. M. mandava un esercito verso il regno di Conducar per ricuperarlo unito insieme col gran Khan di Tartaria Olbeco qual fu scacciato dal suo paese dal re Gran Mogol, ma con l'aiuto del re di Persia lo ricuperò cacciando di nuovo gl'Indiani, ed in quel tempo morì il re di Mogol ed il regno si divise in quattro figliuoli; ed il minor nato è il più vivace, più bellicoso degli altri fratelli e più amato e riverito, non si contentò della parte lasciatagli dal re Mogol suo padre, levò l'armi contro il suo fratello maggiore, come ancor fece contro il suo padre vivendo; il che vedendo il re di Persia si risolse tentar di ricuperare quel regno insieme unito con il gran Khan Olbeco, vedendo gli figliuoli del Gran Mogol disuniti, molti anni sono che cercava questa occasione tanto più vedendo che il gran Signore aveva che fare colla serenissima Repubblica, perchè quando lui voleva andare sopra il detto regno il gran Turco gli dava addosso, e quando voleva ricuperar Babilonia il gran Mogol gli dava ancor lui addosso, e così non potea nè l'uno nè l'altro ricuperare. Ma avendo l'occasione tanto per la morte del gran Mogol, quanto per la guerra che aveva il gran Turco contro la serenissima Repubblica, si deliberò di tentar la fortuna, ma[224] credo come dicevano i Persiani che quella guerra finirebbe presto, e tutti e particolarmente li grandi dicevano che col ritorno dell'esercito da quella parte dell'India andrebbe per ricuperare i luoghi occupati dal gran Turco.
Li 29 aprile partissimo per la marina e vi giunsimo li 5 di maggio; ci trattenessimo dalli 5 di maggio alli 12 giugno, allora ci imbarcassimo, li 25 facessimo vela verso Astracan, ma volendo così la Divina Maestà fossimo costretti a ritornar al luogo dove eravamo partiti per li venti contrarii e poco mancò che non s'affogasse la barca. Li 28 per grazia di Dio facessimo di nuovo vela e giunsimo li 6 di luglio all'acqua dolce, ed in detta acqua navigassimo 5 dì. Io mandai il mio interprete con un nobile polacco in Astracan, al palatino di detta città, e lui ci mandò 2 barche piccole perchè la barca grande non poteva andare per esservi poca acqua.
La domenica mattina 29 ci vennero incontro molti nobili moscoviti e soldatesca che quivi si ritrovava in Astracan; li 29 partissimo di detta città provvisti di ogni cosa necessaria al viaggio come barca e soldati per la Volga, 60 leghe da Astracan. Li 15 agosto giunsimo in Saricina città sopra la Volga, 70 leghe da Astracan. L'istesso giorno partissimo per Saraton, 20 leghe da Saricina, ivi giunsimo li 29, e li 13 di settembre giunsimo in Samaria dove siamo stati molto ben trattati dal Palatino di quella città. Di Samaria a Simbir, a Tetiuschi, li 4 di ottobre a Cazan e li 6 partissimo e giunsimo li 14 di ottobre a Cosma e Damiano e Vailgoroda li 19. Li 25 giunsimo a Nisni Novogorod che fu domenica, li 3 di novembre giunsimo in Murom e li 8 a Vladimiria e li 19 giunsimo a Mosca residenza e sedia del granduca di Moscovia, ove fui ricevuto con grandissimo onore ed affetto, visitandomi li due cancellieri da parte del granduca offerendomi quello m'era necessario.
Li 5 di dicembre partissimo di detta città e giunsimo in Smolensco città del serenissimo re di Polonia, ove mi fermai tre settimane per li pericoli delli Cosacchi. Li 8 di gennaio partissimo per Cracovia ove giunsimo li 8 di febbraio, e li 13 ebbi udienza da S. M. il re di Polonia e resi le lettere del serenissimo re di Persia.
La strada più breve per andar in Persia di qua è per la via di Aleppo, ovvero pel mar Nero imbarcandosi a Caffa per la Mingrelia, non trovandosi comodità per imbarcarsi in Caffa per Mingrelia si troverà per Trebisonda. Di Mingrelia nel stato del re di Persia in tre settimane si può entrare per la Moscovia. Bisogna aspettare il tempo opportuno perchè il fiume nella primavera è troppo grande, d'inverno[225] è congelato, e gravi sono i pericoli dei tartari, mongoli, e dei calmuchi, inimici comuni delli moscoviti: all'andar sarebbe facile ma al ritornar difficile. Questo è quanto per la brevità del tempo posso narrare a Vostra Serenità circa il mio viaggio.
Di Vostra Serenità
Devotissimo Servitore
Fra Antonio di Fiandra Domenicano.
Stà a ss. Giovanni et Paolo.
Espositioni Secrete.
29 marzo 1649.
Serenissimo Principe,
Espedito che fui dalla Serenità Vostra con lettera ed ordini per la reale Maestà di Persia, per procurare da lui la guerra in Babilonia contro l'Ottomano, conforme alla mia promessa, con lui ho operato molto efficacemente si per l'ordine avuto da S. S. come da Vostra Serenità, ed anco per zelo della mia patria, che più caldamente mi ha spinto con ogni vigore e seguito durante il mio viaggio per Sorìa. Giunto in Aleppo mi sono infermato di grave malattia, che mi ha tenuto aggravato per lo spazio di mesi 5 con pericolo della vita; ma con l'aiuto del signore Iddio rilevatomi e convalescente ho seguito il mio viaggio e per nuova strada non frequentata mi sono condotto alle frontiere di Persia, con le mie robe per il presente, onde mi ha costato grande spesa, acciò non fossero aperte e vedute dette robe, e speso alla somma di 1430 reali da otto, a condurmi fino in Ispahan.
Ora entrato nella terra del detto rey, alle frontiere mi fu subito domandato dal duque di quelli paesi chi io era e di dove venivo e dove volevo passare, non essendo costume per tal strada simili persone e tali robe venire. Li risposi esser mandato di cristianità, da quattro monarchi potentissimi cristiani, con lettere dirette alla maestà di Persia, onde il detto le volse vedere. Io mostratele, mi fece grande onore, trattenendomi 3 giorni, e intanto espedita una[226] staffetta al rey, dandole conto come un tale veniva con tali negozi, e di poi mi lasciò passare con una persona sua che mi accompagnerìa al detto rey, essendo così il costume. Però bisognò che io li fassi il suo presente, il quale fu alla somma di reali n. 350 tra lui e suoi grandi, perchè così è costume per tutta la Persia e Turchia a camminar con li presenti, come credo che la S. V. sarà bene informata di ogni cosa.
Seguitò il mio viaggio onde mi condussi in Ispahan, e per la nuova che era andata, me viene ad incontrar tutti li franchi che la estano, e mi condussero in città con molto onor. Onde il visir mi mandò il capo di mehemendar a dimandare se era vero che io avessi tali lettere e se avevo presenti para el rey. Io le risposi non aver cosa niuna mandata da niuno, ma avendo alcune galanterie io comperate per queste parti che gliele presenteria volentieri. Lui rispose che bene, e che sarebbe andato a dar nuova di tutto a detto granvisir. E così mi mandò subito il vitto della tavola del rey nelli vasi d'oro, per el spazio de 8 giorni; dapoi mandò reali 450 dicendomi che mi espesassi da me, e mi disse che mi mettessi in ordine che un di questi giorni sarebbe venuto a levar me all'udienza, e che preparassi il presente che avevo da fare al rey, e che facessi copiar le lettere che aveva da presentare in scritto persiano. Questo fu gran favore di Dio che el me ordinasse a me, perchè se le riceveva così e le avesse mandate ad altri franchi per interpretare, li erano tali che altro non desideravano perchè la coda di Francia arriva fin qui, e quelli che manco si estimano e che paiono sancti sono quelli che estano qui, para avvisar il tutto, come volevano fare volendo corrompere il mio mullà, sive escrivano persio, che li dasse le copie del tutto. Ma io accortomi, operai tanto sicuro e cauto che non hanno avuto il loro intento.
Tutte le lettere che io avevo degli altri principi, il principe fece che io le presentassi essendo lui insieme con me, questo per non aver lui con chi poterle accompagnare essendo in grandissima calamità e miseria; e qui dando lettere bisogna anco le si porti in compagnia. Le presentai colla istruzione del pontefice insieme tutto in scripto, essendo la udienza in pubblico, e per non aver tanto a parlare, così si fece onde passò bene tutto il negozio.
A cabo di altri 8 giorni il detto mehemendar mi venne a levare e condurre davanti al rey in udienza, e comparso le presentai in mano del proprio rey tutte le dette lettere ed istruzione, insieme con il presente, il quale era portato da 24 uomini essendo pel valore di[227] 4500 reali. Fui ben visto dal rey e dal gran visir e da tutti li grandi della corte, e con cortesi parole disnando in sua tavola con lui e visir e grandi del regno, disse a me poi che altra volta mi avrebbe chiamato all'udienza e convito in questo tempo. Seando la audienza del visir, con il presente suo, qual era della summa de trescientos e sescenta reali in circa, ed un'altra copia dell'istruzione, acciocchè anche lui a parte potesse veder e saper el tutto, sebbene egli fa tutti li negozi del reino, essendo il re giovane di anni 18 in circa. Qui anco si ebbe cortese risposta, si diede il suo presente al suo partir acciò si potesse aver l'ingresso libero, avendo a trattare più volte con il detto visir.
A cabo di altri 15 giorni in circa el rey mi mandò a casa il mio presente per il mehemendar il quale era in danaro 750 reali ed alcune pezze di seta con oro ed altre senza ed alcuni telami, le quali robe diceva il detto mehemendar valere settecentos et cincuenta reali, sicchè il tutto tra roba e soldi sommava 1500 reali; ma volendo io vendere la roba per bisogno di denari per le spese fatte, non mi davano la metà di quello diceva il mehemendar. Di che le conservai e me ne servii per altri presenti che avevo a fare, e non ne tirai niun profitto de le. Mi mandò anco insieme la ghalata regia, cioè veste, e disse che fra pochi giorni mi verrebbe a levare all'udienza; e da li a 5 giorni mi chiamò all'udienza del rey, gli portai un altro presente del valore di reali 225; mi diede le risposte dicendo che riverisci le EE. VV. da sua parte; mi dimandò poi per quale strada volevo partire, io gli risposi non aver altra strada che per Moscovia, ovvero India, ora la più breve era per Moscovia, onde al detto principe chiesi per favore lettere pel granduca di Moscovia, e lui cortesemente mi rispose volentieri; ma in questo darmi la detta lettera e passaporto passarono altri due mesi, per cagione di alcuni emuli che portarono ogni risposta e spedizione a mesi 4, avendo fatta molta spesa per il vitto di mia tavola per detti mesi, reali 480 presente per il detto mehemendar, reali 230 per altra spesa di servitori, e quello che portò il vitto del rey con el mio presente e la ghalata, il mio dragomano, mullà sive escrivano persico, ed altri che son molto lungo mettere in carta mi andò reali 620. Per cavalli, tappeti, pavoni, ed altra spesa per il mio viaggio me andò 460; onde avendo fatta tanta spesa ed essendo con pochi denari e viaggio lungo da fare avendo 10 cavalli, chiesi al rey alcun viatico onde mi mandò altri 750 reali, ma questi non è bastanti al viaggio che finora ho fatto, oltre ad alcuni vestimenti fattomi per comparir all'audienza pel valor di 470 reali, per un presente fatto a colui che mi condusse[228] in Moscovia, e spesi altri 220 reali pel viaggio da Ispahan fin ora presente, e pel mio vitto reali 450 che è stato questo el corso di mesi 7. Sicchè mi trovo di sotto da 7000 reali in circa, ma al capo di 4 giorni dalla mia partenza da Ispahan mi incontrai in un tale Giorgellis ambasciatore della sacra maestà di Polonia, che Dio volesse non avessi mai veduto per essermi stato di notabilissimo danno, e da Sua Maestà medesima ne avrà V. S. informazione del tutto, perchè io glielo scritto, e poi con la mia venuta più oltre saprà ogni cosa; ora rivolto addietro accompagnatolo in Ispahan con ogni onore, sì per la maestà di Polonia come per aver seco una lettera del serenissimo defunto Enrico, dipoi rivolto il mio viaggio venni fino la porta sopradetta di Moscovia, ma per alcun negozio scoperto sono tornato addietro essendo stata data mala informazione alli Moscoviti, ed essendo zente sospettosa perfida e mal fida, non mi hanno permesso il passaggio per la sua terra. Onde ritorno per via d'India la quale sarà per lo spazio di 15 mesi in circa con mio grandissimo dispendio oltre il speso. Questo io non dico per essere rimborsato di alcuna cosa, ma lo dico solo acciocchè sappi la Serenità Vostra che li son buon suddito, e quello che li ho promesso per amor della patria e per mantenere l'onore ed il decoro di Vostra Serenità e della cristianità ho fatto, ed osservato la mia parola, e la manterrò se dovessi vender la camicia e me stesso ancora, e con il mio arrivo in patria vederà il tutto che io avrò operato, ma anco avanti sentiranno le nuove come sarà eseguito ogni cosa, e con altra mia per altra via significherò più volte a Vostra Serenità il tutto e per fine riverentemente genuflesso le bacio il manto d'onore.
Di Sciangai il dì 24 aprile 1648.
Supplicherò riverentemente V. S. far noto il tutto alla Santità di N. S. acciocchè lui ancora sappia quanto si opera in questa corte conforme li suoi ordini, senza preterire niun punto anzi con il mio dispendio ho sostenuto e mantenuto la riputazione ed onore che a Sua Beatitudine si conveniva, traendone dal tutto frutto e profitto buonissimo, che fra poco tempo per quanto si parla qui lo vederà, e con altra mia per altra via sarà di ogni cosa informato, e poi al mio arrivo molto più oltre. E riverentemente me inchino.
Di Vostra Serenità
Umilissimo et devotissimo servitore et schiavo
Domenico De Santi q.m Luca.
Espos. Principi secreta.
1661 (1660 m. v.) 22 gennaro.
Al re di Persia.
Agli ingiusti travagli che tuttavia ci fanno risentire i Turchi, resiste la Repubblica nostra con costanza generosa, e prepara per la vicina ventura campagna ogni vigorosa provisione, particolarmente per la parte di mare, mirando ad occupare con la necessaria prevenzion il posto importantissimo dei Dardanelli con buon numero di navi. V. M. da tutti tanto stimata, non solo per la propria potenza, ma per il valore delle sue armi, aquisterebbe appo il mondo un merito singolare e gloria insigne al suo nome, se con le sue forze si disponesse ad abbattere l'Ottomano comune nemico. Molte buone congiunzioni e la pace universale già segnata in cristianità aprono la strada a fortunati successi ed a grandi vittorie, mentre sono tutti i principi disposti a secondarle. Abbiamo voluto portare alla M. V. queste notizie, acciò comprenda la buona opportunità che se le offerisce di abbattere così fieri nemici; confirmandole con tale incontro la nostra antica osservanza, e la confidenza che si tiene di riportare dalla sua gran mano ogni più valida assistenza: sicura la M. V. della memoria grata e perpetua che sarà per conservargli la Repubblica con desiderio di corrispondergli con sinceri testimoni di stima, augurando intanto alla M. V. il colmo di ogni grandezza e prosperità.
De si | 79 |
De no | 0 |
Non sinceri | 3 |
Senato Corti. R. 37.
1662, 10 giugno.
Serenissimo Principe,
Io Aranchies Vartapiet, arcivescovo d'Armenia maggiore, raccomandato alla S. V. ed a tutti i principi cristiani nel passaporto dell'em.mo Chigi, essendomi stato illuminato il cuore nel conoscimento della vera fede, e però andato a Roma a confessarla nelle mani del sommo Pontefice, desiderando colle opere di confessarla e conoscendo la Serenissima Vostra Repubblica di Venezia religiosissima, e che più di tutti li principi cristiani con la confessione e con le armi la sustenta, humilmente espongo:
Con l'occasione che supplico passaporto, dovendo passare per la Persia, ed avendo stretta intelligenza con quella Maestà, se fosse conferente agli interessi della S. V. di trattar lega con quel re a danni dell'Ottomano, mi offerisco di praticarla, assicurando la Maestà di certa lega ed unione colla Ser. Rep., supplicandola di secretezza in questo affare, perchè li Armeni che sono in Venezia inimici degli Armeni cattolici ed a me inimicissimi, a quale hanno l'occhio, per esser persona la prima dopo il patriarca d'Armenia, onde se sapessero alcuna cosa avviserebbero e mi leverebbero la vita per strada. Benchè mi sarebbe caro di perderla per la fede e per la Ser. Rep., le sicurezze che io ho e l'inclinazione del re di Persia a questa lega mi certificano, e le espressioni a me fatte mi necessitano della sicurezza del fine.
Nel passaporto supplico la S. V. raccomandarmi a tutti e specialmente al suddetto re. Ricevendo la S. V. la mia esibizione, si compiaccia farmi dar braccia sei di soprarizzo d'oro per donar al re, perchè da questo conosca quella Maestà le commissioni delle S. V. e un poco di danaro per far il viaggio. Le difficoltà che si hanno per passar nel paese dell'Ottomano sono benissimo note. Io non ho difficoltà alcuna del passaggio, e se paresse alla suprema prudenza della S. V. far che alcuno si accompagni con me con commissioni più secrete, sarà sicurissimo.
Protestando al sig. Dio e alla S. V. che in questo viaggio questo affare avrà buon fine o morirò martire per la santa fede e per questa Ser. Repubblica.
Filza Corti, 66.
1662, 10 giugno in Senato.
Al re di Persia.
È in cammino per queste parti Aranchies Vartapiet arcivescovo d'Armenia maggiore, e presentandosi occasione di rinnovare la memoria a V. M. del pubblico cordiale affetto, mancheressimo, non facendolo, all'ardore dello stesso desiderio che nutrisce verso di lei la nostra Rep. sempre con sentimenti particolari di stima grande e di amicizia vera. Udrà dalla viva voce di lui quello che dai nostri cuori ha potuto ritrar più al vivo nel discorso. Sieno però le presenti a ritratto di un'ottima disposizione; e se combattuti noi da gran nemico, più si cimentamo, giusti mantenitori del dominio nostro, vaglia ciò per pegno al mondo di una sincerissima volontà, ed a lei queste lettere di una immutabile osservanza che nei presenti tempi brameressimo poterle avvicinare con altrettante prove, quanto uniti se le trovamo sempre coll'anima e coll'affetto, pregando a V. M. per fine lunghezza d'anni e felicità di avvenimenti.
Affermativi | 113 |
Negativi | 1 |
Non sinceri | 2 |
Verdizotti Segretario.
Colla parte del Senato 10 giugno 1662 fu poi stabilito che si dessero all'arcivescovo oltre alla presente lettera zecchini 50 per una volta tanto, per spese di viaggio, stante la molta sua povertà, e per contrassegno di conosciuto merito.
Filza Corti, 66.
1673, 19 luglio.
Per comando delle Eccellenze Vostre trasferitomi io Pietro Fortis, dragomanno pubblico, nel convento dei santi Giovanni e Paolo, dove si attrovano li padri domenicani venuti di Persia, nominati Maria di[232] san Giovanni, e Antonio di san Nazaro, parlando in turco, ai quali dissi di aver le Eccellenze Vostre inteso il loro arrivo in questa città con qualche commissione del re di Persia, che saranno ben veduti, desiderando Sue Eccellenze d'intendere quali sieno gli ordini che tengono. Risposero render umilmente ed ossequientissime grazie alla Maestà pubblica, che si è compiaciuta degnarsi di ricercar di loro, et dissero essere tre anni che sono partiti dalla presenza del re di Persia, con lettere dirette al ser.mo principe di Venezia, tre per la sede apostolica, una pel re cristianissimo, ed una pel granduca di Fiorenza. Essere partiti per via di Moscovia, ma per le guerre d'allora aver convenuto fermarsi nel viaggio 22 mesi, che poi liberatosi il paese continuarono il loro viaggio, e passando per la Germania capitorno qui dopo un lungo e disastroso viaggio.
Ricercati da me se hanno qualche cosa da dire oltre alle predette lettere, dissero che già 4 anni fu spedito dalla sede apostolica con titolo di ambasciador di S. Santità. Matteo arcivescovo di Naschiwan dell'ordine di san Domenico con lettere al medesimo re, alle quali risponde, come pure ebbe lettere di Sua Serenità al medesimo re, e quelle che s'attrovano avere, sono le risposte. Mi dissero non aver d'avvantaggio, rimettendosi alle lettere e supplicando bene Vostre Eccellenze delle risposte che così hanno commissione dal re, perchè continui la buona corrispondenza colla Ser. Rep. instando d'esser spediti con celerità.
Aver nel viaggio così lungo patito molto e con un dispendio sopragrande, su di che si raccomandano alla somma benignità delle Eccellenze Vostre: instando pure di essere provveduti perchè possino far il viaggio per Fiorenza, che di là poi si porteranno a Roma e Parigi.
Tanto ho ricavato dai medesimi, in ordine ai comandi delle Eccellenze Vostre.
Esp. Principi.
Serenissimi Signori,
Richiedevano le mie obbligazioni che in propria persona fossi venuto a render le dovute grazie a questo ecc.mo senato, ma la mia senile età, la lunghezza del viaggio, li gravissimi pericoli che si incontrano,[233] mi impediscono e la soddisfazione del mio debito e la esecuzione del mio desiderio. Che però quel tanto non mi è permesso far di persona vengo a farlo colla penna, significandogli, come dopo gravissimi pericoli e di mare e di terra, singolarmente in Erzerum dove fui accusato per spia, giunsi in questa mia provincia e da qui poi mi trasferii in Ispahan, dove ritrovai appunto giunto l'ambasciatore di Polonia. Per molti affari del re fu ad ambidue procrastinata l'udienza per tre mesi. Venuto poi il tempo presentai le lettere delle Vostre Signorie Eccellentissime quali furono affettuosamente ricevute, et poi con la maggior efficacia possibile esposi la mossa della guerra contra del turco Ottomano conforme l'impostomi dalle Eccellenze Vostre e fui benignamente ascoltato. Mi domandò poi il re minutamente di tutti i principi cristiani, del loro numero, grandezza e potenza; e di codesta Ser. Rep. dissi quel tanto che in verità si doveva che non era ad altri inferiore. Per ottenere poi l'espedizione sono stato trattenuto sette mesi. La causa di tanta dilazione fu la nuova che sopraggiunse della resa di Candia dal re sentita al maggior segno, che mi disse queste parole:
Come! principi cristiani m'invitano alla guerra col turco, mentre essi hanno resa una piazza tanto tempo difesa, quasi che temano della loro propria potenza?
Non mancai far ogni sforzo per giustificar questo fatto, procurando di renderlo capace nel miglior modo fosse possibile.
Circa agli interessi della mia provincia ho ottenuto, mercè l'intercessione di Vostra Serenità, quanto per addesso desideravo. È ben vero che assai più avrei ottenuto se non fosse stato l'accennato disturbo di Candia. Intorno al negozio della guerra non mi ha dato risposta alcuna a bocca, dicendomi che nelle lettere risponsive si contenevano li suoi sentimenti; che però consegnatemi le lettere dirette a questo ecc.mo senato, insieme colle altre dirette al sommo pontefice, mi comandò che per due dei miei frati a posta le inviassi, acciò avessero sicuro recapito, e che colle scritture non toccassero i passi dell'Ottoman, ma che si inviassero per la strada di Moscovia, e che si accompagnassero con il suo ambasciatore quale egli inviava al re di Polonia. Tanto appunto eseguisco inviando per i miei frati alle Signorie Vostre Eccellentissime l'accennate lettere con affezionatissimo rendimento di grazie, promettendomi dalla loro benignità ogni possibile aiuto, in ogni altra occorrenza e bisogno di questi poveri cattolici, posti nel mezzo di tanti voracissimi lupi di scismatici ed infedeli, che fanno del continuo ogni sforzo per divorarli. E però le[234] mie forze non sono sufficienti per difenderli se non vengo aiutato dalla pietà dei cristiani principi, e singolarmente da codesta Ser. Rep. che in pietà ogni altro eccede. Raccomando alla vostra benignità questi due padri, che invio; mentre per fine profondissimamente me le inchino augurandogli dalla Divina Maestà ogni bramata prosperità.
Da Naschirvan provincia dell'Armenia maggiore 10 agosto 1670.
Delle Vostre Signorie Serenissime
Umilissimo ed obbedientissimo servo
Fra Matteo Avanisens
Arcivescovo di Naschirvan.
Esp. Princ. Filza 87.
Laudato sia il grande e onnipotente Iddio.
Potentissimo, maestosissimo ed altissimo principe, padrone e possessore del vasto dominio veneziano, signore e monarca di grandezza, maestà, giustizia e magnanimità, serenissimo possessore del manto della gloria, potente dominatore fra li re cristiani, di carità e di equità che non ha pari, qual s'assomiglia all'oceano che non ha paragone nella immensità, essendo nota a tutto l'universo la sua grandezza e potenza.
Dopo di che le portiamo colla presente che avendo la Serenità Vostra inviate sue da noi stimatissime lettere, per mano di Matteo vescovo di Naschirvan, dirette alla felice memoria del potentissimo nostro padre che ora gode stanze serene e gloriose nel paradiso; quali lettere sono state invece di lui a noi presentate, ed intesone il contenuto, alle quali si è fatta quella stima che meritano le grandezze cospicue di chi le ha inviate.
E sopra il motivo della raccomandazione per li popoli cattolici, della credenza di Gesù che si attrovano nel nostro dominio, acciò godino tutte le immunità e privilegi, abbiamo comandato che per tutte le città, castelli, terre e villaggi dove vi sono abitazioni sieno rispettati ed onorati, comminando che non li sia inferita molestia alcuna: anzi per maggiormente far palese la stima che facciamo delle raccomandazioni[235] di Vostra Serenità, abbiamo comandato che attrovandosi in qual si sia castello e villaggio alcuno dei sopradetti, molti o pochi dei sudditi cattolici in molto o poco numero, a causa di loro restino anco immuni tutti gli altri di qualsivoglia condizione o setta, e ciò per esservi colà abitanti cattolici; e questo perchè si veda la nostra intenzione che è sempre per incontrare nelle soddisfazioni di un principe così a noi amico, al quale professiamo osservanza non ordinaria. Ma nonostante le immunità ed esenzioni da noi concesse ai popoli non solo cattolici, ma anco agli altri abitanti in quelle terre e castelli, hanno essi voluto colla direzione del suddetto vescovo Matteo contribuire un semplice segno di ricognizione al mio erario come dominante, e questo per goder perpetuamente le concessioni da noi fatteli, dove per consolarli abbiamo così confermato. Onde con questo decreto restano immuni da qualsivoglia altra contribuzione, cui per l'avanti soccombevano, non solo all'erario regio, ma anco alli rappresentanti che colà si attrovano e che per l'avvenire vi saranno; quali dovranno in tutta puntualità adempire ed eseguire i nostri comandi nel ben governarli, proteggerli e difenderli da qualsivoglia molestia, i quali popoli potranno a loro piacere e con sicurezza attendere ai loro negozi. Abbiamo avuto notizia come la guerra che vertiva sopra l'isola di Candia con l'Ottomano resti ora cessata, ed il tutto aggiustato con la pace stabilita e convertita in buona amicizia, ed attrovarsi al presente la predetta isola di Candia in potere del medesimo Ottomano e restate sopite tutte le differenze. Nonostante però se nell'animo della Serenità Vostra insorgesse altro di nuovo sopra ciò, la preghiamo che senza alcun rispetto o riguardo si compiaccia darci avviso e manifestarci l'animo suo, assicurandola di una prontezza nell'abbracciare e poner in esecuzione quanto ci dirà e quanto desidera.
Nel resto le preghiamo dal Signor Dio tutte le felicità, prosperità e grandezze maggiori.
Sigillo del re di Persia Suleiman.
Pietro Fortis
Dragomanno pubblico.
Esp. Princ. Filza 40.
1673. Luglio.
Relazione presentata al senato dal dragomanno Fortis intorno al colloquio da esso tenuto coi padri domenicani venuti dalla Persia.
Serenissimo principe,
Avendo fatta istanza i padri domenicani, venuti dalla Persia, a voler conferire con me Pietro Fortis, alcuni particolari da portarsi alla notizia di Vostra Serenità, ne diedi parte agli ecc. Savj dai quali comandato di riferire tutto ciò che dai medesimi sarà rapportato, dissero:
Che il viaggio loro benchè sia stato lungo, ad ogni modo questi tre anni non sono stati spesi sempre nel cammino, ma bensì per esser stati fermati nelli confini della Persia e Moscovia 22 mesi continui, per causa delle guerre con alcuni ribelli del moscovita, e che fu comandato alli medesimi padri dallo stesso re con ordine espresso di non progredire il viaggio se prima non ricevevano altre commissioni, dubitando che arrestati o svaligiati in qualche parte per le turbolenze insorte potessero perdersi le lettere che tenevan per la Serenità Vostra e per altri principi.
Furono fermati medesimamente in Polonia più di tre mesi, non permettendoli di passar oltre quei comandanti, e ciò per non aver lettere del re di Persia dirette a quelli; ma capitato poi l'ambasciatore Polacco, si levarono di là e proseguirono il loro cammino.
Nel discorso che tenne il medesimo re di Persia con l'arcivescovo di Naschirvan prima della loro partenza, fu sopra ogni altro principe della cristianità esaltato il nome della Serenissima Repubblica di Venezia, riguardevole a tutto il mondo, ma particolarmente per aver sola contro la potenza dell'ottomano imperio, non solo sostenuti gli incontri tanti anni, ma desertati tanti paesi, ed ottenute tante vittorie contro il medesimo, colla distruzione delle sue armate marittime, il che ha reso stupore a tutto l'universo. Dagli avvisi che capitarono in Persia si seppe la pace seguita, e sebbene l'isola di Candia rimase in potere del Turco, fu però col cambio di altri Stati e particolarmente di alcune piazze invece dell'isola predetta, rimaste sotto il comando della Repubblica. Ma che però la pace non poteva sussistere stantechè i principi cristiani avrebbero mosse le armi al[237] Turco per la ricupera del detto regno. Esser molto tempo che il Persiano nutrisce stimoli di vendetta contro l'Ottomano; ma la tregua seguita fra loro nella presa di Babilonia, di 30 anni, con giuramento solenne lo obbligava all'osservanza. E benchè spirata sette anni orsono, furono tante le cause di ambe le parti che si prorogò da se stessa; perchè il Persiano occupato nella guerra con il Magor per la contesa di Conducar, fortezza di considerazione nei loro confini, ed il Turco impegnato in quella di Candia, fu cagione che ambidue simularono l'odio implacabile che verte tra queste due nazioni; ma l'assunzione al trono del regnante re d'età d'anni 28, con desiderio di riavere il perduto e restituire al nome persiano l'antico splendore, che sempre nei tempi andati fu superiore al Turco, lo stimula ad una generosa risoluzione, annuendo pure alla sua inclinazione i governatori delle provincie, nelle quali sono investiti dalli re in forma di feudo e vi continua la successione nei loro posteri, non come i bassà dell'Ottomano che di niente e senza meriti vengono innalzati al comando il quale appena principiato svanisce, e finisce senza memoria e senza posterità.
Vive dunque nella Persia la brama di cimentare le armi contro il Turco, e si andava disponendo l'armamento con gran coraggio, essendo capitati avvisi ai detti padri in Polonia della mossa di 60,000 cavalli con altri ancora che si attendevano dalle provincie più lontane, oltre la provisione che si faceva di fanteria, benchè lo sforzo di quella milizia consiste nella cavalleria. Essersi già pubblicamente promulgala la intenzione del Persiano, disponer l'armi contro l'Ottomano; essere seguite alcune fazioni nei confini di Erivan. La ribellione di un bassà turco, ricoveratosi sotto il Persiano, e mediante quella di un comandante persiano portatosi nello stato del Turco colle continue scorrerie che si fanno in quei confini, come pure la invasione dei cosacchi con saiche nelle paludi del mar Nero verso la Tana, che obbligava il Turco a spedir colà l'armata di galere. L'unione poi del Moscovita e del Polacco contro del medesimo Ottomano, lo potrà metter in grande apprensione, poichè l'invasione che possono far nel mar Nero, con il mezzo dei cosacchi con le saiche in forma di barche armate con 70 o 80 soldati armati per ciascheduna può opprimerlo molto, mentre lo sforzo dell'alimento di Costantinopoli d'altra parte non gli è permesso, che da quel mare, poco d'altrove avendone rispetto al bisogno di una così grande e popolosa città. Le qual saiche possono con facilità impedire alli vascelli che transitano per quel mare l'ingresso nel canale di Costantinopoli[238] come altre volte è seguito, e che pose in gran costernazione il Turco; sicchè invaso nel mar Nero, molestato per terra nelle Provincie di Valacchia, Moldavia e Transilvania, possono senza difficoltà gli aggressori inoltrarsi fino a Costantinopoli, non vi essendo fortezze nè passi che lo impediscano, per aver anco uniti al loro partito buona parte di quei tartari che non obbediscono al gran Khan di Tartaria e che solo mirano al loro provecchio colla speranza di gran bottino.
L'esibizione del re di Persia fatta alla Serenità Vostra non essere senza gran fondamento, mentre stimate da lui queste forze nella cristianità maggiori di qualsiasi altro principe, si prefigge che possono far molto per mare e reprimere qualsivoglia tentativo del medesimo, perchè oppresso per terra dall'esercito polacco e moscovita, invaso dai medesimi nel mar Nero, che sarebbe un trafiggerlo nelle viscere più interne, assalito dal Persiano nell'Asia, e lontano dalli soccorsi, combattuto nel mar Bianco dalle armi di Vostra Serenità, portandosi le armate fino ai castelli dello stretto, caderà inevitabilmente quella potenza che con tirannide possede tanti regni e che va occupando alla giornata li Stati altrui.
Essere il Persiano propenso molto nell'incontrare le soddisfazioni della Serenissima Repubblica, e va meditando il modo di far conoscere il suo desiderio e di impiegare le sue armi a pro di questa, facendo gran capitale della medesima, per il beneficio che ponno ricevere con tale unione gli interessi di quella corona, come pure la Serenità Vostra.
Ma perchè quel principe non è come gli altri più vicini, e che si internano cogli avvisi nel comprendere lo stato degli altri, sarebbe molto giovevole agli interessi di Vostra Serenità e della cristianità tutta, che si compiacesse spedire qualche persona pratica a quel re colla istruzione di quello che ricerca lo stato presente delle vicende che corrono: perchè nè il vescovo suaccennato, nè altri di quel paese non avendo il filo e la notizia delle cose d'Europa, e di quello ricerca il bisogno non ponno e non sanno rappresentare a quel re, benchè istrutti, una minima parte di quello che farebbe una persona versata in affari simili, perchè al sicuro indurrebbe quel re a deliberazioni molto giovevoli alla cristianità e sarebbe gradita al maggiore segno, essendo stato già in altri tempi fatta simile spedizione dalla Serenità Vostra, come pure capitarno qui ambasciatori di quel re.
E perchè la mossa delle armi persiane contro il Turco può causare[239] che resti preclusa la via al commercio per la Turchia delle merci che capitano a questa piazza dalla Persia, si potrebbe, come il re lo desidera, avere reciproco concorso colle flotte da Ormuz o d'altra scala in fino Moscovia, e di là poi con le carovane per terra per la Polonia e la Germania la condotta delle sete e d'altre merci preziosissime, le quali si porteranno dai medesimi Persiani in questa città con più sicurezza, per mutarle in tante pannine d'oro e di seta e d'altre merci, come si praticava prima simile condotta con le navi d'Aleppo d'altro scalo delle Sorie; perchè se gli Olandesi e gli Inglesi ne vorranno, capiteranno in questa città a comprarne, e non avranno per l'avvenire quelle forme così vantaggiose da loro praticate nella compreda delle medesime sete a loro piacimento, per non saper quei popoli altrove esitarle, e lo facevano a vilissimo prezzo.
Tanto mi dissero di portare alla notizia delle EE. VV. in ordine a quello è stato loro comandato.
Reg. Esp. Princ. pag. 43.
1673, 23 luglio, in Pregadi.
Al re di Persia.
Dai padri domenicani in Europa spediti da monsignor reverendo arcivescovo di Naschirvan, ci sono state rese in questi giorni lettere di V. M. ricevute da noi con quel contento che può esser ben concepito dalla conoscenza della stima rispetto ed affettuosa osservanza professata sempre dalla Repubblica nostra alla sua serenissima casa, e continuata alla sua imperiale persona, secondo l'istituto dei maggiori nostri, dell'assunzione della quale al trono colle più cordiali espressioni dei nostri cuori, ce ne rallegriamo; come alla perdita della Maestà del padre, contribuimo affettuoso sincero compatimento, consolandosi nel vederla compensata colla successione di sì degno erede, d'ogni più squisita prerogativa adornato. Li favori dalla M. V. impartiti nei suoi felicissimi Stati a monsignor vescovo di Naschirvan ed ai cattolici con il riguardo di esimerli da ogni aggravio, che da tenue volontario solo all'imperial cassa, è degno effetto della sua generosità, che obbligando noi a' più sinceri ed efficaci rendimenti di grazie,[240] impetrerà dal grande Iddio alla degnissima persona e casa di V. M. la affluenza d'abbondanti concorsi di prosperi eventi, al singolar merito che la adorna corrispondenti ed adeguati. A' sudditi però di codesto serenissimo imperio saran nei stati nostri sempre e per propension propria nostra, e per corrispondere alle cortesissime deliberazioni sue, prestato ogni miglior trattamento, assistiti li mercanti nei loro negozi, e fattegli godere tutte le prove di affetto e dilezione, e quanto più abbondante sarà il loro concorso sarà tanto maggiore il nostro godimento, di poter con più copiosi effetti far conoscere la stima che per Vostra Maestà havemo, ed il desiderio di comprobargliela con effetti. Con grandissimo sentimento si ricevono pure li cortesi sensi della M. V. verso le cose pubbliche, che ad ogni occorrenza saran sempre corrisposti dalla Repubblica nostra con pari affetto e propensione alle grandezze e vantaggi del suo serenissimo dominio.
Terminando le presenti col pregar a V. M. copiose prosperità e grandezze con incremento di gloriosi successi e lungo corso di anni felici.
E da mo sia preso: che nel darsi nel collegio le lettere ai padri domenicani pel re di Persia, sian dal Serenissimo Principe spese parole che indicando la stima delle lettere e persona reale, dichiarino soddisfazione e godimento per le loro espedizioni verso monsignor vescovo di Naschirvan che li ha mandati.
Sia pur deliberato che a' padri predetti che sono due con li compagni sia pagato il viaggio sino a Fiorenza che importa ducati cinquanta. Ed alli stessi, delli danari della Signorìa nostra sien dati in dono scudi d'argento cento per una volta tanto, che doveran esserli fatti capitar dalli Savi del collegio con la notizia del deliberato per il viaggio, come meglio loro parerà.
De parte | 148 |
De non | 0 |
Non sinceri | 2 |
Padavin Seg.
Senato Corti.
1695, 4 giugno.
Al re di Persia.
Quanto ha sempre la Repubblica nostra tenuto in considerazione di veri amici, e quanto ha professato di affetto e di particolarissima stima a tutti li degnissimi progenitori della M. V., altrettanto conosce opportuno e convenevole nella esaltazione di sua persona presentemente al dominio di codesto celebre regno, portargliene un pieno testimonio con esprimergliene il contento del Senato di veder appoggiata la mole del governo alla grande sua direzione, che tale viene a ripeterlo il mondo tutto per le doti singolari che la adornano e che sono universalmente acclamate.
A questo sentimento di nostra sincera inalterabile osservanza, non potemo non unire quelli delle speranze che giustamente concepimo, nella costanza e nel vigore coi quali da noi si versa, con profusioni d'oro e di sangue, per far argine alle vaste immagini della potenza ottomana di predominare l'universo intiero, veder anco dal canto della M. V. date le mosse ai proprii vittoriosi eserciti contro sì potente inimico, per tener abbassato non solo il di lui fierissimo orgoglio, ma per restituire a codesta corona quei stati che con violenta ed ingiusta usurpazione gli sono stati dal medesimo smembrati, onde vagliano le glorie di V. M. a divertire le vessazioni comuni, augurando noi al suo grande merito li avvenimenti più fortunati e le felicità più desiderabili, congiunte con lunghezza d'anni.
De parte | 125 |
De non | 0 |
Non sinceri | 1 |
Senato Secreta.
Sia lodato il grande Iddio,
Sia sempre benedetto il nome del potente Iddio,
Sia lodato e salutato il profeta Macometto et suoi seguaci.
Al sublime, eccelso, magnanimo signore, imperatore e monarca, supremo duce, glorioso, trionfante, cospicuo tra i più grandi imperatori. A voi che siete il re più potente fra i nazareni credenti, ed arbitro degli affari tra i più maestosi principi della religion del Messia e di tutto l'imperio della cristianità, quello che porta sopra il capo la corona universale e possiede la fortuna di Alessandro Magno, possessore del manto della gloria concessa ab eterno dalla maestà del sommo e potente Dio, signore che viverà in tutti i secoli glorioso e trionfante, che così le viene da noi augurato con tutta la credenza maggiore.
Si porta li più sinceri, amichevoli, cordiali ed affettuosi saluti quali possono derivare dalla corrispondenza pronta di buon amico. Dopo di che si notifica alla S. V. e grandezza esserci pervenuta una lettera scritta dalla sua magnanimità e presentataci in ora propizia da Antonio Doni, il quale ha in tutti i numeri adempiuto il comando che dalla sua sublimità gli è stato commesso, e dal quale ci è stata con tutte le forme più efficaci rappresentata la buona disposizione che la grandezza sua si compiace conservare verso di noi.
In quanto a quello si pratica in questo stato intorno al succedere all'eredità delle facoltà dei fratelli, cioè quando un armeno abbracci la legge maomettana, è costume sempre mai continuato e però tale essendo non si può alterare la legge antica: così lo rappresentiamo alla sua notizia poichè costà non può esser cosa alcuna a lei nascosta; tuttavolta per levare qualsisia inganno o pregiudizio dei medesimi si daranno ordini espressi ai giudici cui spetta, acciò questa nazione non abbi a soggiacere ad alcuna molestia, ma solo a quello comandano le leggi antiche, e ciò sarà fatto e intanto se ci sarà dato il modo di manifestare sempre più la nostra cordiale e sincera amicizia colla Ser. V. capitando qui alcuno dei suoi sarà in tutti i numeri ben visto, se li somministrerà ogni aiuto e si procurerà di fare il possibile acciò si adempisca la volontà della sua grandezza. Tanto desideriamo di corrispondere alle sue cordiali espressioni che[243] si è compiaciuta darcene nelle sue lettere, le quali da noi al maggior segno sono desiderate, acciò sempre resti ferma e radicata questa buona corrispondenza, che come tale viene da noi sempre promessa, e per il resto il grande Iddio sii quello che prosperi e rendi fortunato il suo stato ed imperio.
Sigillo: Il servo di Dio, Abbas re di Persia.
Liber dominorum, Arch. gen., la sola traduzione.
1663, 29 decembre.
Al re di Persia.
Fra le glorie più insigni della M. V. quella particolarmente risplende della bontà colla quale si degna di riguardare ed amare li proprii sudditi; nè essendo li cattolici commoranti sotto il felice suo impero niente meno divoti ed affezionati alla di lei corona di quello sieno gli altri, a ragione si persuadono e promettono ogni favore. Di qui è però che dovendo la M. V. essere supplicata dal padre fra Antonio Fassi domenicano vicario generale in Oriente di una grazia a favore dei medesimi, come essi se la persuadono dalla generosità del di lei animo, così la Repubblica nostra, che professa grande osservanza verso il suo cospicuo nome e che tiene tanta parte nel vantaggio del cristianesimo, viene ad intercedere con tutta la sua svisceratezza dell'animo per la medesima, il che non anderà disgiunto dai riguardi del vantaggio della sua corona, e sommamente obbligherà la Repubblica stessa, la quale brama che dalla M. V. sia prestato cortese l'orecchio al padre suddetto in ciò che le rappresenterà in ordine alla suddetta istanza. E qua alla M. V. bramando gli incrementi delle maggiori felicità, gli auguriamo felice e prospero il corso degli anni.
De parte | 125 |
De non | 1 |
Non sinceri | 2 |
Tommaso Pizzoni Seg.
Questa raccomandazione è stata chiesta dal granduca di Toscana per mezzo del suo residente a Venezia Celesi; il quale fatto venire in collegio nel 29 decembre ebbe oltre questa lettera un'altra pel granduca, acciò il padre Fassi per incarico di quello sostenesse in Persia gli interessi della causa comune, rispetto agli impegni colle armi turchesche in Ungheria, invitando lo shàh a coglier l'occasione di riacquistare alla propria corona l'antico patrimonio.
Senato Corti, Reg. 40 e Filza 59.
18 luglio 1669.
Serenissimo Principe,
Quelle insegne gloriose che tiene spiegate la Serenità Vostra a difesa della cattolica religione sono tante ali della fama, che pubblicano le glorie di questa Ser. Rep. anco nelle più remote parti del mondo. Di qui è che per interceder l'alto patrocinio di V. S. sin dalla Persia son quì venuto; io Arachieli arcivescovo armeno servo umilissimo di Vostra Serenità.
Fiorisce in quelle parti tra le spine del maomettanismo la cattolica religione, e quei poveri cristiani bramano erigere nella città di Erivan una chiesa, e la pietà del sommo Pontefice è concorsa a scrivere al re di Persia perchè permetta questa erezione. Il stesso breve pontificio, accompagnato da molti testimoniali di quello eminentissimo porporato, humilio alla Serenità Vostra per comprobazione del tutto, e la supplico col solito di sua cristiana carità accompagnarmi anch'essa con sue lettere al re di Persia, acciò mediante le alte intercessioni della Serenità Vostra più facile riesca la permissione della erezione.
Humiliato pure imploro gli effetti della pubblica real munificenza, che valgano a sovvenirmi in un così lungo e disastroso viaggio, accertando la Serenità Vostra che così io nei miei sacrifici, come tutti quei poveri cristiani porgeremo fervide le preci alla Divina Maestà, perchè conceda vittorie e palme alle armi gloriose della Serenità Vostra. Grazie.
Senato Corti, 83.
1669, 20 julii in Senatu.
Ad Persarum Regem.
Pietatis impulsu digne excitatus venerabilis archiepiscopus Arachielis armenus prolixo plane despecto itinere Romam adiit, ubi humanitate ac virtute emicans vir habuit consequi apud Maiestatem Vestram officiosas ac enixas summi Pontificis commendatitias, ut generose ac perlibenter ipsi eadem largiatur facultatem construendi ecclesiam in civitatem de Erivan in cultum erga Deum et in Christi fidelium solatium qui illic incolunt. Eundem ergo huc perventum comiter excipimus cura suavitatis et honesti gratia ingenii causa, tum honoris, quo ipsum idem summus Pontifex suarum litterarum commenta prosecutus est, et ipsi Archiepiscopo nostrarum ibidem commendationum cupiditate flagranti, grato animo condescendimus, eas perlibenter concedendo, presertim ob sic nobis oblatam opportunitatem in Majestatis Vestrae memoriam redigendi veterem nostram observantiam. His igitur enixe rogamus, ut benigne de erectione eiusdem templi sua regia voluntas assentiatur, quam ipse Archiepiscopus suppliciter implorabit, non temere credentes Maiestatem Vestram consueta mira clementia imperturam hoc gratiae; quod certo fiet non absque sui nominis praeclarissimi gloria quae ab avectione divini cultu sibi emanavit, et inde magnus ad sua pristina erga nos studia cumulus accedet. Hoc interitu a Deo summopere petimus ut satis longum vitae spatium M. V. peragat et omnia sibi feliciter eveniant.
E da me sia preso che del danaro della Signorìa Nostra sia dato in dono per una volta tanto ducati cento buona valuta al sopradetto arcivescovo armeno.
+ | 81 |
- | 0 |
- | 3 |
Lodovico Franceschi Segretario.
Senato Corti, 83.
Sia glorificato il nome di Dio.
Silvester Valerius,
Adorno di felicità, principe confederato e grande di Venezia e delli stati Bergamasco, Cremasco, Bresciano, Veronese, di Padova, del Polesine, del Cadorin, dell'Istria, della Dalmazia, d'Epiro, Lesina, Corfù, Cefalonia, Zante, Cerigo, Candia, Micone, del Vicentino, del Trevisano, Feltrino, Bellunese, Cherso, Arbe, Chersoneso, ecc. Siccome colle espressioni fregiate dell'amicizia e buona corrispondenza mi portate le notizie ripiene di congratulazione e testimonianza di affetto per la assunzione mia disposta dalla divina Provvidenza al trono monarcale ed ornamento del mondo, così bramo di accudire in questo tempo con diligenza acciò possa riescir bello e fruttifero il fine; e che un albero piantato di primavera faccia confidare un buon autunno nella raccolta dei suoi desideri.
Si dissiparono poi in un istante le nubi ai raggi luminosi della pace ed amicizia con la partecipazione favorevole del vostro ben stare ed abbondante del genio vostro sincero verso di me, assieme con le vaste idee che nutrite per l'avanzamento a gradi maggiori che io ve lo prego dal creatore, ed assicuro che dal mio canto si avrà sempre riguardo a quello concerne alla grandezza e dominio del mondo.
Intanto vi desidero un fine propizio ed una vita coronata di vittorie ed aiuto eterno, come pure la continuazione della vostra colleganza. Ed augurando al vostro dominio e governo potenza e fine fortunato, prego Dio vi concedi il suo perdono.
Con tali caratteri invia e rappresenta la dichiarazione della sua sincerità il servo dell'Altissimo.
Sigillo — Sultan Huseim Monarca universale figlio di Suleiman.
Questa traduzione è del dragomanno Fortis; l'originale ed il sigillo, fotografati, stanno a pag. 1 e 55 della presente memoria.
1697, 15 marzo, in Pregadì.
Al re di Persia.
Passa negli stati felici di V. M. mons. rev. fra Pietro Paolo Palma carmelitano scalzo arcivescovo d'Ancira, per affari incaricatigli dal nostro sommo pontefice, e sebbene siamo certi che per le distinte condizioni di virtù e di merito che adornano questo degno soggetto, sarà benignamente accolto coi suoi compagni dalla bontà della Maestà Vostra, non lasciamo di raccomandarglielo, come pure li suoi negozi che anderà maneggiando, e stessamente monsignor Elia pure carmelitano scalzo, e tutta questa esemplar religione.
Confidiamo nell'animo invitto e grande di Vostra Maestà che queste nostre raccomandazioni saranno gradite dal suo molto stimato affetto, mentre noi siamo pronti a dare alla Maestà Vostra in tutti gli incontri vere prove dell'osservanza nostra sincera verso la reale persona di Vostra Maestà, a cui bramiamo incrementi sempre maggiori di gloria in anni lunghi di felicissima vita.
Affermativi | 112 |
Negativi | 0 |
Non sinceri | 0 |
L. S.
Michel Marino Segretario.
Filza Roma ordinaria, 1697.
1718, 23 decembre, in Pregadì.
Al re di Persia.
Dar cuore magnanimo dei gloriosi predecessori di Vostra Maestà e dall'imperiale benignità sua, protetta sempre egualmente la cattolica religione nei suoi felicissimi stati, riesce alla stessa tanto più sensibile il vedersi perturbata, quanto più lontani dalla regia sua mente son li disordini arrivati a Tiflis in Georgia ad istigazione del[248] patriarca armeno e di un certo Minas Vartutier, con danno personale dei cappuccini missionari e d'altri armeni cattolici e collo spoglio della loro chiesa.
Quanto degno è l'oggetto di presentarsi all'animo retto e pietoso di Vostra Maestà per esigere gli effetti della sua imperiale giustizia, altrettanto forte è il motivo che move gli animi del senato ad avanzarle le proprie premure, onde con ogni maggiore efficacia preghiamo la Maestà vostra a degnarsi di porger sollievo agli oppressi cogli ordini opportuni, affinchè cessino gli insulti e le animosità, e sia restituita la cattolica religione nella sua pristina quiete. Mentre però in favor della istanza parla con vigor sufficiente l'equità, ed essendo certo il senato che questo titolo sarà motivo bastante per meritarsi l'imperial sua protezione: così non ci resta che ravvivare con tale incontro alla Maestà Vostra l'antica stima ben distinta e la osservanza affettuosa che la Repubblica nostra professa alla serenissima sua casa ed imperiale persona, e pregare il grande Iddio che sopra di essa diffonda le grandezze e prosperità più copiose, con incremento di gloriosi successi, e che il giro degli anni della Maestà Vostra sia lungo e ricolmo di ogni più desiderabile felicità.
De si | 96 |
De no | 1 |
Non sinceri | 0 |
Giovanni Maria Vincenti Segretario.
Senato Corti, Registro 95.
Illustrissimi ed Eccellentissimi Signori V Savi alla Mercanzia,
Incaricata dal comando delle EE. VV. l'umilissima persona mia, di renderle informate di quali e quante spese occorrono sopra le mercanzie, le quali si distaccano da questa dominante per giungere in Astrakan, porto in ora dipendente dall'imperio di tutte le Russie e situato alle bocche del Volga, per mezzo delle quali esso gran fiume si scarica nel mar Caspio, non ho creduto di poterlo adempiere in modo migliore che con quello di rassegnare a VV. EE. l'inserto conto,[249] il quale con chiarezza e preciso dettaglio dimostra ogni e qualunque spesa non solo, ma quale è altresì la strada per cui le mercanzie da queste lagune presentemente giungono, traversando li mari Adriatico e Arcipelago, li stati Ottomani, il regno di Persia ed il mar Caspio fino alle foci del Volga.
Dalla nota stessa rileveranno le EE. VV. che sopra colli 61 di libbre 500 sottili cadauno, in conseguenza pesanti fra tutti libbre 30,500, composti per la maggior parte di specchi, conterie, robe, allume, panni ad uso di Francia e carta tutte manifatture venete, come pure di qualche porzione d'oro cantarin, aghi e fil di citra, lavori germanici ascendenti al costo di L. 45,193 piccole, comprese le loro spese sino a bordo, nonchè le sicurtà sopra veneta nave sino in Alessandretta, rileveranno dico, che montarono le spese del loro distacco da questo porto sino al loro giungere per Aleppo in Babilonia a lire 20,313 piccole.
Nel caso poi che si avesse voluto far tradurre questi stessi colli 61 di merci sino in Astrakan per mezzo del Tigri e Bassora, indi per il seno Persico e Buscir ad Ispahan, poi nel Ghilan e finalmente per il Caspio in Astrakan, osserveranno che la aggiunta delle spese al proseguimento di un tal viaggio rileva oltre L. 41,310,15; sicchè unite queste alle precedentemente accennate spese da Venezia in Babilonia di L. 20,313 sommano assieme L. 61,623,15, che seco portano L. 45,193 di costo di mercanzie in peso di libbre 30,500.
Le spese adunque sopra le merci da Venezia sino a Babilonia montano a 15% sopra il loro capitale ed a soldi 14 per ogni libbra di peso veneto sottile, e giungendo poi esse merci sino in Astrakan arriverebbero le spese al 30% sopra il loro costo, ed a soldi 40 per ogni libbra del loro peso.
Oltre alla accennata strada per la parte meridionale della Persia, avvi per l'altra parte settentrionale di quel regno l'altra via di Tauris con cui si può passare dalli stati Ottomani nelli Russi, traversando li stati Persiani; ma quantunque questa sii strada più breve ed anco meno costosa, ciò non ostante praticata non viene attesi li gravi pericoli che incontrerebbero le merci e i loro condottieri attraversando il deserto, denominato deserto nero.
Ho l'onore di esponere tutti questi fatti, ed asserirli per indubitati per propria mia pratica o per asserzione non dubia degli Armeni miei compatrioti, li quali al presente a questa parte si trovano dopo averne incontrate le prove essi medesimi. Possiamo poi assicurare noi tutti con costanza a questo gravissimo Magistrato, che intanto[250-252] limitatissimo si è il commercio tra questa dominante e la Persia con il Volga, che fanno gli Armeni qui domiciliati, come pure quelli che di continuo viaggiano trasferendosi dagli uni agli altri stati, in quanto che le spese sopra le merci dell'esporto e dell'introduzione, come le EE. VV. rilevano, sono maggiori del capitale, ed inoltre perchè a comodo delle differenti vetture del viaggio, ora con cammelli, che portano sino a libbre 1000, ora con muli capaci di libbre 600 solo, e qualche volta di altri animali da soma che non possono levare se non il peso di libbre 300, delle quali differenti vetture è necessità di servirsi, conviene più di una volta disfare e rifare li colli, ed assoggettarsi bene spesso alle ruberie, e per la difficoltà poi e lunghezza del viaggio soggiacere a rotture, le quali, massime nelli specchi e robe di allume lavoro di questo metropoli, sono assai significanti. Per altro qualora tutti questi ostacoli non si incontrassero, ed il cammino per giungere dall'Adriatico nel Caspio potesse riuscire più facile e più breve, anzichè limitato quale in oggi egli è per le difficoltà esposte, abbondantissimo e quasi immenso riescirebbe un tal traffico, tanto per ogni genere di prodotti e di manifatture che da questi stati si tradurrebbero nell'Asia, quanto delli effetti dell'Asia stessa che a questa parte giungerebbero.
Umilmente esposto quant'era a mia cognizione e quanto di vero ho potuto rintracciare da pratiche persone nel proposito ho l'onore di inchinarmi e di baciare le loro vesti. Grazie.
Li seguenti colli 61 merci diverse spedite per via di Alessandretta in Babilonia costano posti a bordo | L. 45,193 » | ||
Avvertendo che ogni collo pesava libbre 500 sottili compresa la cassa pel comodo del trasporto da Alessandretta in Babilonia sopra cammelli. | |||
Seguono le spese occorse ai colli suddetti da Alessandretta sino in Babilonia, secondo il rispettivo loro contenuto cioè: | |||
N. 2. Casse Luci dall'Ebreo con foglia | Pezze 155 50 | ||
» 1. Cassa detti senza foglia | 74 20 | ||
» 6. Casse rubini n. 1 e n. 2 | 410 34 | ||
» 1. Cassa aghi gialli | 68 32 | ||
» 1. Cassa fil di citra | 79 08 | ||
» 2. Casse oro cantarino | 152 16 | ||
» 4. Balle panni ad uso di Francia | 327 63 | ||
» 2. Casse rubini n. 3 | 143 62 | ||
» 3. Casse olivette nere n. 2 | 217 58 | ||
» 3. Casse coralli falsi | 289 96 | ||
» 2. Casse di aghi da cucire | 170 91 | ||
» 3. Casse conteria diversa | 145 64 | ||
» 1. Cassa carta dorata | 57 21 | ||
» 30. Ballotti carta bianca | 1,241 89 | ||
Pezze 3,534 04 | fanno | L. 20,315 » | |
L. 65,508 » | |||
Vi sono poi le altre spese da Babilonia fino in Astrakan, le quali sebbene ai suddetti colli non sieno occorse per non essere in detto luogo passati, non ostante spedendoli però sono le seguenti, cioè: | |||
Da Babilonia a Bassora per acqua sul Tigri P. 5½ per % | Pezze 335 50 | ||
A Bassora, dogana di sortita 2½ per % | 240 » | ||
Da Bassora a Buscir, pel seno Persico, a pezze 6 per collo | 366 » | ||
A Buscir, porto della Persia, dogana di entrata a 2% | 240 » | ||
Da Buscir a Shiraz sono giorni dodici di cammino a 4% | 1,464 » | ||
Si avverte che a Buscir conviene disfare li colli e formarli di L. 250 l'uno, sottili, perchè vanno a schiena di cavalli e muli, e non più a cammelli, e qualche volta per mancanza di cavalli e muli convien farli condurre a schiena di somari, e per questi si devono formare li colli di L. 120 circa sottili; e qualche volta oltre lo smarrimento e patimento delle mercanzie vi è la spesa del disfare e far di nuovo le casse suddette che non è indifferente. | |||
A Schiraz, dogana a 2½ per % sopra la stima | 300 » | ||
Da Schiraz ad Ispahan giorni 12 a P. 16 per collo di libbre 500 sottili | 976 » | ||
A Ispahan dogana a 2½ per % sopra la stima | 300 » | ||
Da Ispahan a Ghilan giorni 25 a P. 20 per collo di 500 libbre sottili | 1,220 » | ||
A Ghilan dogana a 51⁄6 sopra la stima | 600 » | ||
Da Ghilan in Astrakan per nave a P. 6 per collo di libbre 500 | 366 » | ||
In Astrakan dogana 7% sopra la stima di P. 12 | 840 » | ||
Pezze 7,247 50 | fanno | L. 41,310 15 | |
L. 106,818 15 |
Ascendendo l'importo delle suddette mercanzie qui fino a bordo L. 45193, quindi le spese che, come sopra, di poi occorrono, le aggravano di più di 35 per % circa.
Si avverte che da Babilonia può andarsi in Astrakan per la via di Tauris, passando per il deserto negro, e sono le spese all'incirca come sopra, e forse meno qualche cosa, ma per altro la strada è più pericolosa.
Archivio Cicogna, codice MDCCXCVII, fra le carte che appartenevano al senatore storiografo Francesco Donà.
Lettera scritta dal re di Persia all'ill.mo signor Giovanni Francesco Sagredo, console veneto in Aleppo, tradotta dal persiano in italiano.
Signore illustrissimo. Il desiderio mio, Re di Persia, da voi ill.mo signor console veneto nella Sorìa, degnissimo, onoratissimo, meritissimo e giustissimo giudice, il quale io molto amo, è che V. S. Ill. abbia per raccomandati li miei dipendenti, che vanno e vengono del continuo per coteste parti, e li favorisca, siccome io[253] per il passato ho fatto, e per l'avvenire farò a tutti i suoi, che capiteranno in queste parti, alli quali resterò con obbligo di favorire per amore di V. S. Ill. e del serenissimo senato, stantechè tutti li miei predicano molto bene del favore che del continuo ricevono. Però per l'avvenire V. S. per amor mio non manchi di fare il medesimo, che io come affezionato alli cristiani non mancherò per l'amor suo di fare lo stesso in questi miei paesi: e così come V. S. è stata dal suo principe sostituita costì, così anco nel mio regno ha la medesima autorità e potestà; et inoltre in ogni altro che ella desideri da me in suo contento, me ne faccia consapevole che sarà soddisfatta. Et in fine etc.
1608 — 11 Archivio Donà. Miscellanee.
A Giovanni Francesco Sagredo console veneto nella Sorìa.
D'ordine della maestà regia fo sapere a voi, onorato giudice e console della nazione cristiana, che avendo noi inteso da tutti li nostri messi, ambasciatori ed uomini che vanno e vengono di lì, li buoni trattamenti e le cortesie che voi li usate, e li favori che ci prestate per amor nostro, siamo restati di voi e delle opere vostre grandemente soddisfatti, e però giudicandovi degno dell'amore e grazia nostra, abbiamo voluto con questa regal carta darvi segno della buona volontà, ed affetto verso di voi, che è concepito in noi verso la vostra persona, la quale affezione anderà di giorno in giorno crescendo nella real nostra persona, si come anderete voi crescendo con questa volontà e amore nella divozione verso la nostra real corte, che sarà anche causa di accrescere maggiormente l'amore e la affezione che portiamo alla razza cristiana. E pertanto farete conto di risiedere lì non solo per il vostro altissimo e potentissimo principe di Venezia, ma anco per noi e per li nostri sudditi persiani, ai quali non resterete di prestar favore ed aiuto nelle occorrenze, e se da qui havete bisogno di cosa alcuna, lo farete senza alcun rispetto sapere alla nostra alta corte, che sarete da lei gratificato ed esaudito prontamente; così sappiate e prestate fede a questa nostra regal lettera.
1610, Filza Atti turcheschi.
Il regno è di Dio.
All'onorevole e prudente fra li seguaci principali della nazione cristiana, eletto fra i più nobili della generazione credente al Messia Giovanni Francesco Sagredo, il cui valore sia in aumento.
Dopo molti amorevoli ed amichevoli saluti che si convengono alle onorate sue qualità e condizioni, le si fa sapere con questa nostra regal lettera che sono state da noi ricevute per mano dell'onorato fra i sapienti della religione cristiana fra Vincenzo carmelitano le sue lettere piene di amore ed osservanza verso la nostra regal corte, insieme coll'onorato presente che le è parso di mandarci, il quale è stato da noi ricevuto ed accettato volentieri, perchè pervenuto dalle mani di persona che da noi è amata molto per la sua prudenza e buona disposizione che ha mostrato sempre in ogni occorrenza del nostro real servizio in Siria. Però ringraziandola molto le diremo di aver presentemente inteso da esse sue lettere il servizio prestatoci nel custodire ed inviare qui quelle robe che si ritrovavano costì di nostra ragione, e li favori e le cortesie usate alli nostri mercatanti ed agenti in quelle parti, la qual cosa avendo portato molto piacere e contento al nostro real animo è stata cagione di accrescere in noi la buona volontà ed affezione verso la sua persona ed il desiderio che abbiamo di gratificarla in ogni occorrenza: intanto augurando noi buono ed onorato fine alle sue azioni e prosperità maggiore alla sua casa, l'abbiamo ora per segno di questa nostra buona volontà ed affezione, come amico et curatore della nostra inclita eccelsa corte, eletto nostro procuratore generale nella città e stato di Venezia, volendo che tutti li nostri agenti e mercanti che capiteranno in quelle parti sieno ricevuti ed accettati da lei e fatti spedire delli loro negozi e faccende, ed in particolar di quelli così che si saranno da noi commessi ad uso della nostra regal corte; e offerendoci ancor noi pronti di far prestare dalli nostri qui ogni aiuto e favore alli suoi agenti e dipendenti che verranno nella Persia: desiderando noi che siano sempre aperte le porte fra l'una e l'altra parte alli negozii e commerci per servizio ed utilità comune di ambedue li stati; ed occorrendo particolarmente cosa alcuna qui in questa provincia per uso della sua persona ne la faccia sapere che sarà da noi adempito ogni suo desiderio, e la si assicuri del nostro amore in ogni tempo.
Dato nella luna di.... dell'anno del nostro Profeta 1020. (1611).
Filza Atti turcheschi.
Il regno è di Dio.
Con questa real carta si fa sapere a Voi, onorata turba di mercanti venetiani, a' quali il signor Dio sia sempre propitio e favorevole, che avendo noi avuto sempre particolar mira di favorire et accarezzare nel nostro florido regno tutti li mercanti forestieri, sia di che grado et conditione esser si voglia, et in particolar quelli della natione cristiana amata et stimata da noi molto, non abbiamo mancato di procurare in ogni tempo di dar così a quelli, come a questi, et più a questi che a quelli ogni possibile satisfazione, acciò che ognuno di essi ritornasse alla sua patria et paese contento e satisfatto delli nostri buoni et onorati trattamenti, siccome potranno far di ciò fede tutti li mercanti della nazione franca et armena che sono stati finora in questa provincia; nè avendo mai permesso, nè consentito che niuno delli nostri sudditi e vassalli li possi far alcuna minima offesa et oltraggio, nè meno dargli danno che possi importar tanto quanto importa un semplice capello della testa sua.
Ma nondimeno vedendo noi che per tema e rispetto di questi presenti moti di guerra, li mercanti cristiani non ardiscono di venire così liberamente qui in questi paesi, come fanno tutti gli altri, abbiamo voluto colla presente nostra esortarli ed invitarli a voler frequentare senza alcun rispetto questo nostro amplissimo regno, et continuar con animo libero et franco nelli soliti negotii et faccende, per servizio ed utilità comune delli sudditi di ambedue le parti, che saranno da noi ben veduti ed accarezzati in ogni città et loco del nostro stato, dandoli libertà di poter comperare e condur fuori del nostro regno seta et ogni altra mercanzia senza tema di essere molestati od impediti da alcuno: siccome abbiamo anco di ciò scritto all'onorato fra i grandi e principali della nazione cristiana Giovanni Francesco Sagredo che è stato da noi eletto commesso generale nella città et stato di Venezia, il quale facendo consapevole di questa nostra buona volontà e desiderio tutti li onorati mercanti di Venetia, farà ad ognuno di loro palese questa nostra reale patente.
Data nella luna di Rabilsan dell'anno del nostro propheta 1020, cioè nel 1611.
Fra i nostri Codici.
Il regno è di Dio
Al famoso et eccelso fra i Principi et signori grandi della nazion cristiana, sublime fra i più nobili e potenti del popolo vivente nella legge del Messia, ornato di virtù, valore et prudenza, pieno di gravità, pompe e grandezze il Principe di Venezia et altri onorati signori et giudici della Repubblica veneziana: che il Signor Dio conduca a fine ogni loro buono et onorato desiderio.
Dopo molti honorati et affettuosi saluti che derivano dall'amore ed affezion grande che portiamo alla sua eccelsa persona, et a tutta la sua famosa Repubblica, le facciamo sapere, con questa nostra real lettera, come abbiamo ricevuto, per mano dell'honorato et scientifico padre fra Vincenzo carmelitano, le sue onorate lettere, con le quali avendoci fatto sapere la buona e sincera volontà et affezion grande che lei e tutti li signori della sua Repubblica portano a questa nostra sublime corte, hanno accresciuto nel nostro real animo la stima che facciamo della loro buona amicizia, tanto maggiormente che abbiamo da esse sue lettere inteso li favori prestati, le cortesie usate costì alli nostri agenti, et anco la buona espedizione delli loro negozi, seguita mediante la loro honorata protezione et aiuto. Del che restando noi grandemente satisfatti, le auguriamo all'incontro da Dio felice avvenimento in ogni loro azione, et aumento di maggiore prosperità et potenza conforme al loro desiderio. E le facciamo di più saper con questa nostra real lettera, che essendo da noi e dalla nostra sublime corte osservate perfettamente le condizioni della buona e sincera amicizia e confederazione con tutti li principi e signori grandi della cristianità, siccome per le continue legazioni ed ambascerie che sono state mandate e ricevute fin'ora d'ambedue le parti s'ha potuto chiaramente vedere, così desideriamo che facendo ancor loro il medesimo con noi e con la nostra eccelsa corte, non voglino mancare di darci segno di questa loro sincera volontà et affezione in ogni occasione, che le si rappresenterà concernente il suo reale servizio et interesse; e sopra il tutto desideriamo di vedere spesso loro lettere per segno della continuazione et perseveranza loro nella suddetta[257] buona volontà et amicizia: come che non mancheremo di far anco noi il medesimo dal canto nostro, esortandoli a comandar liberamente alli mercanti et sudditi del loro stato che debbano frequentar sicuramente con li loro traffichi et mercanzie il nostro custodito paese, perchè saranno benissimo veduti et accarezzati in ogni città et luoco del nostro stato, sì come possono far di ciò fede tutti quelli mercanti et altri della nazion franca, che l'hanno veduto et esperimentato; et noi li assicuriamo da ogni molestia, et travaglio, dandogli autorità di comprar, trager, et condur fuori dal nostro stato seta et ogni altra mercanzia che li parerà; et saranno sempre honorati et stimati meglio di ogni altra nazione et anco delli medesimi sudditi mussulmani; e se tanto per suo uso, che della eccelsa Repubblica, occorresse cosa alcuna qui nella Persia, ce lo faccia sapere che sarà da noi adempito volontieri ogni loro onorato desiderio, come si conviene alla buona amicizia et unione d'animo che è tra noi, la quale desideriamo che sia sempre in augumento.
Dato nella luna di Rabilsan dell'anno di Macometto 1020, cioè nel 1611.
Archivio Donà, Miscell.
Lettera del re di Persia al nob. Alvise Sagredo.
Giunta che sarà al glorioso, nella religion del Messia, Alvise Sagredo gentiluomo del Consiglio dell'Ecc. Signoria di Venezia, questa nostra regia lettera, sia noto come dal canto nostro regio gli desideriamo ogni onore, e che le nobilissime sue azioni sieno sempre sublimate; e che sono capitate nell'Eccellentissima nostra Corte molte sue lettere scritte al padre Taddeo, dalle quali siamo stati ragguagliati dell'allegrezza da lei sentita per le nostre gloriosissime vittorie, avvisategli da Alvise Parente uomo grande fra i suoi pari: il che ha fatto maggiore la nostra benevolenza verso di lui.
Quello che scrive poi circa al mandar detto Parente in questo nostro[258] regno, per comprar le nostre sede e per trattar con noi importantissimi interessi, gli dicemo che non può far se non bene, perchè finora tutti quelli che sono venuti nelli nostri paesi, così li uomini come le mercanzie, espediti che hanno li suoi affari se ne ritornano contenti alle patrie loro, e potendo ognuno venire ed andare a suo piacimento, tanto maggiormente potranno farlo li agenti suoi, li quali così nelle compere come nelle vendite saranno sempre protetti e favoriti, nè mai riceveranno molestia alcuna. Scriveressimo volentieri nostre lettere all'Eccellentissimo ed Eminentissimo Principe di Venezia, signore dei popoli cristiani, ma non avendo noi sentita nuova alcuna di Sua Serenità stimiamo superfluo il farlo; speriamo però in Dio Altissimo di doverne ricevere, ed allora poi non mancheremo di corrispondere a quella Repubblica in conformità della buona amicizia che tenemo seco, ed è quanto si conviene.
Già molto tempo Riza agà, uomo delli grandi della nostra Corte, ha mandato a quella volta con i suoi agenti 30 in 40 some di sete delle nostre regie entrate, e quelle ivi giunte sono state vendute, come dalle lettere del console veneto in Aleppo siamo avvisati, e che anco per il buon governo di quella città sono stati custoditi li retratti nella zecca dove tuttavia s'attrovano. Pertanto è convenevole che giunto che sarà in quella città Mehemet Alì servitore del gran ministro sopradetto abbi lui cura in conformità della buona amicizia che tiene con la nostra regia persona di farli aver il tratto a esse nostre sete, procurando che il detto Mehemet con li agenti e servitori predetti, pervenghino sani e salvi con la sopradetta facoltà nella nostra eccelsa Corte. Del resto se lei potesse venirsene con licenza dei suoi superiori in questo nostro regno, proverà favori tali che maggiori non saprà desiderarne, e tratteressimo negozi di gran rilievo per servizio di ambe le parti. Venga dunque allegramente che sarà sempre ben veduto e trattato e farà esperienza dell'amore che le portiamo.
Data nel mese di settembre 1627.
Archivio Cicogna, codice MDCCXCVI.
1629, 13 marzo in Pregadi.
Al Serenissimo re di Persia.
Quanto maggiore il desiderio della Repubblica nostra che fra li sudditi di Vostra Maestà e li nostri, passi reciproca buona intelligenza e traffico mercantile, utili ad ambi li stati, altrettanto ne riesce caro tutto ciò che viene dirizzato a questo fine. Per tanto carissimo ci è stato quello che abbiamo inteso dalle lettere della Maestà Vostra scritte al diletto nobile Alvise Sagredo, soggetto da noi per le sue ben degne condizioni grandemente amato, conducendosi nella Persia a negozio mercantile sarà ricevuto con quel candido e sincero animo che viene da lei espresso nelle medesime lettere, con la confirmazione in esse della buona disposizione della Maestà Vostra verso la Nostra Repubblica; e consolati rimanemo grandemente del buon zelo che vi tiene Vostra Maestà.
Noi ancora dove conosceremo poter riescire profittevoli ai suoi mercanti ed al comune interesse non mancheremo di porgere l'opera nostra, con quella prontezza vivezza ed affetto che avemo sempre fatto, e ne può essere stato riferto da suoi essendone grandemente a cuore la libertà del negoziare nel stato nostro a tutte le nazioni, specialmente alli Persiani; e siccome ricevemo a favore ogni testimonio che provenga da lei a maggior espressione della sua buona volontà verso il predetto diletto nobile nostro, così insieme col ringraziarnela di vivo cuore, venimo a renderla certa che tutte le volte che ne sarà dato modo non mancheremo con veri affetti di corrispondere a così graziosa dimostrazione e di conservare la nostra sincera cordialissima osservanza e comprobazione della buona amicizia che abbiamo tenuto sempre colli Serenissimi suoi Precessori; e che conserviamo e conserveremo sempre sincerissima colla Maestà Vostra affettuosa volontà verso le sue soddisfazioni, desiderandole sempre ogni maggior prosperità e contento; e gli anni di Vostra Maestà sieno lunghi e felicissimi.
De parte | 114 |
De non | 4 |
Non sinceri | 7 |
Alberto Zuntani
Nodaro Ducal.
Archivio Manin, codice MCCCLVII.
Copia di capitolo contenuto nella parte dell'eccellentissimo senato 7 dicembre 1548.
L'anderà parte: che salve e riservate tutte le parti prese a questa non repugnanti, sia per l'autorità di questo consiglio preso et etiam confirmato nel nostro M. C. che l'elezione del nuovo console et successori, se faccia per anni 3 in loco de anni 2 che stanno ora, e il titolo suo sia Console della Sorìa, il qual console star debba in quel luoco della Sorìa che per questo Consiglio sarà deliberato più comodo alli mercadanti et mercanzia, e che sia di minor spesa al cottimo; il quale console aver debba de salario ducati 600 all'anno a v. l. 6,4 per ducato, netti da ogni angaria per sue spese, et etiam habbi tutti li consulagi di Tripoli e della Sorìa, il che sarà di buona utilità al predetto console per esser compita la concessione facta per il Consiglio nostro dei X alli figliuoli del n. h. Angelo Michel come avevano loro giusta la parte presa in questo Consiglio sotto li 2 zugno 1544, e debba cessar alli detti consoli la utilità che aveano dal cottimo delli 5 p. 0/0, per iscoder li 3 p. 0/0 ed ora li 2 da marine permessi a detti consoli fino a che compiva detta concession dei Micheli, giusta el tenor della predetta parte. Intendendo che la elezion del console di Tripoli sia fatta per il Consiglio dei XII per anno uno, e così di anno in anno s'abbia a continuar; et esso vice-console sia nobile nostro nè altrimenti possino far, ed il vice-console che sarà eletto ut supra debba dal cottimo aver il salario solito a darsi di asraffi 270 all'anno da grossi 5 per asraffo. Quanto veramente al scoder li 3 p. 0/0 ed ora due di cottimo et altre angherie alle marine, il console nostro sia obbligato lui far el scoditor, el qual console si intendi piezzo e servador di buona administrazion del danaro che si scoderà a dette marine, il qual scoditor sia pagato delli danari di esso console, e perciò il cottimo non abbia spesa alcuna come porta il dover.
Preterea, detto console sia eletto con li modi della regolazion fatta per li Savi nostri sopra la mercanzia e provvigioni di tutti li cottimi nelle revision delle spese, che hanno fatte juxta la imposition fatta alli predetti, per la parte presa in questo consiglio sotto dei 11 febbraio 1545. In reliquis vero, sia con tutti li modi, autorità, giurisdizioni et utilità che sono tra li altri consoli e che è al presente.[261]
Et acciocchè si ottenga il detto console stii dove stanno li mercadanti, e dove si trattano le faccende che è in Aleppo, però sia preso che sia data commission alli Baili nostri overo Oratori nostri, over altro che paresse comodo et atto a far tal officio, che debba tentar con ogni mezzo la permission che detti consoli abbino la sua ferma sede in Aleppo, con que' modi, forme e virtù per li Savi nostri sopra la mercanzia e provvigioni di cottimi sarà accordato, per beneficio del cottimo e mercanti nostri.
1548 die 19. Dic. In majori Consilio posita fuit suprascripta pars, et capta fuit.
Giacomo Augusto Pretti
Nodaro ducal.
Archivio Manin, Codice Svaier, n. LVIII.
Ill.mi ed Eccell.mi signori Savi alla Mercanzia,
Avendo io Andrea Benedetti servo e fedel suddito del mio principe serenissimo, ed umilissimo delle Eccellenze Vostre arricordato alli signori capi di piazza alcuni affari appartenenti al negozio della Sorìa e Palestina, trovo anco dovuto presentare alle Eccellenze Vostre i seguenti capitoli; ciò per la lunga pratica di quelle parti per avervi dimorato circa anni undici con privati e pubblici impieghi, dei quali circa 6½ come vice-console in Tripoli di Sorìa e Palestina, istituito dall'eccell.mo signor Marco Bembo e confermato dall'eccell.mo signor Francesco Foscari, furono ambidue consoli in Aleppo. Nel qual loco chiamato dall'eccell.mo Foscari, fui obbligato a restare in sua vece per interveniente della nazione veneta, dove vi ho dimorato anni 3, mesi 6 e giorni 13, come dalle carte quali con la presente saranno sotto il riflesso dell'Eccellenze Vostre, sino a che il sig. Giovanni Andrea Negri entrò in mia vece che fu li 5 agosto 1681.
Dove stimolato da zelo di vedere rindrizzato quell'importante negozio di questa piazza, e incoraggire li signori mercanti, offerisco ai piedi delle Eccellenze Vostre la mia persona per intraprendere gli affari medesimi, e sacrificare quando occorresse la propria vita con più dimorarvi anni 6, o quanto parerà alle Eccellenze Vostre, sino[262] che sieno quelli affari ben stabiliti, il che non può essere se non colla lunghezza di tempo e con la mutazione di quei bassà e grandi che sogliono essere dalla Porta mandati al governo di quei paesi, che confidando in S. D. M. in tale affare spero ogni buon successo.
I. Per sollevare il negozio ed estinguere i debiti è necessario scansare le gran spese, che si sogliono fare in Aleppo ai grandi ed altri turchi del paese, e quelle che si va civanzando resti a diffalco dei debiti, il che sarà con il far trasportare la carica da Aleppo in Tripoli di Sorìa, e sarà facile nel primo ingresso, maggiormente che nelle capitolazioni stabilite l'anno 1670 non si fa menzione di Aleppo, ma solo di Tripoli e Beiruth.
Nei tempi andati, il console abitava in Damasco, ma per le gran spese, d'ordine dell'eccell.mo senato l'anno 1545 11 febbraio portò la residenza in Tripoli per sollievo del negozio, e per l'essere alle marine per il cottimo di entrata ed uscita e perchè il negozio dei veneti in quei tempi era florido ed opulento, ora al tutto diverso, l'eccell.mo senato decretò l'anno 1548 7 decembre che il console dovesse andare ad abitare in Aleppo invece di Tripoli.
Essendo dunque stato trasportato il console di Damasco in Tripoli e da Tripoli in Aleppo, non sarà difficile il trasportare di nuovo da Aleppo in Tripoli, conservando quella casa consolare per abitazione a suo tempo del console nobile, che sarà quando il cottimo sarà sollevato dai debiti presenti, tanto più che molte volte hanno fatto li signori mercanti tanto nazionali quanto forestieri passare le loro mercanzie da Aleppo in Tripoli, per caricare sopra navi venete per Venezia.
II. Quando io venghi graziato e istituito in carica in Tripoli di Sorìa in luogo di Aleppo, con quel titolo che parerà alle Eccellenze Vostre, ricerco che mi sia fatto sicuro assegnamento, acciò non sieno molestati gli effetti dei signori mercanti e che con onore del mio principe possa decorosamente sostenere quella carica, annualmente, di paga e panattica dalle Eccellenze Vostre con l'assenso dei signori mercanti se così li piace senza poder pretender qualsisia altra cosa, e sia tenuto con esso assegnamento fare tutte le spese al bassà, cadì, musalem, kachia, agà dei gianizzeri, agà di marina, doganieri, e ad altri turchi, sì pure ad altri del paese, tanto ordinarie quanto estraordinarie, con più salario di cancelliere, di dragomano, giannizzeri, capellano, cera per la capella, affitto di casa, vino ed aceto che si dispensa ai turchi, fattori di marina dove approdano le navi con bandiera di San Marco per gli interessi del cottimo ed altra servitù,[263] che il decoro della carica richiede, il tutto io debba fare coll'assegnamento, senz'altro aggravare il cottimo. L'ancoraggio delle navi dover esser pagato dalli capitani o interessati di quelle, il quale è stato moderato e non pagano come prima. E le avarìe che cadessero, che Dio non voglia, benchè nel corso di anni 11 oltre ultimi anni 3 che io per particolari affari dimorai in Tripoli di Barberia, da me mai provate, nè alla nazione fatte sentire, quelle vadino a conto di cottimo, o di chi ne fosse l'autore, come le Eccellenze Vostre ordineranno.
III. Che appresso di me sieno eletti due mercanti della nazione per deputati, uno dei quali debba esser per mesi 6 cassiere e finito quel tempo debba far la consegna delle chiavi al successore, che sarà d'una cassa nella quale si ponerà il danaro di entrata ed uscita del cottimo che dalle mercanzie s'anderà scuotendo: così pure li libri e scritture appartenenti al medesimo, qual cassa doverà esser custodita appresso il rappresentante, serrata con due chiavi.
IV. Tutte le polizze e tratte d'entrada e d'uscita doveranno essere viste da me e dai suddetti deputati, e tenuta nota distinta sopra li libri, che saranno segnati con il solito san Marco, che dalle Eccellenze Vostre colle tratte e tariffe mi verrà consegnato, ciò dal scontro del cottimo per cauzione delli stimatissimi mercanti, i quali libri doveranno di tempo in tempo essere sottoscritti per cauzione ut supra.
V. Che non sieno permesse nella Sorìa e Palestina tratte di navi forestiere per Venezia, ancorchè volessero pagare li soliti diritti del cottimo, ciò per non levare il traffico alle nostre navi.
VI. Che tutte le mercanzie che saranno state caricate nelle scale della Sorìa e Palestina da Veneti o da loro fatte passare sotto nome supposto, del che venendo in cognizione siano per Livorno od altra parte, e poi quelle fatte passare in questa dominante a dazi del cottimo, sieno quelle mercanzie obbligate al pagamento di 20 p. 0/0 di pena conforme alla tariffa, qual dalle Eccellenze Vostre irremissibilmente verrà fatta levare, la metà di qual pena dovrà essere trasmessa in Sorìa, dove risiederà la carica di Aleppo per i bisogni di quel cottimo, e l'altra metà come le Eccellenze Vostre determineranno. E tanto si intendi di tutte quelle mercanzie che dalle scale medesime della Sorìa ut supra fossero fatte passare con nave barche in Cipro senza aver pagato il cottimo.
VII. Quando il debito di cottimo preso sopra di se il signor Giovanni Andrea Negri non sia stato da lui soddisfatto con il ricavare[264] dalla tansa di 3 p. 0/0, el qual nel principio della sua carica in anno uno e mezzo gli è capitato a quelle scale 17 navi, oltrecchè dovea riscuotere il cottimo e tansa della nave san Giovanni Battista, che sotto di me partì per Venezia senza tratte, verranno li creditori in Tripoli, con li quali et con li deputati si potrà con vantaggio aggiustare come sarà dalle Eccellenze Vostre stabilito.
VIII. Che con ogni convoglio o almeno ogni anno siano mandati al Magistrato delle Eccellenze Vostre note distinte di quello sarà entrato in cassa di cottimo e pagato per cauzione alli signori mercanti.
IX. Quando le Eccellenze Vostre terminassero, che io dovessi risiedere in Aleppo e non in Tripoli di Sorìa pure mi esibisco nella conformità del II capitolo. Con che genuflesso alle Eccellenze Vostre mi inchino.
Andrea Benedetti.
Archivio Manin, Codice Svaier n. DCCXLII.
Serenissimo Principe,
Nella sollecitudine in cui siamo di mantenere e coltivare per ogni modo il veneto commercio, e procurar da esso i possibili vantaggi, abbiamo fatto nostro singolare studio per ravvisare quali traffici e quali profitti derivino alla nostra nazione solita a commerciare colla piazza di Aleppo.
Riconoscemmo in fatto che riaperto di presente il traffico con la Persia, molto contribuisce allo smaltimento delle merci e manifatture, che da questa a quella piazza si spediscono, il libero passaggio che da non molto tempo hanno le carovane di Bassora (prima scala delle Indie nel golfo Persico) e Bagdad per Aleppo e Damasco, nelle quali i sudditi negozianti stabiliti in Aleppo spediscono per arbitrio in dette due piazze merci di Germania, robe, allume, perle false, corniole e diverse conterie.[265]
Gli stessi Arabi conduttori delle carovane fanno considerabili provviste di detti generi per contanti, ciò che rende un riguardevole profitto, ossia perchè i ritorni che ricevono quei veneti negozianti consistono per lo più in droghe diverse, capo di essenzial commercio di questa piazza, ossia perchè gli Arabi suddetti comperando in Aleppo per contanti le sopradette merci e manifatture provvedono li mercanti delle spezie, onde possano adempiere alle commissioni o tratte che lor vengono ingiunte dalli loro corrispondenti proprietari.
Utile pertanto e per noi vantaggioso ravvisando questo commercio, ci siamo perciò applicati nel cercare quale protezione venga nella detta scala di Aleppo donata al nostro traffico, e rilevassimo per il fatto essere presentemente appoggiati questi affari ad una ditta ebrea, e ciò fino a che si trasferisce a quelle parti la suddita persona di Domenico Serioli in qualità di deputato, dipendente questo dal veneto console in Cipro, nella di cui scala doveva per decreto di Vostra Serenità 10 aprile 1770 risiedervi in figura di console nostro Girolamo Brigadi che attualmente ne sostiene il carico. Sembrando a noi nelle già esposte circostanze di questo commercio non adattata la figura di un deputato, perciò chiamati i capi del Consorzio di Egitto e pur quelli di Cipro e Sorìa, ed eccitati a porre in scritto che a pubblici rispetti rassegniamo se convenisse unire li 2 Consorzi e le di loro rispettive casse, se più utile fosse a quel commercio destinarvi colà un console o pur bastasse lasciarvi un deputato, finalmente se la persona che avesse a sostenere il carico in Aleppo potesse soffrire l'annuo aggravio di piastre 600 da corrispondersi al veneto console in Cipro; mostrarono anzi la necessità di trascegliersi un console in Aleppo, indipendente da quello di Cipro, di sollevarlo dall'annua contribuzione delle accennate piastre 600, e perfino di unire i due Consorzii e le casse.
Ed infatti essendo li Consorzi stessi di Cipro, di Egitto e di Sorìa composti di un numero di negozianti che per lo più negoziano del pari nell'uno e nell'altro luoco, ne diviene che le viste dell'interesse sieno comuni e che questi due corpi abbiano ad essere diretti colle stesse massime e con gli stessi principii.
Ben è vero però, che la pratica fin'oggi corsa nel metodo del pagamento dei consolati è stata eseguita in modo differente. Ma è vero altresì che questi rispettivi consoli si mantengono con li diritti consolari che si ricavano dalle merci andanti e venienti da quelle scale, con questa diversità però che il Consorzio d'Egitto corrisponde al suo console generale un annuo ed idoneo assegnamento, ed egli invece[266] esige per cassa nazionale a questa parte tutti i diritti consolari; ma il Consorzio di Cipro e di Sorìa, che non tiene cassa nazionale, assegna alli suoi rispettivi consoli in moneta turca tutti i diritti consolari sopra il valore delle merci andanti e venienti, che risultano in ragione di 2 per 100 delle stime delle dogane turchesche, e mercè di tali esborsi viene la nazione protetta e resa immune da ogni altro aggravio. — Ora pertanto che la esperienza delle cose corse e l'indole delle presenti ci documenta, sembra perciò che convenga al rispettivo interesse dei commercianti ed alla buona disciplina del commercio l'unione di questi Consorzi nella parte che tende al pagamento dei consolati, da farsi sempre da ognuno indistintamente a Venezia, onde andrà a passare tutto il soldo in una cassa nazionale. Oltre il ravvisarvi per le importanti viste di quel commercio necessaria la residenza di un console in Aleppo dalli medesimi negozianti che là vi trafficano come abbiamo accennato, altro riflesso ancora persuase di aderirvi, mentre essendo stata eletta per lo innanzi la figura di deputato nella supposizione che risparmiar potesse molte spese, non sussiste per il fatto la stessa supposizione poichè i Turchi soliti a ricever regali dalla figura colà residente per la dovuta protezione delle rispettive loro nazioni, li professano inalterabilmente e senza alcuna diminuzione, nè potrebbero minorarsi senza molta dispiacenza di quei comandanti, i quali non distinguendo deputato da console, riguardando sì l'uno come l'altro come rappresentante la nazione, allorchè essi non rimanessero contenti, ne succederebbe inevitabilmente una rovinosa conseguenza pei mali trattamenti che riceverebbe la nazione e chi la rappresenta, con pericolo e danno del nostro commercio.
Se in Aleppo pertanto devesi per gli addotti motivi destinare un console, che per le informazioni prese e per le asserzioni scritte dagli stessi capi delli due rispettivi Consorzii, il più utile ed il più opportuno non sappiamo riconoscere se non se il veneto suddito Domenico Serioli persona di tutta probità e cognizione, avendone già dati saggi nell'esercizio del vice-consolato di Cipro con molta sua laude e nostra approvazione sostenuto; indebita perciò comparisce l'annua corresponsione delle piastre 600 verso il Briganti console in Cipro: sì perchè tal sottrazione gli toglierebbe il modo di potersi mantenere; sì perchè lo stesso Briganti, lorchè risiedeva in Aleppo, considerando non bastevoli i proventi consolari che senza alcuna diminuzione esigeva, supplicò in seguito che gli fossero aggiunti i dritti per le mercanzie che andassero e venissero da Alessandretta, Cipro, Acri ed[267] altre scale; si perchè finalmente il ricavato di alquante merci che dalla dominante colà si spediscono passano con cambiali in danaro in Cipro e nelle coste della Sorìa per la provvista dei coloni e di altri generi necessari al carico delle venete navi di ritorno a questa parte. — Quando pertanto dall'eccellentissimo senato venga adottata la massima di destinar questo console ad Aleppo indipendente da quello di Cipro, vorrà pertanto V. S. precisamente stabilire che il Serioli abbia da rimanere sollevato da tal contribuzione tanto per il passato che per l'avvenire. E che sì l'uno che l'altro debbano conseguire un annuo certo ed idoneo assegnamento, da esser loro corrisposto dalla cassa nazionale che dovrà tenersi in questa parte ed in cui avranno ad affluire tutti i diritti consolari spettanti alli sopradetti due consoli, come si accostuma per quello del Cairo. Ma siccome per deficenze dei lumi non si può ora fissare il preciso annuo quantitativo, così si sono eccitati i capi delli sopradetti due Consorzi a denotarci qual provisionale assegnamento stabilir si potesse a dovuto mantenimento di ambedue questi consoli, sopra il qual punto non avendo essi per ora esibiti i loro pensamenti, ci riserbiamo perciò di produrre il reverente nostro parere in altra scrittura. Avendo la particolarità di questo consolato somministrato a noi argomento di riconoscere nella generalità dei consoli singolarmente del levante, la inosservanza e la indisciplina anco riguardo alla esazione dei cottimi e delle avarìe, faremo pertanto nostro impegno il rintracciarne i disordini, per quindi rilevati portarne distinte le relazioni all'eccellentissimo senato per gli opportuni rimedi e compensi. Ma poichè tale importante argomento esigerà qualche dilazione di tempo, così vorrà intanto la sovrana autorità rinnovare la tanto utile e salutar legge, che i consoli abbiano coi metodi soliti e praticati ad ogni quinquennio ad essere ammessi alla ballottazione o per la loro riconferma, o per la dimissione dal servizio, a norma delle loro direzioni. Grazie.
Data dal Magistrato dei V. Savi alla Mercanzia li 23 decembre 1762.
Marcantonio Trevisan — L. Andrea da Rezze
Gabriel Marcello — Alvise Contarini
Savi alla Mercanzia.
Senato Mar., Filza 1110.
1762, 29 decembre in Pregadi.
Sollecito il benemerito magistrato dei Cinque Savj alla mercanzia in riconoscere i traffici e le utilità derivanti alla veneta nazione dal commercio, che ella esercita con la piazza di Aleppo, rappresenta nella diligente scrittura ora letta, che riapertasi di presente la comunicazione con la Persia, molto contribuisce allo smaltimento dei generi nostri il libero passaggio delle carovane di Bassora e Bagdad per Aleppo e Damasco, e quindi descrive i vantaggi che ne colgono i sudditi negozianti dalle spedizioni che fanno in dette piazze di merci di Germania, di robe, allume, perle false, conterie ed altre nazionali manifatture.
Dalla descrizione di un così utile e vantaggioso commercio, passando a riflettere alla figura non addattata di un veneto deputato, stabilito col decreto 10 aprile 1760, riferisce il magistrato stesso le commissioni che dietro a tale prudente considerazione ha creduto di dare ai capi del consorzio di Egitto e a quelli di Cipro e Sorìa, per li riflessi dei quali si vede risultare ad evidenza la necessità di doversi stabilire in avvenire un consolato in Aleppo indipendente da quello di Cipro, di sollevar nel frattempo il deputato dalla contribuzione di piastre 600 all'anno imposte a favore del console Brigadi (di Cipro), e finalmente di unire li due consorzi e casse, fissando ai rispettivi due consoli quell'annuo assegnamento che sia conveniente ai rispetti e convenienze dell'uno e dell'altro consolato.
Utili riconoscendosi dalla maturità di questo Consiglio tali suggerimenti, si assente a buon conto in via di massima allo stabilimento del console in Aleppo, indipendente da quello di Cipro in luogo della deputazione; e che debba assegnarsi all'uno e all'altro un congruo stipendio, con l'oggetto che il pagamento dei consolati abbia a farsi a questa parte come si pratica per quelli di Egitto; mentre per quello sia alla proposta unione dei consorzi e casse e rispettivi assegnamenti dovrà il magistrato stesso ricercare ai capi predetti se nel proposto espediente vi sia pure concorsa la volontà dei rispettivi consorzi, con tutto il di più che tiene rapporto alla materia.[269]
Al giungere di tali riferte, che colla maggiore sollecitudine porterà il magistrato alla cognizione del senato, si fisserà parimenti quell'annuo stipendio dovrà assignarsi ai consoli di Aleppo ed a quello del Cairo, sospendendosi la contribuzione delle piastre 600 che dal Serioli doveano corrispondersi al Brigadi.
Nel rimarcarsi infine con sensibile rammarico quanto accenna il magistrato rispetto all'innosservanza e indiscipline dei consoli, singolarmente del levante nella esazione dei cottimi ed avarìe, attenderà questo Consiglio le premesse relazioni, per quindi addattarvi gli opportuni rimedii, unitamente a quanto prescrivono le leggi e i decreti sul generale dei consolati e ciò a lume delle più convenienti deliberazioni.
De si | 82 |
De no | 3 |
Non sinceri | 3 |
Cesare Vignola Segretario.
Fra i nostri Codici.
Copia de una letera copiosa, scrita per ser Donado da Leze q. ser Priamo da Padova, a dì 14 settembre 1514, drizzata a Zuan Jacomo Caroldo secretario.
Come per sue lettere è avisato esser avisi da Costantinopoli del progresso che aveva fatto il signor Turco contra le genti del Sophì quali erano ritirate e el signor era intrado nel paexe 4 zornate et che lo exercito del dito signor Turco essendo in certe montagne havea patido de vituarie e che da poi per via di Trabisonda sono sta soccorsi, et era venuto 14 mille Giorgiani sul campo Turchesco li quali se oferivano de darli vituarie per il campo e che il signor Sophì non se sapea dove fosse et il signor havea deliberato andar in Tauris; a le qual nuove risponde a parte a parte licet non habi le scripture lì, et tutavolta essendo aiutado da domino Zuan Maria Anzolello citadin vicentino qual stete con l'avo de questo signor ani 20,[270] e se ritrovò quando el dito signor andò contra Ussum Cassam sempre nel campo si che scriveva cossa che li piaceva, ecc.
Sempre che el Turco vol far exercito per andar in levante se aponta cum quello in mezzo della Natolia paese atto a nutrir li exerciti nel qual loco andò Baiezid signor Turco contra Tamerlan et li fo roto e preso e messo in una gabia di ferro dove morite e cusì fece Maumetho avo del presente signor quando l'andò contra dito Usson Cassam si che questo sarà el principio del camino che ha tegnudo el presente Selim. E qual camin tolse verso Amasia che è partendosi dal loco de Ancira per greco a man manca et è zornate sei da campo. Da questo loco de Ancira a banda destra per ostro se va al Cogno per sirocho alla Caramania e per sirocho a levante se va alla Cazaria. Ma torniamo in Amasia seguitando il viazo nostro. Amasia è una città grande murata quale era sedia del soldan Achmash posta fra colli ha uno castello alla parte di tramontana sopra uno monte, passa per la dita citade una fiumana la qual nasse nelle montagne del Tochat et come la pasa dita cità per miglia 10, se volze per maistro andando per vallade tra montagne grandissime buta in mar mazor avente Sinope cità nominata. Dala cità di Amasia per due zorni de campo se va al Tochat terra murada dove se fan pani da seda assai et chi se partisse da questo locho et chi andasse per grego per 100 mia anderia in Trapesonda; lassamo questo camin che viene al proposito nostro. Dal Tochat per dieci zorni da campo se va a Sivas casal grande e l'ultimo del paese del signor Turco, lontan dal qual per miglia cinque passa una fiumana grande la qual nasse nelle montagne apresso Trapesonda discore Cazaria et si mette in lo Eufrates. Sopra della strada partendosi da Sivas per passar el dito fiume v'è un ponte de piera grande, questa è la strada principal e più comoda a tutti quelli che voleno andar in Tauris passato dito ponte intrase nel paexe de Erzingan qual è parte de la Armenia minore et è del signor Sophi paese montuoso circumdato da due parte da montagne grandissime, da tramontana in parte montagne de Trapesonda ed in parte da la terra de Giorgiani, da levante le montagne che divide la Armenia mazor e menor le qual principia da li monti dei Giorgiani e va per ostro fino a lo Euphrates sopra le qual le gente del paexe fuze quando li vien invasion alcuna come ha fato al presente. Ma perchè si dice chel Sophis è retrato e non se trova, scrive lui tien certo, el non se trovi a quelle bande perchè come el scrisse lui feva gran guerra nel paese de Zagathay et haveva da far non solum con li fioli del signor[271] de dito loco ma haveva etiam al incontro uno barbaro di diti fioli quale uno de li 7 soldani della Tartaria, si che tien lui non sia stato a queste bande si potria dir che gente sono queste che ha fato mover il signor Turco avvisa el signor Sophì per voler ajutar soltam Murath havea mandato comito a li paesi soi che confina con il Turco. Tutti obedisse al dito Murath e lui haveva fatto exercito de gente comandato a nostro modo, però sono retrati e questo sarà il vero. Passando el fiume Lys se intra nel paese de Erzingan el primo loco che si ritrova se chiama Niessier posto sopra un monte lontan dal fiume Lys mia do a banda mancha del dito locho andando per monte se trova uno altro castello: e da questo per una zornata dessendendo in capo del monte dove se fa lume de rocha, loco murato e forte, e questo è quello che in le lettere si chiama Cussari è paexe sterilissimo, e quando al signor Mahumeth fo li, el suo exercito patì grandemente come ha fato al presente Selim, da questo loco per zorni doi per campagna e coline se va in Erzingan e le dite campagne è dette de Erzingan, questo locho non è murato, ma hanno castello quando vi andò el signor Mahumetho avo de questo signor fo trovato pocha gente perchè tutti eran fugiti a la montagna, fo trovato in una chiexa de ditto caxal un vecchio qual aveva assai libri intorno et essendo andatti dentro molti Turchi dimandato chi l'era non respondendo fo morto. Da poi se intese che l'era gran philosopho el signor Mahumeth se ne dolse assai di questa tal morte.
Partendose de Erzingan per miglia 10 se ritrova una fiumana grande la qual nasce nelle montagne che divide la Armenia mazor da la menor; passato detto fiume se entra in un paexe qual dura due zornate fino al fiume Euphrate dove è el passo solito a passar le gente che vano in Tauris, quì il fiume è larghissimo, fa de molti polexeni dentro giarosi. Quivi se apresentò el signor Mahumetho cum lo exercito suo per voler passar, dal altra banda del fiume se ritrovava le gente de Ussum Cassan. El signor Turco volse far experientia de dover passar se anegò Asmurath bassà della Romania et assai altri, si che tra annegati, presi et morti se perse de le persone 12 mille. El signor Turco, visto non poter far altro, lassò la impresa del passar et andò cum l'exercito seguitando el fiume verso levante per zorni due e mezo. Dapoi voltatosi per maistro abbandonato el fiume intrò in algune ville dove el retrovò esser passato Ussum Cassan a traverso di quelle montagne furno a le mani el fu rota a la gente de Ussum Cassan et morto Ezeniel suo fiol prese li[272] cariazì e pavioni e le gente furono fugate dopo de questo el dito signor Mahumetho se redusse a le sue terre e messo lo exercito intorno in termine di 17 zorni l'ebbe a patti, questo è quanto operhò el dito signor Mahumetho contra Ussum Cassan el qual non havea la mità del poder che ha al presente el signor Sophì, sì che questa è la conclusione et opinion nostra che più altro non passerà de quello fece suo avo. E si el passera el camin che aveva a far dito signor per andar in Tauris e questo passato che l'averà lo Euphrate troverà do strade, una verso levante, l'altra verso ostro e sirocho; quella verso levante è strada inusitata per esser mal habitata passando Palu che uno castello sopra un monte, sotto del qual passa lo Euphrate se ritrova campagne che produce giunchi e non se habita, salvo a pe di monti, siche qua exercito non po andar. La strada in ostro e sirocho è quella che è usitata dove vanno caravane, sichè partendose dal fiume per pocho spatio se trova montagne nel principio dele qual è uno castello andando per valle et monti se ritrova Angora per due zornate et per due altre pur vallade e monti se discende in una pianura dove è Amith, questa è città murata et ha un castello sopra un monte, qua se fa grandissime marchatantie sì per la Sorìa come per la Persia. Dal dito loco de Amith per garbin se va per 6 zorni in Alepo. Qui stanzia el capetanio zeneral del signor Sophì; da questo loco per andar in Tauris ghè do strade le qual vanno a una cità nominata Tiflis la quale è posta fra due montagne et è passo fortissimo sì per el sito del loco come per la fiumana che fa forte el dito passo. Quivi ne sarà da far assai.
Da Amith per sirocho se va a Mardin che è passo sopra un monte et è zorni cinque, da Mardin per zorni do per levante se va in Askaranchief, quì se ritrova da la banda da levante del dito locho una fiumana grandissima che quella che vien per Amith, questa fiumana è profonda et ha le rive altissime, sichè ruinato el ponte che passa dito fiume è impossibile che exercito alcun passa da el dito locho de Askaranchief, per 3 zorni pur per levante se va a Tiflis, hor partendose de Amith per levante se va per una vallada larghissima et abitatissima per zurnade 10 se ariva a Tiflis e nel mezo del camin se ritrova una piccola terra de un signor el qual non volea dar obedienzia al Sophì e ghe mosse el campo el have per forza e tagliò tutti a pezi, al presente è tuto rovinato. Quando se parte da Tiflis per levante per 3 zorni declinando uno poco a la mancha se trova Van la quale è in principio de un lago chiamato dello stesso nome, el qual è longo miglia 100 largo 20, l'acqua sua è salsa[273] e non è poca maraveglia perchè essendo detto lago in mezzo de la Armenia sia salso. El se ritrova uno altro lago arente Tauris do zornade lo qual è salso et è grande più de 20 miglia, longo se chiama Salamas del quale se traze sai assai de la qual se fornise la Media, Persia, Armenia et Mesopotamia.
El lago dito de Vanar ha tre insule dentro, una è desabitata e le altre due habitate, la principal se chiama Santa Croxe, l'altra Santa Maria, quella di Santa Croxe è miglia do lontan da terra da la banda de ostro del lago, la qual insula ha uno monasterio dove sta un patriarcha con 100 monaci, in questo monasterio Jacub signor de Tauris fiol de Ussuni Cassam fece custodir sua sorella major che fo de Shàh Aider padre del signor Sophì insieme cum el fiolo qual stete 7 anni et quando fo messo ne haveva nove morto Jacub andò nel paexe del padre e fecesi signor, del qual al presente non se dirà altro, ma andando a Van dal dito loco suso per el lago per una zornata se trova altri casali, fino che dopo 10 giorni, se arriva a Tauris. Tauris è in pianura et è in sul confin de la Media et de la Armenia, volge mia tre murato de terra dove è la stanzia di signori de la Persia, avanti che diti signori l'avvesseno dito locho de Tauris la stanzia sua era in Susa. Resta a dir de' Giorgiani ma per non esser al proposito a questo cammino non se dirà altro.
Marin Sanudo, Cod. Marciani, vol. XIX.
Sumario de una lettera de ser Donato da Leze scrita a Zuan Giacomo Caroldo, secretario ducal, a dì 7 octubris 1514.
...... Et quanto a la parte de venir le spetie in Trapesunda per el seno Persico, qui soto noterò il modo se solea tenirse neli tempi passati, essendo l'impero de Costantinopoli ne le man dei Greci. Li navili che venivano dall'India cum spetie non solevano andare nel mar Rosso, ma tutti venivano nel seno Persico, nel qual golfo è uno porto dove buta l'Eufrate, quivi entrava li navili e si conduceva alla[274] cità de la Balsera, la qual è sopra la riva del dito fiume, mìa 50 lontan dal mar. Parte de le qual specie si conduceva in Trabesonda et parte in Erzingan e de lì alla terra, da poi essendo el deto paese in guerra, rote le strade fu forza ai mercanti condurle nel seno Arabico come fanno al presente.
La cità della Balsera è grande e mercantesca, dove se fa faccende assai, come de fide degni armeni ho inteso, et è situata ne la provincia de Babilonia. Da questo loco in Trabesonda sono giornate XXX a mìa XXV per zornata. Sicchè tanta strada feva dita mercanzia e lungo saria narrar li lochi dove capitavano, e de Trabesonda con navigli se conducevano a Costantinopoli. L'altra strada che è Astrakan, partendosi dalla Balsera e fuori per tramontana al fiume Eufrate fina dove se congiunge Tigris che è zornate 8, e de lì a Cazan cità sopra el Tigri giornate 4, poi se passa pur per tramontana molte zornate de caravana fino a la gran cità de Schamachi, e da detto luoco fina in Bachù che è posta sopra il mar Caspio zorni 4. Quivi è una cità dove se fa gran fazende, da la qual è ditto mare de Bachù. In questo loco se cargava le spetie sopra li navigli e se conduceva in Astrakan terra dei Tartari posta sopra il fiume Volga e de qua per 8 zorni chi volesse andar alla traversa se andaria alla Tana per la campagna che per esser disabitada se va suso per el fiume, poi se traversa al dicto loco de la Tana in zorni 16. Quivi venia le galere de Venezia e levavano dicte spetie come è scritto nell'itinerario di Messer Josafat Barbaro.
Marin Sanudo, Cod. Marciani, vol. XIX.
Copia de una letera de ser Donado da Leze, podestà e capitano a Rovigo, scrita a Zuan Jacomo Caroldo, secretario. Data a Rovigo adì 2 novembre 1514.
Per lettere vostre de ultimo del passato son avvisado, esser nove importantissima venuta al clarissimo Gritti da Ragusi, come el signor turco Selim a dì 23 agosto su la campagna de Choi ha fatto zeneral battaglia col signor Sophì con crudelissima strage dell'esercito suo. Tandem era restato victorioso et era fugito detto signor Sophì e lo[275] signor Selim dovea andar in Tauris, pregandomi che io vogli far risposta sopra di ciò. Io desideroso di satisfar al voler vostro, anchor che sii occupatissimo in diverse cose et abi dei gran fastidj in questo locho, non resterò che io notifichi li lochi et siti che potrà andar detto Selim, et dove si potrà ritrager el detto Sophì, per ritornare iterum a la campagna; ben ve dirò questo che Selim è entrato troppo dentro, che da Choi dove me scrivete esser sta la battaglia fin al principio del so paese sono giornate 25, et avendo avuto una tal rotta qual me scrivete non potendose refar per esser el paese tutto per el signor Sophì non so come el farà se iterum un altro esercito adosso li venirà, nonostante questa vittoria, facio mal juditio del fato suo come qui soto intenderete.
Choi è uno casale grande sopra la campagna, non è murato e da questo luoco fin in Tauris sono sei zornate. In tuta campagna, se ritrovano due loci grandi, due zornate lontani l'uno dall'altro chiamati Moriam et Sophiam, come vedrete ne le mie lettere per avanti scritteve. Sichè dicto signor Turco anderà in Tauris, et sono certo che li se affirmerà, perchè el signor Sophì s'era lontano da lui, et volendo andar a trovarlo vorrà del tempo. S'el Sophì serà vivo potrà far gran numero di zente et presto in diverse provincie come è nella Persia, Kerman, Eri, Ghan, Fars, et Shirvan. Tutti questi paesi sono abbondantissimi de uomini. Accostato a qual voi di questi loci con quelle poche zente se ritrova ritornerà iterum alla campagna e serà alla condizione di Antheo che reassumeva le forze tante volte quante la terra toccava. Et acciò intendiate li paesi scripti de sopra:
Tauris è in li confini de la Media et Armenia, guardando dal dicto locho di Tauris verso levante a banda destra è la Persia, Cherman Irak. La principal cità de presente della Persia è Schraz, la quale è lontana da Tauris per levante e scirocco zornate 20, e da lì in Kar altre 20. Shiraz è di sotto da questo verso ostro per mezzo l'isola de Ormus. Da tutte queste tre provincie se pol trazer una gran quantità de zente et massime de Schiraz et Persia. La dicta cità de Schraz fa 200,000 anime ed è murata. Altre volte ribellò a Ussun Cassan de volontà de un suo figliuolo che voleva farse signor, sicchè da questi loci potria esser tratto esercito potentissimo, ma tengo non andrà a questa banda, ma anderà ad altra parte verso tramontana per aver li Georgiani con lui, quali sono inimicissimi col Turco ancor che venissero nel suo campo. Questo farieno per non se lo retirar adosso per confinar loro con Trapesonda.
Or torniamo a Tauris; partendosi de lì, andar per greco per 7[276] giornate se trova Ardevil, confina da ponente con el paese de Shirvan dove è la gran cità de Schiamachi. Et il paese de Schirvan confina con li Giorgiani verso maistro dove è Emircapi dicta e porte de ferro, et da questa banda potrà aver soccorso numeroso sì dai Giorgiani come da quelli altri paesi nominati. Puol aver etiam soccorso grande de Azerbigian che confina da levante col paese de Ardevil, et etiam de Sara che è sopra el mar Caspio. Se potria dir che el potesse trager zente assai dal paese de Corassan, ma per esser novi sotto el suo dominio non credo che vorrà di quelle. Se potria anco servir di bona zente de Ispaan et altri paesi che sono in la Media. Sicchè per concludere tengo farà grandi eserciti per esser ben voluto da tutti e liberalissimo. Sta che, come ho dicto di sopra, mi dubito assai del fatto de Selim.
Marin Sanudo, Cod. Marciani, vol. XIX.
Relazione di Persia, del clarissimo messer Teodoro Balbi console veneto nella Siria dall'anno 1578 al 1582.
Serenissimo Principe,
Dalla guerra di Persia, nella quale con numerosissimo esercito e con gran spargimento di sangue contendono insieme due potentissimi re del mondo, non mi ha parso poter avere informazione della quale la Serenità Vostra possa in parte rimanere soddisfatta, se non coll'aver minutamente inteso se le forze del presente esercito come di ogni altra particolarità con cui si possa far giudicio, come il re persiano sia per resistere alli assalti turcheschi, e con che ordine e fondamento possa muover le armi contro un tanto forte inimico. Così mi sono andato, con più certezza che ho potuto, informando delle entrate e spese di detto re, della milizia che egli ha, dell'ordine del guerreggiare e stipendiar li soldati, dell'obbedienza che gli porta il suo popolo, di molti altri successi nelli tempi passati nella creazione di re, dalla quale si può comprender la durazione di quell'imperio, e di molte altre cose pertinenti alle forze e poter suo; le quali tutte ho voluto far sapere alla Serenità Vostra con questa mia scrittura,[277] non aspettando di farlo personalmente nel mio ritorno a Venezia, per sapere quanto più ora, che si fa questa guerra famosa appresso tutti li principi del mondo, erano desideratissimi tali avvisi, di quello sarà di qui a tre anni, quando forse sarà compito il guerreggiare in quelle parti. Supplico intanto Vostra Serenità che in questa mia relazione attenda più alla volontà e desiderio con che io la faccio, che è di darle quanto più per me di sua soddisfazione; perchè del resto sono sicuro che per la mia poca esercitazione nel dire non sarà degna del suo cospetto, e per non essere stato io nella Persia, nè aver ragionato con persone maggiormente istruite di quel regno, potrà parere in molte parti imperfetto.
È posta la Persia sotto il clima stesso di Venezia e dell'Europa, e nella parte di tramontana dove è il mar Caspio è montuosa e freddissima, da quella di mezzogiorno è pur anco montuosa ma fertilissima e calda. Ha molte fontane e fiumi, e dove è il golfo d'Ormuz è dal mare perfino bagnata. Confina coi Tartari e con altri re idolatri. Dove è la città di Vastan ed altre città dalla parte di ponente confina con Turchi e Georgiani.
Ebbe questo imperio molti re, dei quali siccome è stato scritto copiosamente da molti scrittori, così ora non tocca a me ragionare che di quelli che della legge maomettana in quà hanno regnato.
Il primo dei quali fu Ismail Gioneid che seguendo la legge di Alì et per questa cagione perseguitato dai Turchi fuggì in queste regioni nella città di Ardevil, dove vivendo vita esemplare e da tutti i circonvicini tenuto per santo, venne in tanta reverenza appresso ciascuno che ridusse molti di quei popoli alla fede di Alì, essendo da loro tenuto per capo. Così visse molto tempo e dopo la sua morte successe Haider, il quale non stette molto che in guerra fu morto restando suo erede Ismail che dopo gli idolatri di Nembrod fu il primo che ebbe titolo di re della Persia, e quasi di tutta se ne fece padrone sottomettendola al suo impero con molti regni e ducati di fede turca. Combattè con sultan Selino, e per causa delle artiglierie fu rotto. Fu uomo liberalissimo e sopratutto coi soldati spendeva quanto aveva, e la sua morte ne diede il segno che pochissimo oro se gli ritrovò. Fu bellicoso e sopramodo si dilettò della caccia. Fabbricò una gran moschea nella città di Ispahan, morì ad Ardevil, dove era andato a visitare la tomba di suo padre l'anno 1523, avendo xv anni con assai buona fortuna amministrato il regno.
Il figliuolo per nome chiamato shàh Thamasp padre del presente re successe nel regno in età di 11 anni e ne regnò 50. Guerreggiò con[278] Selim quantunque non volesse mai seco venire a giornata, per la esperienza che ebbe dal padre dell'artiglieria; prese Tauris città principale di quel regno e di nuovo la riacquistò, fece la pace con detto Turco e promise di mai rompergli guerra, siccome fu veduto nelli capitoli fatti tra loro, nè fu detto che la fortezza di Kars fosse gittata a terra, e che per 8 miglia da una parte e dall'altra fosse fatto deserto affinchè in niun tempo potesse nascer mai fra circonvicini dissensioni. Così mai l'uno contro l'altro mosse le armi, anzi in occasion di bisogno si promisero soccorso. Il detto shàh Thamasp andando contro un re georgiano a questo e quello inimico così fece, e lo vinse a tempo che d'ogni altra cosa pensava che alla guerra per esser l'invernata e d'ogni intorno la neve, ed oltre il sacco e bottino che fece menò un 30 mille anime fra uomini e donne da 15 fino ai 30 anni.
E perchè si trovavano del re morto 24 figliuoli tutti in diverse città del regno divisi, che intendendo la perdita del padre e della città regia, nissuno se ne fece padrone chiamandosi re di quelle, e ne restò il regno in 14 parti diviso. Uno di questi fratelli è Simbes che è quello che l'anno passato era in poter del re di Persia e che prometteva andar ad infestar li passi e non lasciar andar niuna cosa all'esercito dei nemici, ed acciocchè gli fosse data credenza si fece turco-persiano. Siccome scrissi a Vostra Serenità è uomo di grandissima stima, e tanto che in qualcuno è animo che se questi è da parte dei Persiani, basti lui a metter in gravissima necessità i nemici. Son tutti i suoi georgiani soldati veterani dati a vita comoda, che non hanno alcun pensiero nè cura della cavalleria. Dicono discender da una figliuola di Salomone. Tengono altari e chiese come le nostre con figure del Salvatore e della Beata Vergine. La sua sede è ora a Tiflis che rende tributi al regno di Persia.
Fu quel Shàh Thamasp il primo che andò ad abitare Kasbin ed ivi poner la sedia; e quella città era per avanti antica villa suddita del re di Ghilan, il territorio della quale per lunghezza è 18 leghe e per larghezza 14, situata in mezzo di alte montagne dalla parte di tramontana, dove la neve in ogni tempo dell'anno si trova; e questo fece per sicurtà e per esser in mezzo del suo regno in sito fortissimo, e di essa ne ha fatto una città principalissima. Si chiama questa villa Kasbin che in sua lingua non vuol dir altro che castigo, perchè a quel tempo in essa erano rilegati tutti i malfattori che non erano giudicati a morte; ed ora è città nobilissima adorna di grandissime fabbriche e giardini di molta spesa, fra li quali ve[279] n'è uno del proprio re, di spesa di più di 12,000 ducati, per la cui bellezza lo chiamano reest che in lingua loro intendono paradiso. È città popolatissima che dicono che ad ogni richiesta del re gli sono sempre pronti 30,000 cavalli, il circuito della quale è intorno a leghe tre. Ebbe il suddetto shàh Thamasp dal re dei Tartari il regno di Candar in dono per l'aiuto e soccorso che egli diede per rimetterlo in stato al tempo che fu rotto nel regno di Cambaia.
Fu questo shàh Thamasp crudel tiranno, che chi vedeva ricco e di qualche autorità nel suo regno lo privava della roba, e se non gli toglieva la vita gli faceva cavare gli occhi; di niuno suo capitano o cavaliere si fidava, nè d'alcuno voleva consiglio; era avarissimo e per accumular danari mandava perfino al bazar le proprie vesti, tratteneva il soldo che prometteva ai soldati, per il che 15000 e più abbandonarono la Persia facendosi vassalli dei Tartari ed altri re delle Indie, per non esser sottoposti a un tanto tiranno. Usava d'anno in anno rinnovar la moneta facendola fare di metà valor, e non si stampava dell'altra, proibendo quella, e quasi tutta la colava nella zecca, e di questa ragione nelle altre città del regno cavava danaro grandissimo, che non si mette in computo delle sue rendite. Alla sua morte gli fu trovato fra oro argento e gioie, cosa che par impossibile, nondimeno mi è stata confermata da più bocche più di 80 milioni di ducati, tra li quali v'erano 17 milioni battuti a maidini d'oro. Lasciò fra cavalli, cavalle e cammelli al nº di 100,000. Morì del 1576 ai 11 maggio, avendo regnato 50 anni. Poche ore avanti conoscesse la sua morte, ordinò il suo testamento, e avanti che nel suo regno succedesse shàh Ismail suo figlio secondogenito, per trovarsi il presente Mohammed Kodabende dedicato alle cose della sua legge e per aver corta vista: e si fidò pur di 4 suoi capitani che essi chiamano sultani, il nome dei quali sono: sultan Ibraim mirza, suo nipote che si trovava in alcuni suoi castelli discosti da Kasbin 6 in 7 giornate dalla parte di levante, al qual fece intender venisse con quante più forze potesse, così fece venendo con 12 mille cavalli: mettendosi nella casa regale, e datogli dal detto re autorità del governo, e fattolo camerier principale con autorità di portar la spada che a niuno è concessa; il secondo era mirza Alì sultan; il terzo Absalon bey; e del quarto non si è potuto aver il nome, e solo per il tratto intendeva andar attorno dal Derogi che a loro usanza vuol dir governatore del regno, il quale era quarto visir creato di più dell'ordinario, già per avanti trattava di far morir shàh Thamasp e suo figliuolo shàh Ismail per metter in sedia sultan Aider altro figlio[280] di shàh Thamasp e di madre georgiana, sol perchè lui saria stato, sopraintendente di tutto il maneggio del regno.
Sapendo adunque shàh Thamasp questo disegno del governatore consultò coi sultani, di tor di vita sultan Aider figliuolo suo, e lo mandò a chiamar con fargli dire che avanti chiudesse gli occhi desiderava vederlo e farlo suo successore, alla qual richiesta fu il figliuolo obbediente, e giunto al cospetto del padre disse il re ad un suo capitano chiamato Absalon bey che facesse il suo ufficio; per il che fu il figliuolo legato e posto in catena in una stanza con sicurissima guardia. Mancato il re fu tenuta detta morte secreta facendo serrar tutte le porte del palazzo. Il che vedendo il terzo giorno che fu li 8 detto, il governatore ribelle non volse più tardare che Aider non fosse pronunziato re, corse armata mano alla casa regale con 15000 fanti suoi seguaci, gettando a terra la prima, seconda e terza porta gridando a loro usanza Aider suo re. Questo vedendo li sultani che erano alla custodia del palazzo, mandarono nella stanza dove era Aider serrato, Samal bey di sangue circasso e fecero che gli troncasse la testa; e troncata che l'ebbe la portò in mano gettandola dalle scale del palazzo a piedi del cavallo del governatore nemico, che pur attendeva a gridar Aider re: dicendogli, piglia la testa del tuo re con molte parole vituperose. Ed essendo ancor essi provvisti di gran banda di gente e soccorsi, attaccarono la zuffa, tagliandone quanti ne trovavano che ascesero al numero di 4 mille e più, non lasciando in vita nè grande, nè piccolo, nè dell'uno, nè dell'altro sesso della sua prole, mettendo a sacco le case loro e dispianandole fino alle fondamenta; e lui togliendo la fuga con non più di 2000 cavalli se ne uscì fuori della città, e per necessità di fame ed altri disagi fu abbandonato nel viaggio dalle sue genti, e dal proprio figliuolo che si ricorse nella città di Kom a Sultania madre di Ismail e del presente re di nazione turcomanna zia di Emerkan, il quale al presente è capitano generale, ed è detto per sopranome Spada di Persia, sperando che per mezzo di lei gli fosse salvata la vita; ma non gli riuscì perchè de li a poco fu morto insieme con sei altri fratelli. E vedutosi detto governator abbandonato da ognuno si vestì da medico in alcune montagne fuggendo per venirsene al Turco, fu da alcuni cacciatori inviati da Absalon bey suo nemico, conosciuto e preso e condotto ad esso e tenuto fino alla venuta di Ismail che lo fece morire, siccome dirò più abbasso. E perchè per le rapine e morti che si facevano nella città, per non vi essere il re, pochi erano sicuri nelle case proprie, il giorno 17 Absalon[281] bey ed alcuni capitani del re morto, con gran banda di gente andarono per la città e per li bazari assicurando e dando animo a ciascuno che tornasse ai suoi negozi: dicendo che il re Ismail non poteva far che ogni ora non comparisse: mandando bandi attorno che sotto pena della vita niuno avesse ardire di molestare nè cosa, nè persona della città; e dove si trovava un malfattore gli erano troncate le mani e i piedi o tagliata la testa siccome pareva meritasse il delitto, ponendola sopra le lancie e portandola attorno per la città e bazari, e con questi mezzi fecero cessare il spavento ed assicurare l'animo di ognuno. Facevano al mezzogiorno e alla sera che fossero sonate gnacchere, e fatta allegrezza con gridi altissimi che il re era vicino, e questo solo per tenere il freno a qualcuno che avesse animo di perseverar nelle stesse rapine.
Il giorno dietro che fu alli 18 fu pubblicato shàh Ismail re, nella moschea grande, e di subito tutti li capitani e soldati che erano alla custodia della città e di tutte le circonvicine, andarono a levare il re che ancora si trovava in un castello sottoposto alla città di Ardevil discosta da Kasbin giornate dieci dalla parte di tramontana, dove fu dal padre relegato, per il mal animo che lui credeva avere contro i Turchi, et per esser di natura feroce dubitava calasse alli confini e fosse cagione di romper la guerra col Turco, e per questo lo tenne in quella fortezza appresso anni sedici. E giunti in vista di detto castello cominciarono a gridar shàh Ismail che vuol dire re Ismail, facendo molti segni d'allegrezza; al che però da lui non fu dato ascolto nè manco dal capitano che era in sua custodia congiunto di sangue col governator ribelle, e diceva voler combatter con loro; ma fu da Ismail ordinato che non facesse motto alcuno perchè in breve la visita si sapria, sì come fu che non stettero molto che da ogni luoco vedeva comparir gente ed empiersi le campagne di soldati che gridavano colle stesse voci Ismail re. Del che fatto certo discese dalla fortezza, ed il capitano che primamente non volse credere fu il primo a baciargli il piede, e dimandargli perdono con la spada legata al collo se l'aveva offeso, perchè tutto aveva fatto per non esser disobbediente al re morto padre suo, che già tanti anni glielo avea dato in custodia; e così gli perdonò, anzi concesse ad un suo figliuolo il governo di Tauris; e di poi gli corse ognuno a baciare il piede: e veduto che già si erano adunati più di 85 mille cavalli con forse 5 mille padiglioni deliberò incamminarsi verso Kasbin ed a mezzo cammino[282] fu incontrato da sultan Mirza suo germano da parte di padre e cognato, e smontato da cavallo, volse il re fare il medesimo abbracciandolo e raccogliendolo caramente, e dopo molte parole di complimento lo creò suo capitan generale, confirmandolo nella stessa dignità la quale il padre gli aveva data, ordinando che il suo padiglione fosse posto all'incontro delli reali ancorchè ciò non fosse solito a farsi in niun tempo. E giunto alli 14 luglio alla vista della città di Kasbin, ivi si accampò ed alli 15 gli fu menato in catena per il capitano Absalon bey il governatore ribelle, e da esso re gli furono dette molte parole come conveniva alla sua infedeltà, e se lo scacciò davanti serbando la sua morte a pochi giorni. Dopo, lui stette fino li 17 facendo molte giustizie crudeli. Venne fino alle porte della città sopra 12 cavalli cavalcando or sopra l'uno or sull'altro, per segno delli 12 figliuoli di Alì suo profeta; e per timore non gli fosse tirata qualche archibugiata e fosse morto, con 20 suoi più fidati si mise in una strada dove non era aspettato e per la porta del giardino ascosamente se ne andò nel palazzo reale, facendo che il suo capitano generale andasse sotto l'ombrello per la strada ove tutto il popolo stava aspettandolo.
Non stette molto che divenne crudele sopra ogni altro non perdonando ad alcuno della stirpe del governatore ribelle, nemmeno al cognato creato da lui capitano generale che tutti fece morire insieme con dieci fratelli, chi di veleno e chi strangolandoli, fuori che il presente re il quale si trovava in Schiraz discosto da Kasbin due giornate che non lo potè aver mai in così poco tempo che regnò; ma bensì il suo figliuolo con due suoi germani e tutti li principali sultani che erano nella corte del padre; et soleva dire che non si potevano sostentar i padiglioni reali con corde vecchie, e con le sue proprie mani ne ammazzò infiniti, dicendo voler vedere se la sua spada tagliava, e per il computo fatto delli morti di mano sua e di suo ordine ascesero al numero di dodici mille, senza quelli che in così breve tempo che regnò privò degli occhi e scacciò in esilio. Fu di pensiero per qualche suo fine di lasciar la fede di Aly e pigliar quella di Omar, ne diede segno col cavar gli occhi ad un suo califfo persona principal della fede; e con far molte altre offese ed insulti a molti altri suoi santoni; il che pressentito da' principali che restarono nel regno fecero congiura insieme con una sua sorella alla quale lui aveva fatti molti oltraggi e toltigli 200,000 ducati e più che si trovava e li schiavi e schiave, facendola star in vita ristretta e piena di disagi; donna di 30 anni astuta e prudente e che dal padre suo era stimata e si fidava[283] di lei; e così insieme ordinarono il veleno ponendolo in alcune palle di teriaca che soleva mangiare, e postate in una busteta che soleva portare il figliuolo di un suo capitano confidente che sempre gli stava a lato; egli al solito ne prese e la notte seguente restò morto, essendo in età di 44 anni e fu alli 24 novembre 1577, la vigilia di santa Catterina avendo regnato solamente 1 anno 7 mesi e 6 giorni, morto a tempo che disegnava far pubblicar la legge che voleva firmare all'ultimo del suo Ramadan, e diceva pubblicamente che avria fatto doni e tenuti in sua grazia tutti quelli i quali l'avessero seguitato ed altri che avessero voluto star ostinati nelle sue opinioni gli avria fatti andar a fil di spada; e per non lasciar andar più avanti questo suo disegno gli fu dato il veleno. Fu tenuta dalla detta sorella la morte del re secreta, mandando a chiamar li capitani principali complici della morte del detto re, e lor disse che nelle sue mani stava quell'abbondantissimo regno, e se volevano essi con gli odi particolari vederle il fine facevano gran peccato; ma che allora era tempo di rimettere ogni malanimo che avessero, l'uno contro l'altro, e non dar questa allegrezza ai Turchi e Tartari che dall'una e dall'altra banda confinano che goderiano di beverli il sangue, e di veder la desolazione di quell'impero, e quello diceva, lo diceva per loro e suoi successori non per lei che ne aveva la minor parte, essendo donna e di sangue regio che da qualche banda avria pur avuto un pezzo di pane; e non voler che tante fatiche del padre ed avolo suo rimanessero distrutte per le lor dissensioni in questo momento, e fusse annullata la casa del suo profeta, e con parole assai maggiori, cosa insolita in una donna e massime in quelle parti, e con tanta eloquenza che fece risolver ogni mal animo che era tra loro ed aquietar l'uno e l'altro alla sua presenza, facendo loro dopo giurare sopra il suo mufti di conservare il regno per il fratello.
Fu per questi sparsa voce per la città che il re fosse morto e fu dal popolo levato tumulto, il quale andando alla casa reale e gridando voler vedere il suo re, la sorella con li capitani deliberarono di far comparire uno vestito cogli abiti regali sopra una terrazza eminente, intonando la voce come Ismail era solito fare, mostrando colle mani segni di comandare ai suoi, e diede a creder al popolo che quello fosse il re e lo aquetò ed ordinò di subito che tutta la milizia fosse posta sotto quei capitani che erano sette e che cadauno avesse cura delli sottoposti, ed a detta signora furono fatti venire tutti li capitani in loro lingua sultani, dicendoli sotto che banda di capitano volevano stare, perchè il re era morto e bisognava tenere[284] il regno senza confusione fino a che venisse il fratello. Tutti assentirono e nominarono il capitano, cui volevano essere sottoposti colle sue genti fra li 7 antedetti; ed ordinata la città in sette quartieri ed a cadauno consegnato il suo con li soldati sottoposti, spedirono quante più genti poterono sì di Kasbin come delle città circonvicine con padiglioni ed altre cose necessarie per levare il nuovo re che era pure in Schiraz.
Così venne a far l'entrata ai 25 di gennaio 1577 essendo di età di anni 41, tutto canuto ancor che si tinga la barba; di bella faccia, e proporzionata persona, impedito della vista e non vede niente a basso, ma guardando all'alto vede così ben come ciascuno; ma avanti venisse a Kasbin, mandò a dimandar al zio della sorella, come quello che l'amava, dubitando che al disegno avea fatto di farlo morir questo suo zio non se li opponesse con vederla difender; e perciò non gli nascesse tumulto, ed essendo questo buon capitano ed amato sopra ogni altro dai suoi soldati ed era chiamato Samahal sultan, il quale andò se ben con timore, ed avea fatto per avanti andar la nipote sorella del detto re a casa sua, avendo fortificato benissimo il suo palazzo, e messovi grandissimo numero di gente colla guardia e donatogli quanto aveva d'importanza, acciocchè in ogni occasione fossero pronti a morir con lui; dove dal re fu accolto caramente e non mostrando segno di animo cattivo, anzi confermatolo gran cancelliero; siccome era stato fatto dal fratello; avendo ordinato prima che fosse strangolato, subito fosse partito da lui, come fu eseguito spedendo di subito a far morir la sorella a compiacenza della prima moglie di shàh Ismail fratello del marito; ma più per l'invidia che le portava per esser donna accorta e prudentissima facendo anco far il medesimo ad Alì sultan uno dei 7 capitani che gli conservarono il regno, sol perchè trovandosi lui governatore per avanti dove lui abitava gli usò molte stranezze e per esser stato molto amico del fratello morto, e che teneva ancora un suo figliuolo di mesi 4 in governo che lo fece anche morire. Entrò nella città, fece doni liberalissimi di centinaia e migliaia di ducati; i banditi fece venir nella città e restituir loro le dignità, fece di subito liberare gli ambasciatori dei Tartari che si trovavono in un castello postivi dal fratello, e con doni e cortesi parole gli dimostrò il dispiacere che sentiva del mal procedere loro usato, e che lui era prontissimo di conservar la stessa amicizia che li usò il padre suo; e si partirono soddisfattissimi da lui. Fece il medesimo a molti ambasciatori di re delle Indie e ciaus turchi che si trovavano in Bagdad e Caraemit che in tutto erano[285] otto, e li fece consegnare a 4 di quei capitani principali acciò li custodissero fino ad altro suo ordine. E questo per li moti che già erano stati sentiti al tempo del fratello che i Turchi volevano mandare a fortificar Kars e che intendevano voler il kasnadar e facoltà a loro modo lasciate in quel regno alla morte di sultan Bocafir, fuggito in Persia al tempo di sultan Selim suo padre, che lo perseguitava per farlo morire per la discordia e disamore che le venne coi fratelli, e che alfine di ordine di sultan Soliman fu morto nella Persia in un banchetto che shàh Thamasp gli fece, e non per altro che per non voler romper la guerra col Turco secondo la fede promessa, facendo anche morire insieme col padre, due suoi figliuoli e tutta la corte che ascendevano al numero di 2000 persone; e restatigli 17 pezzi di artiglieria minuta, uno di 50 e gli altri di 21, con numero grande di archibugi, che aveva seco, del che sultan Amurath al presente re dei Tartari, gli mandò a ricercar dette facoltà, ovvero come essi dicono tesoro, ed anco perchè fino l'anno avanti al tempo di shàh Ismail era concertato di aver Shirvan a tradimento colli propri terrieri, avendo veduta una lettera che prometteva alli detti di Shirvan di mandargli 50,000 archibugi, se loro si contentassero d'accettarlo per loro re; la quale ebbe per mezzo di un proprio di Shirvan con industria, e se ne fuggì al re suo, narrandogli particolarmente quanto era allora seguìto, e per questo si diede voce di guerra, e tanto più era tenuta per certa, quanto che Ismail era in pensiero di andar a cingersi la spada e far le solite cerimonie siccome fecero li suoi predecessori in Babilonia; del che essendo morto e successo il presente re nominato Mohammed Khodabende e trovati gli umori alterati, le opinioni di Amurath di voler fortificare Kars, anzi che tuttavia lo fortificava (fortezza che per li capitoli del padre sultan Soliman con il suo shàh Thamasp non poteva ad alcun modo fare), commesse a quei sangiacchi vicini che non permettessero che tal fortificazione andasse avanti, d'onde per necessità ne seguirono scaramuccie e danni all'uno e all'altro nelle città e castella vicine; e furono mandati da una parte e dall'altra per propria difesa gente e soldati con sangiacchi ed altri venendo in questo modo a guerra odiosa ed a scoperta battaglia. Fu per questo spedito in diligenza da Costantinopoli Mustafà che se ne andò con potentissimo esercito verso quelle bande, nè per altro sono venuti questi due barbari e potentissimi re a definizione di armi, ancorchè alcuno voglia che tutto sia nato più per causa della fede che per altro. Ma le cause sono state le sopradette che furono prima origine di[286] tante guerre. Questo è quanto alle condizioni delli re che fino al tempo presente hanno avuta la Persia.
Li regni sottoposti a questa corona sono Korassan, Candar, Shirvan, Kuhistan, Curdistan, Ghilan, Laristan, Avaz e il regno di Ormuz; ma questi tre ultimi gli rendono solo tributo, e la sede è posta in Kasbin. Ma dalla parte di ostro le città Kom, Kashan che è la principal di mercanzia, Jepaham, Shiraz, che anticamente era la sedia del regno di Kars e che fu fabbricata da un pastore, dal qual portò il nome, divenne città grandissima, e per causa delli suoi cittadini che non volsero accettar il suo re che fuggiva per una rotta che ebbe dai suoi nemici, fu da lì a poco tempo da lui rovinata fino alli fondamenti, le sono situate attorno più ville e moltissimi castelli; seguono la città di Ardistan Abircà, la quale fu rovinata da Ismail primo per la poca obbedienza. Dalla parte di tramontana è posta Tauris che prima era la sedia reale discosta dieci giornate da Kasbin, Ardevil, che era già loco dove si dava sepoltura alli re, la città di Erzengian, Naschivan, Shirvan ed altre. Da levante tiene il regno del Korasan con molte città e castelle. La città di Mohamedsal, così chiamata per il nome del suo profeta, in cui vi è una moschea, nella qual dicono essere un grandissimo tesoro ammassato d'oro e d'argento, che è discosto da Kasbin giornate 24; inoltre Bistam, Sistan. Dalla parte di ponente ha un regno di Kurdi nelli confini di Bagdad, il cui re si dimanda Rustan ed ha per moglie una figliuola che fu di shàh Thamasp re di Persia e mette in campagna 12000 cavalli. Questo rende tributo e non si sa di quanto, tiene anco alcune città di Georgiani sebben ora si sono ribellate al Turco; gli è anco reso tributo a Lar che è regno discosto 5 giornate da Ormuz; ha più abbasso la città di Bursa che è sedia di un re d'Arabi nelli confini della Balsera appresso il fiume Tigri che d'ogni intorno la bagna, il re della quale gli rende tributo di 20 fra cavalli e cavalle di pregio grandissimo. Ma ora si è ribellato da lui e datosi ai Turchi, che è quello che per avanti scrissi, confina con Babilonia da una banda, e dall'altra con Mossul ancor città della Persia e molte altre città e castella.
Le entrate del regno suddetto, ancorchè non si abbiano potuto aver particolarmente di provincia in provincia, nondimeno si diranno succintamente in somma, la quale molti vogliono che ascenda a 4 milioni e ½ d'oro. Ma la più parte dice che ha 4 milioni soli all'anno; se bene non doveriano arrivarci di gran lunga, ma per la tirranide dei re loro, che di uno ne traggono cinque finchè viene a questa somma.[287]
Oltre di questo ha una infinità grande di ville e castella tutte applicate a stipendi della cavalleria, che il minor salario che dà, è di ducati 100. Ma perchè essi le fanno lavorare non cavano d'ognuno tre; a questo modo ha anco parte della fanteria pagata che tiene alla sua guardia; se tutto questo danaro le venisse nel suo Kasnada avria grandissima quantità d'oro, avendo oltre la cavalleria, come la S. V. intenderà alla sua guardia 6000 gentiluomini, li quali sono pagati per li 4000, come ci ha detto, in ville ed assegnatoli da 300 fino a 2000 ducati l'anno, e per il resto delli 2000 entra nella spesa, siccome dirò: questo è quanto ho potuto sottrarre delle rendite del regno di Persia.
La spesa che fa e tiene dirò alla Serenità Vostra con la medesima brevità: ha 70 sultani che sono deputati al governo delle città pagati de proprio kasnà con partito di 10 fino a 30000 ducati all'anno per uno, con obbligo di tener chi 3 chi 4 chi 5 cento fra cavalli e pedoni li quali tutti sieno pronti ad ogni servizio del re. Paga li due mille Turchi della sua guardia da 100 a 160 ducati all'anno per uno, fino a tanto che nasce occasione di premiarli in ville come dissi sopra e la maggior parte dell'arcobugieria è pagata dallo proprio kasnà, e queste sono le maggior spese che ha quella corona.
Le dignità e gradi che sono appresso il re sono queste: la prima è Mirza che vuol dir principe, e si dà solo a' figliuoli o nipoti regii. Segue la dignità di Kan e questi sono adoperati solamente per capitani generali nelli negozi principali del regno; tiene anco una specie di vicerè che tiene cura di tutte le cose, così in pace come in guerra. Oltre questo sono tre visiri, uno delli quali attende a riscuoter l'entrada; il secondo ha carico delle scritture; il terzo ha il governo del Kasnadar, cioè del denaro della corona. Ha un Curchi bassi che è capo della guardia dei 6000 curchi: come anco ha un capo dei portinari, che ascendono al n. di 700. Ha due gran Kan che uno dei quali porta sempre il bollo reale detto homajon appeso al collo. Seguono poi li sultani cioè capitani, e di questi se ne serve il re oltre il tener la gente ad essi sottoposta all'ordine e pronte in mandarli al governo di città e provincie. Vi sono anco molti altri gradi e dignità che per non tediar Vostra Serenità lascio da parte.
La dignità pontificale è chiamata da loro Mugieteed, che vuol dire papa della legge; il qual titolo sebbene è nella persona delli propri re, nondimeno è conferito in altre persone per non occuparsi egli in tal negozio. Tiene il Califfo che è persona sacerdotale che ha il carico di poner il corno al re ed a tutti quelli che sono fatti degni da[288] esso re del corno. Vi è il cadì che attende alle cose civili e criminali della città, e che col tempo poi ascende alle dette due dignità.
La milizia che tiene il suddetto re è di 100,000 cavalli pagati come avanti ho detto; tutta gente conosciuta ed esercitata nell'armi, e fedelissima al loro re e potrà anco valersene, siccome intendeva, pagandola. Ha pedoni in grandissimo numero, che dicono che ad ogni bisogno ne caveria 200,000, ed anco 250 mille è questo, è affermato per cosa certa che non ha 100,000 archibugii, i quali in parte sono pagati in ville e castelle, ma la più parte dal kasnà del proprio re.
L'arme che usa la cavalleria sono la lancia non più lunga di 5 braccia; l'arco e la scimitarra, della quale fanno professione sopra ogni altra nazione e la stimano principal arma sopra tutte che usano. Per difesa usano camicie di maglia, alcune corazze a similitudine delle nostre corazzine; portano il braccio destro armato di brazzaletto come fa il cavalleggiero, e questo per sicurtà nell'adoperare la spada. Li cavalli sono armati di piastre, groppa, testa, petto e collo, ma dicono che sono lame sottili e che la frecciata li offende, e di questi non ne ha che pochi armati. La fanteria porta la scimitarra e l'arco, gli archibugieri lo schioppo e la scimitarra, alcune calate a foggia di corona con 12 stringhe attorno per memoria dei 12 profeti coi quali morendo dicono che vanno in paradiso, ed altri portano certe catenelle in vece di calate e di queste calate e catenelle ne porta anche la cavalleria.
Il modo che tiene a poner in battaglia è questo: alla parte destra per uso antico pone 20,000 cavalli della stirpe che adesso la chiamano del traditore per il già detto governatore; alla banda sinistra vanno 10,000 della stirpe di quelli che dicono esser venuti da Damasco; mettono poi anco altri 28,000 della gente tenuta in minor conto, compartiti sotto due capi uno con 18 mille a banda sinistra e l'altro con 10,000 a banda destra. Nel corpo della battaglia sta il Sovrano che è sempre solito andar cogli eserciti: se ben questo, per quanto dicono, non andava per causa della vista, ma mandava un suo figliuolo di anni 14 che questo anno ha fatto cose notabili per quella sua età, e che vivendo riescirà un gran cavaliere. In tutto si stima che potrà metter in campagna 200,000 cavalli.
Nel regno vi sono cavalli da soma eccellenti di prezzo di 1000 fino 2000 ducati l'uno, assuefatti al maneggio a loro usanza che sono il galloppar, correre e volgersi all'una e l'altra mano, e sono sotto l'uomo ferocissimi e pare che niuno possa domarli.
Il popolo persiano era a tempo di shàh Thamasp popolo obbediente,[289] il che nasceva per la disunione che era fra li sultani principali; ma dopo che la principessa prudentemente accompagnò e congiunse in matrimonio quelle famiglie, par che sia ridotto sotto miglior obbedienza e non seguano più quelle rivolte che erano solite a nascere: che quanto al re, quando mandava qualche sultan alle città, se le sottometteva in breve tempo come cosa propria, si opponeva al re, donde nascevano le morti e provvisioni di roba che esso shàh Thamasp quasi prudentemente per questo capo a quei tali usava.
Sono li Persiani uomini dediti alla fatica, e nella milizia gente che combatte fino alla morte, persone ben disposte, di bella faccia, e con comparazione in questa superiore alla gente turca; che se non avessero il timore che hanno della artiglieria, poco stimeriano quelle forze nemiche. Le donne sono bellissime, cavalcano molte di esse meglio degli uomini, credono agli augurii e nel giorno che se ne presenta qualcuno non vogliono far niuna cosa fino alla sera, essendo in questo assai superstiziose.
Questo regno non ha mai fatto lega con altri, perchè di altri non si fida; ma se pur avesse da domandar aiuto e di fidarsi di qualcheduno lo faria col governo di Ormuz per aver comodo di vascelli e andar per mare alla Balsera e di lì poi a Babilonia, tenendo con lui tal confidenza che mai in alcun tempo le saria negato.
Questo mi parve di doverle riferire. Ed alla Serenità Vostra mi raccomando.
Arch. Cicogna. Cod. MDCCLXII.
Di Persia l'anno 1586-87, nel qual tempo il signor Turco acquistò Tauris.
Da Venezia in Alessandria d'Egitto, quindi al Cairo, di dove attraversando l'Egitto arrivai in Sorìa, passando per mezzo la città di Damasco e di Aleppo, e di là passando oltre al fiume Eufrate giunsi in Caraemit città posta sopra la riviera del fiume Tigri e di quindi per[290] l'Armenia maggiore pervenni in Van, ultima fortezza dei Turchi, frontiera de' Persiani, di onde passai in Tauris.
Sultania è città di Persia, lontana da Tauris 8 giornate e da Kasbin sei.
Gengie città di Persia non molto lontana dal mar Caspio e da Tauris giornate sei incirca.
Turcoman castello dei Turchi posto sulla strada tra Tauris et Kasbin.
Da Tauris a Kasbin et poi attraversando la Persia, et passando per le principali città Kashan, Ispahan, Schiraz, etc. pervenni ad Ormuz. Sono città di deboli fortezze.
Le armi dei Persiani sono solamente in certa qualità di gente chiamata chisilbaschi, che viene a dir testa rossa perchè sogliono portare in testa una cuffia rossa; ma non sono comunemente nelli popoli. Li quali teste rosse godono terreni pubblici assegnati loro per paga, et sono circa 30,000 non compresi quelli di Corassan o di Sciraz. Nelli quali si armerieno altri 30,000. Il qual numero è considerabile perchè 30 mille sanno far gagliarda resistenza a 100,000. È militia quasi tutta da cavallo di forte nerbo et valorosa con la spada con la lancia et con l'arco. Archibusi non usano perchè non li curano, non perchè non avessero modo da farne quanti volessero. Artiglierie non hanno, nè uomini da fortification e da espugnation.
Il re è anzi povero che no di danari. Non riscuote dazio di roba alcuna. Ma le arti contribuiscono un tanto per uno, e la rendita sua è di terreni propri di certa contribuzione fatta dalli possessori dei beni stabili, e dal ricavato dalle miniere di stagno, di ferro et di rame che vi sono ricche, e da miniere di turchesi e lapislazzuli da' quali si fa l'azzuro e l'oltremarino da noi tanto stimati.
Il regno di Persia è diviso in sette regni principali, e ciascuno di essi in molto più piccoli regni: come veggiamo il regno di Castiglia haver sotto di sè Granata, Toledo, Lione, Murcia et simili.
L'uno è detto Irak di cui è capo la città di Ispahan dal quale dicono che cava il re trentacinque mille tomani che è 700,000 ducati.
L'altro è chiamato Agiem di cui è capo Sciraz ed è el proprio regno di Persia, da cui ha preso il nome tutto il paese, come la Francia da quella parte ove siede Parigi, et questo dicono che è della medesima entrata.
Il terzo è Corassan di cui è capo Herat grande et famosissima città.
Il quarto Aderbigian di cui è capo Tauris. Et questi due sono di maggior rendita che li due primi.[291]
Gli altri tre chiamati Mazendaran, Shirvan e Ghilan, di cui è capo Taberistan, possono essere tanto più ricchi come quei due primi, in modo che a quella rendita possono l'uno per l'altro agguagliar.
E dicendo che quel re abbia in tutto di rendita in tempo di pace 5 milioni di poco si può errar.
Le spese sono molto piccole, perchè la militia è pagata de' terreni come s'è detto, et la corte ancora è di poco costo. Perchè li signori che vi stanno sono alli governi dei regni ed alle città, quando uni quando altri, lasciando alli governi loro luogotenenti che vivono da certi terreni pubblici et utili, che dà l'ufficio. Tal che della sua corte non viene a pagare altro che i cortigiani, che servono la sua persona, nè questi sono di molto numero.
Resta la spesa del mangiar et del vestir, et questa anchora è piccola, essendo in quel paese poco deliziosi et molto parchi nell'uno et nell'altro. Talchè quel re, quando non corre guerra, può parere di starsi assai ricco.
Li confini di quel reame sono dalla parte di Persia, verso tramontana i Tartari che sono della stessa religione che li Turchi. Da ponente stendendosi verso mezzogiorno il re di Spagna col regno di Ormuz. E da levante verso tramontana il re delle Indie da noi detto il Gran Mogol, che finora non si mostra al Persiano nè amico nè inimico. Ma da questo lato si trammezza il piccolo regno di Conducar posseduto parimenti da questo re. E da ponente e tramontana non molto lontan dal mar Caspio, stanno in un angolo i Georgiani, cristiani di religione, valorosissimi soldati et devotissimi alla corona di Persia se ben sono signori liberi. Questi han fatto in suo servitio el tuttavia fanno dai lor confini, mortal guerra col sig. Turco, con perdita di qualche parte del loro stato et della loro più principale fortezza detta Tiflis (1587).
La città di Ormuz è capo non solo di quel piccolo regno che nel golfo di Persia si contiene, ma con la sua riputazione lo mantiene. Perchè qui è la fortezza, qui stanno li soldati, qui abitano li portoghesi e di qui si cavano le rendite che vengono al fisco. Il rimanente come di poca importanza e di meno considerazione si lascia quasi sotto la cura di quel re moro, re solo di nome vano et senza soggetto, perchè egli di quelle rendite viva et abbia qualche sembianza di governare.
Questa città per piccola che ella sia è popolosa e ricca di danari, sendo la più mercantile del mondo.
È posta in una piccola isoletta tanto sterile ed infelice che solo[292] pare cosa maravigliosa a dire, perchè così essendo sia pur abitata. Poichè non produce non solo cosa alcuna al vivere necessario, fuori che sale, ma ne anche una gocciola d'acqua si ritrova. Nè fin ora hanno trovato modo de far cisterne o conserve per servirsi di quella che piove; come che una sola conserva sia nella fortezza, la quale per ogni occorrente necessità sogliono tener piena.
Ma questo si tien per certo che in tempo di battaglia si aprirebbe per il trono delle artiglierie. Et per questo Mattia de Alburcherch capitano di quella città, ha in quel cambio alcune tine di legno rimedio poco bastante, et di qualche incomodo come dicono alcuni.
Questo elemento con tutti gli altri elementi, sono condotti dalla costa di Persia, che tutta gli è amica e da alcun altro luogo sotto la sua giurisditione. Et ancora che di quivi gli siano somministrate vettovaglie tuttavia molto spesso ne hanno grandissima carestia et dell'acqua massimamente nelli mesi di giugno, luglio et agosto che soffiano per lo più venti contro la costa, di onde gli viene la migliore e la più dolce. Onde bisogna che si vada a torre con le spade et a comperarla col sangue.
E la gente bassa e la maggior parte delli habitatori se ne passano in terraferma, nè si trova in quella città artigiani o gente meccanica che facciano alcun servitio.
Questo esempio mostra chiaramente che ciascuna volta che sarà ad Ormuz vietata la costa di Persia, esso non sarà più Ormuz. Et posto che per qualche mese si sofferisse questo disagio a lungo andar bisognerebbe disabitarlo o darlo senza spada in mano di chi lo volesse. Al che aspira il sig. Turco per la comodità delle mercanzie et per esser questo il vero passo donde si traghetta alla India. Et perchè nella costa di Persia havrebbe comodità di fabbricar galere, che oggidì li costano come se si facessero d'argento.
Da Tauris in Ormuz ci sono cinquanta giornate di carovana. Ma la vittoria fa adito a tutti.
Il regno di Persia è pieno di ribelli, et è tutto posto in iscompiglio; et i popoli stanchi della guerra e della spesa, e dal non poter attender a' negozi.
Fra i nostri Codici.
Relazione per li viaggi di Persia.
1673, 20 luglio.
Il viaggio da Venezia fino in Ispahan, dove s'attrova il re di Persia facendolo per via di Germania si arriva a Vienna in 14 o 15 giornate e di là in Varsavia in 20 giornate o poco più, ed altrettante fino a Mosca ove risiede il Granduca. È necessario poi attrovarsi nel tempo della partenza da Mosca nelli mesi di maggio, giugno, luglio e agosto, perchè dovendosi imbarcare nel fiume Volga, nel qual si cammina per lo spazio di 40 giorni sopra barconi senza remi con le sole vele ed in tempo di bonazza, vengono remorchiati da marinari coll'alzana. In altra stagione non si naviga quel fiume perchè in ottobre si gela e dura così gelato fino alla metà di aprile.
Nel terminar detto fiume si arriva alla città di Astrakan, fortezza di considerazione custodita dalli Russi sotto il comando del moscovita. Si sbarca colà e con altri vascelli più grandi si entra nel mar Caspio, nel quale navigando intorno a 20 e 30 giornate al più si arriva nella città di Derbent del Persiano. In questo cammino navigando con vascelli grossi si sta lontano dalla terra, perchè in alcuni siti vi sono genti di mal affare che tendono alle rapine e che non conoscono alcuna superiorità. Arrivati nel Derbent termina la navigazione e viaggiando di là per terra, per paese montuoso e sassoso lo spazio di 8 giornate si capita a Shumachia, città dove vi sta un provveditore generale del Persiano, e di là poi nel progresso di un mese di cammino si arriva ad Ispahan dove risiede il re e metropoli della Persia, facendosi d'ordinario le giornate di 4 o 5 leghe da 5 miglia l'una e talvolta fino 8 leghe per poter giungere alla posata. In questo viaggio vi si cammina sempre per pianura, eccetto che 3 o 4 giornate di montuoso, ma non però tanto malagevole. Sicchè tutto il viaggio da Venezia alla città dominicale di Persia Ispahan, con il continuo cammino vi potrà esser lo spazio di mesi 5 o 6.
Vi è quello poi che si fa per la Turchia. Da Ispahan fino a Erivan si va in 40 giornate per terra, ma vi bisogna l'unione di molti per formare le carovane, e convengono aspettare lo spazio di 2 o 3 mesi e talvolta 4 per la mossa, stantechè vi sono truppe di centinaia di Sciti che vivono di rapine.[294]
Da Erivan in Erzerum si può arrivare in 20 giornate, ma però colle medesime provvisioni unendosi almeno 2 o più mille persone, perchè arrivati in Erzerum ciascuno si incammina pel paese destinato.
Da Erzerum a Tokat, che sono tutte due città grandi e popolate, si giunge in 20 giornate, e di là a Bursa città mercantile, metropoli della Bitinia, in 30 giorni, ed in 5 a Costantinopoli e continuando il viaggio per Adrianopoli con le carovane, al più in 2 mesi si capita a Spalatro, con l'ordinario cammino di 4 o 5 leghe di 5 miglia al giorno. Onde calcolando il cammino per la Germania, Polonia e Moscovia si arriva in Persia tra 5½ in 6 mesi; e quello per Costantinopoli in altrettanto. Da tutte due le parti vi sono i pericoli: per quella di Costantinopoli, l'invasione dei Sciti che svaligiano i viandanti, quando non sono numerosi per resisterli; per quella di Moscovia vi sono le fortune del mar Caspio, ed il rischio che si corre di cader nelle mani di quei popoli nelle rive del mar medesimo, i quali tendono alle rapine, quando non sono provveduti di assistenza.
Commerciali, 1673-74.
FINE
[1] Dei Commentari del viaggio in Persia di Caterino Zeno il Cavaliere; nella Raccolta del Ramusio. Venezia 1583, vol. II.
[2] Fu poi madre della regina di Cipro.
[3] Commentari Zeno, cit.
[4] Documento II. Col Caramano la repubblica avea conchiuso un trattato di commercio fino dal 1453.
[5] Paolo Morosini, Hist. Veneta, lib. XXIV.
[6] Marin Sanudo, Cronaca ms. nell'Archivio Cicogna.
[7] Malipiero, Annali veneti, Archivio storico italiano, vol. VII e VIII.
[8] Paolo Morosini, Hist. ven. cit., pag. 579.
[9] Cornet, Le guerre dei Veneti nell'Asia, 1470-1474. Vienna, 1856.
[10] L'isola di Negroponte era toccata ai Veneziani nella divisione dell'impero di Romania. Mohammed la occupò nel 1469; e la repubblica che la possedeva da 264 anni, consideravala come uno dei più preziosi stabilimenti che avesse nel levante.
[11] Commissioni 27 novembre 1470 e 2 gennaio 1471. Cornet, op. cit.
[12] Ducale a Vettor Soranzo in Sicilia, 2 marzo 1471. Ib.
[13] Pubblicata negli Annali di Malipiero. Archivio storico italiano, vol. VII, pag. 68.
[14] Deliberazioni segrete, volume XXV. Cornet, op. cit. pag. 23.
[15] L'antica Hermonassa sulla sponda del Niester, scalo della Valacchia e Moldavia.
[16] Ducali a Vettore Soranzo, 22 aprile e 25 ottobre 1471.
[17] Dracone Zeno, figliuolo di Antonio, viaggiò nel 1425 per gran parte dell'Asia, dimorò molti anni alla Balsera, alla Mecca ed in Persia, e morì a Damasco.
[18] Commentari del viaggio di Caterino Zeno, cit.
[19] Annali del Malipiero, cit.
[20] Secreta XXV, V. Cornet, op. cit., e la tavola qui di fronte.
[21] Secreta XXV, Cornet, op. cit. p. 47.
[22] Secreta XXV, Cornet, op. cit. p. 49 e 63.
[23] Verdiziotti, Dei fatti veneti, p. 572.
[24] Secreta XXV, Cornet, op. cit., p. 65.
[25] Registri Senato Terra, tom. VI, pag. 186, 188, 191, 194. Arch. ven. gen.
[26] Lettere al Senato di Giosafat Barbaro, Vienna 1852, dai codici Foscarini.
[27] Pietro Mocenigo fu poi creato doge a' 16 dicembre 1474. Morì nel 1476 e gli fu posto il seguente epitaffio: « Qui Asia a faucibus Hellesponti usque in Cyprum ferro ignique vastata, Caramanis regibus venetorum sociis, Othomano oppressis, regno restituto.... »
E Nicolò Tron, che fu Doge dal 1471 al 1473, ebbe per epitaffio: « Cum rege Parthorum contra Turcum socia arma coniunxit.... » e per breve:
[28] Coriolano Cippico, De Bello Asiatico, Venetiis 1594.
[29] Commentari Zeno, op. cit.
[30] Marin Sanudo nel vol. XXII, Rerum italicarum scriptores.
[31] Pubblicata negli Annali del Malipiero, cit.
[32] Annali del Malipiero cit. VII, pag. 83.
[33] Ib. pag. 82.
[34] Secreta XXV, Cornet, op. cit., pag. 83.
[35] Secreta XXV, Cornet, op. cit., pag. 84.
[36] Lettere di Giosafat Barbaro, cit.
[37] Aghaliman, il 4 giugno 1473; Malipiero, Ann. pag. 87.
[38] Deliberazione del Senato, 25 giugno 1473. Secreta XXV, pag. 19, Archivio veneto generale.
[39] Lettera dello Zeno, 13 luglio 1473. Così di fatto egli scrisse a Federico III, il quale invece cercò di ridurre la Dieta, perchè non si desse aiuto alcuno ad Uzunhasan, onde il gransignore prosperasse contro la repubblica. E scrisse egualmente al re Mattia, che trattò invece la pace colla Turchia.
[40] L'esercito persiano contava 300,000 uomini. Lettera dello Zeno, 26 luglio 1473.
[41] Commentari dei viaggi dello Zeno, cit.
[42] Malipiero, Annali cit.
[43] Secreta XXVI, Cornet, op. cit.
[44] L'Ognibene sbarcò a Kurku il 18 gennaio 1474, ivi condotto dalla galea Caterina, e per la via di Aleppo andò in Persia.
[45] Commentari Zeno, cit.
[46] Memorie storiche dei Monarchi Ottomani.
[47] Lettere del Barbaro, cit.
[48] Viaggio di Giosafat Barbaro in Persia, Ramusio, op. cit.
[49] Viaggio di un mercante che fu nella Persia, Ramusio, op. cit.
[50] Malipiero, annali op. cit.
[51] Benchè gli etimologi non siano d'accordo intorno alla derivazione del nome sufì, adottiamo questo modo di scriverlo, dopo le preziose considerazioni dell'Hammer, del Marsden, e dei moderni orientalisti.
[52] Sanudo Codd. Marciani, vol. IV, pag. 66. Vedi Brown, Ragguagli sulla vita e le opere di M. Sanudo.
[53] Sanudo IV, pag. 168.
[54] Sanudo V, pag. 137.
[55] Sanudo VII, pag. 407.
[56] Sanudo VII, pag. 168-173.
[57] Persiana, da agem, nome col quale gli arabi indicano le terre ad essi straniere, ed in particolare la Persia.
[58] Vol. VII, pag. 194.
[59] Paolo Giovio, Hist. di Venezia, lib. XIII.
[60] Sanudo VII, pag. 425.
[61] Sanudo VII, pag. 508.
[62] Sanudo VIII, pag. 182.
[63] P. Giovio, Hist. cit., pag. 321.
[64] Nel settembre 1509. Sanudo IX, pag. 135.
[65] Il 21 giugno 1511.
[66] Secreta XLIV, pag. 31. Archivio veneto generale.
[67] Secreta XLIV, pag. 73. Arch. ven. gen.
[68] Vol. XV.
[69] Ib.
[70] Morana, Relazione del commercio di Aleppo. Venezia 1799.
[71] Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato nel secolo XVI, edite in Firenze da Eugenio Albèri. Serie III, vol. I, pag. 24.
[72] Albèri, Relazioni venete cit., serie III, vol. I, pag. 85.
[73] Serie III, vol. I, pag. 193. Questa relazione porta, in una copia esistente nell'Archivio generale del regno a Torino, il nome di Daniele Barbaro; e nei codici Foscarini a Vienna il titolo: Relatione del Sophi re di Persia, di Armenia, di Assiria e di Media, cogli altri Stati suoi, et successi della guerra col Turco.
[74] Albèri, Relazioni venete cit. Serie III, vol. I, pag. 166.
[75] Albèri, Relazioni cit. Serie III, vol. III, pag. 138.
[76] Albèri, Relazioni cit. Serie III, vol. I, pag. 278.
[77] Nell'anno 1573. Albèri, relazioni cit. Serie III, vol I, pag. 338.
[78] Inedito e tratto dal codice 1762 dell'arch. Cicogna.
[79] Esp. Princ. Registri anni 1580-83. Arch. secreto del Collegio.
[80] Raccolta Svajer, n. 878.
[81] Cod. MDCCLXII.
[82] Albèri, Relazioni venete, serie III, vol. II.
[83] Relazioni consolari inedite, presso di me.
[84] Albèri, Serie III, vol. II.
[85] Albèri, ibid.
[86] Relazione inedita presentata in senato il 16 febbraio 1596.
[87] Libro cerimoniali. Arch. gen.
[88] Cerimoniali cit.
[89] Il traffico in Persia non pregiudicava alla nobiltà o alla condizione elevata delle persone. Lo stesso re aveva agenti che mercatavano nei paesi lontani per suo conto, ancorchè investiti di distinto carattere pubblico. Mss. Donà.
[90] Esp. Collegio.
[91] Conforme all'usanza persiana.
[92] Iscrizioni venete del Cicogna, vol. V, pag. 645.
[93] Commemoriale XXVI.
[94] Ricevuta 9 marzo 1603 dalla fabbriceria di S. Marco, in atti Guglielmo di Mapheis, notaio dei procuratori de supra. Il tappeto tuttora si conserva nella sacristia di S. Marco, ma in cattivo stato.
[95] Commemoriale XXVI, pag. 159.
[96] Deliberazione del Senato, 22 settembre 1603.
[97] Deliberazione del Senato, 22 agosto 1603, particolarmente sull'uscita dei 114 zacchi che egli avea comperati.
[98] Vedi la Tavola qui riportata.
[99] Trattato 7 marzo 1605, presentato dall'ambasciatore Mocenigo.
[100] Vedi il fac-simile qui posto, ed il documento XXXIX, che ne è la traduzione.
[101] Filza, Atti Turcheschi, Miscell. A. G.
[102] I quattro tappeti si conservano tuttora, ma in cattivo stato, nella chiesa di S. Marco.
[103] Delib. Senato, 2 decembre 1645.
[104] Esp. Princ.
[105] Delib. Senato, 22 e 28 luglio 1673.
[106] Vedi la tavola al frontispizio.
[107] Per curiosità ecco un saggio dei titoli usati dal re di Persia verso il Pontefice nel 1658:
« Luna del cielo, del dominio della gloria, della equità, della potenza, della magnificenza, della perfezione e della liberalità papa Clemente, sostenimento convenevolissimo, trono della fortezza d'animo e della fortuna, di sublime maestà come Alessandro, magnanimo come Dario, splendido come Gemsid, d'intelletto perspicace come Feriddum, di ingegno sublime come il re Chiaus, signore della giustizia come Nisservan, di prudenza singolare e di costumi rarissimi, intelligente come Aristotile, di mente pura come Platone, firmamento degli astri, via e corso dei medesimi, diadema del sole, luna corrente, lucido orione, Giove felice, stabile Saturno, compendio d'ogni ornamento, di animo esemplare, di modestia segnalatissima, portatore dello stendardo dei beneficii liberali, possessore di autorità reale e di tutte le perfezioni, onorato e riverito dai principi cristiani, rifugio di coloro che credono in Gesù, magnificentissimo come Osdroe, corona della maestà re augustissimo e potentissimo, di sublime grandezza d'animo, tesoro delle glorie immense, splendore del sole fiammeggiante ed aurora del mondo, che i fini de' tuoi desiderii siano conformi al tuo volere e siano sotto la protezione di chi li concede ». Archivio Cicogna.
[108] In gran parte pubblicati di recente a Vienna nelle Fontes rerum austriacarum.
[109] Letteratura veneziana.
[110] A partibus Tartarorum scilicet a Baldach et Thorisio conducta sunt mercimonia. Marino Sanuto, Secreta fidelium crucis.
[111] Decreto del Senato 16 giugno 1332.
[112] Volumi Pacta. Arch. gen. e Fontes cit.
[113] Istrumento di quitanza, nell'archivio gen.
[114] Decreto del Senato, 4 febbraio 1329.
[115] Gradenigo, Cod. ambasciatori.
[116] Minute dell'opera inedita di G. Rossi sul costume veneziano, presso il cav. Cicogna.
[118] Decreto 9 maggio 1676.
[119] Decreto dei cinque Savii 26 decembre 1641 e 19 gennaio 1672.
[120] Decreti del Senato, 7 settembre 1622 e 6 luglio 1646, riconfermati il 2 gennaio 1648.
[121] Libro Tanse.
[122] Mirza Ipahan, rifugiatosi nel Belgio, prese il nome di Bois le duc da cui derivò quello attuale della famiglia Boldù.
[123] Relazione inedita del console in Siria, Alessandro Malipiero, 1596; e relazione d'Aleppo del console Morana 1793.
[125] Deliberazione del Senato, 29 dicembre 1589.
[126] Confermata il 24 febbraio 1627.
[127] Scritture relative al commercio dei Veneziani, presso il nob. Alberti.
[128] Da una memoria inedita del cav. Giacomazzi nell'archivio Cicogna, parrebbe che i Veneziani avessero prestato ai soldani aiuto effettivo collo spedire alcune navi in pezzi ad Alessandria, le quali per terra trasportate sulle coste del mar Rosso ed ivi allestite, passassero poi nei mari dell'India. Nel volume II dei preziosi diarii del Sanudo leggesi soltanto, in data 24 novembre 1503, che el Soldan fa fare al Cairo fuste, le qual si mandano disfatte in Thor, ove se ficheranno et manderanno in India, perchè dicono in India quando haveranno viste quele fuste queli de lì ne sapranno fare anche loro a quel modo, et haverà marinai assai da quelle bande.
[129] Diarii Sanudo, vol. II, p. 744.
[130] Diarii Sanudo, vol. III, pag. 149, 1507 31 marzo. Il Tagri-Berdi andò a Firenze ed ivi pure conchiuse trattato di commercio. Vedi la preziosa opera del comm. M. Amari, I diplomi arabi dello Archivio fiorentino.
[131] Comm. XIX.
[132] Legge 19 decembre 1548.
[133] Relazione inedita del console Dandolo, 1602.
[134] Relaz. Dandolo, cit.
[135] Diarii, Vol. XVIII, pag. 340.
[136] Relazione del console Sagredo, 1612, inedita.
[137] 13 febbraio 1592. Arch. Manin.
[138] Relazione del console Tommaso Contarini, 1593, inedita.
[139] Prima relazione di G. F. Sagredo, 1611, inedita.
[140] Memoria inedita dello storico Francesco Donà.
[141] Decreto del senato, aprile 1537.
[142] Pubblicato nello Spettatore, Firenze, 1857.
[143] Numismatic Chronicle, februarj 1854, London.
[144] Zennari, Dell'antico commercio dei Veneziani.
[145] Diarii, vol. XV e seg.
[146] Morana, Relazione consolare cit., pag. 7.
[147] Relazione del console Alessandro Malipiero, 1596, inedita.
[148] Relazione del console Giorgio Emo, 1599, inedita.
[149] Relazione del console Girolamo Morosini, 1614, inedita.
[150] Relazione del console Giuseppe Civran, 1625, inedita.
[151] Scrittura dei cinque Savi, 18 aprile 1699.
[152] Commercio di Moscovia. Codici Donà.
[153] Nel libro Zanetta del M. C. si trova un decreto relativo al console di Soldadìa dell'anno 1287, mentre l'Olderico confessa che il primo console genovese fu Paolino Doria nel 1289.
[154] Fontes Rerum Austriacarum cit., vol. XIII.
[155] Libro Reggimenti. Codice Marciano.
[156] Scrittura dei Cinque savi alla mercanzia 28 aprile 1699 — Archivio Manin. Cod. Svajer DCCXLII.
[157] V. Barozzi e Berchet, Relazioni degli ambasciatori veneti del secolo XVII, Venezia, 1858; Baschet, La Diplomatie venitienne, Paris, 1862.
[158] Particolarmente nella collezione dell'Albèri. Firenze, 1844-63, ed in quella Barozzi e Berchet citate.
[159] Albèri, Relazioni venete, serie III, vol. II, pag. 256.
[160] Composto di quattro magistrature, cioè: Cinque savi alla mercanzia — Cottimo di Damasco — Cottimo di Alessandria — Cottimo di Londra.
[161] Il Milione, Venezia, 1847, per cura di V. Lazari.
[162] Lazari, Marco Polo, p. 224, 414.
[163] Foscarini, Della Letteratura veneziana, lib. IV.
[164] Ramusio, Delle navigazioni e viaggi, vol. II.
[165] Morì a Damasco nel 1425. Capellari, Campidoglio veneto, ms. della Marciana.
[166] Vedi la Parte I e i Documenti.
[167] Viaggi alla Tana in Persia, ecc.
[168] Alberi, Relazioni venete, serie III, vol. II.
[169] Ciò si deduce dalle altre due relazioni del Sagredo che si conservano inedite.
[170] Hasan, zio di Uzunhasan, figlio di Karajuluk. — Hammer, storia dell'impero Osmano. Vol. V, pag. 192. — Genabi, nella biblioteca imperiale di Vienna, pag. 228.
[171] Ebusaid, figlio di Miran shàh, nipote di Timur. Genabi, pag. 228.
[172] E fin d'ora.
[173] Vedi il Doc. precedente.
Ortografia e punteggiatura originali, così come tutte le grafie alternative, sono state mantenute, correggendo senza annotazione minimi errori tipografici.
Le note a piè pagina che fanno riferimento alla sezione Documenti sono state spostate nel corpo del testo per maggior comodità di consultazione.
Sono stati corretti i seguenti refusi [tra parentesi il testo originale]: